Corpi magici e corpi femminili: perché raccontare storie di corpi non conformi è importante per cambiare il mondo?
Nella letteratura del fantastico – in storie che possono essere etichettate come fantasy, di fantascienza, o horror – il corpo ha spesso assunto una grande importanza: che si tratti di corpi umani o umanoidi, realistici o meravigliosi – o terrificanti, il corpo si fa specchio dell’anima, di chi scrive, o di chi vive le storie che qualcun’altro ha scritto. Come scrive la filosofa Donna Haraway in uno dei suoi lavori più recenti, Chthulucene, sopravvivere su un pianeta infetto: “è importante capire quali argomenti usiamo per pensare altri argomenti; è importante quali storie raccontiamo per raccontare altre storie” e nella letteratura un corpo non è mai soltanto un corpo. Un corpo è un simbolo, è un’asserzione; un solo corpo è il corpo di un’intera umanità, di tutte le personagge della letteratura, di tutte le donne del mondo. [NdA. Nell’articolo è stato mantenuto l’uso del neologismo personagge, introdotto dalla Società Italiana delle Letterate, presente nel testo di Pasolini e Vallorani.]
Il corpo nel testo
Proprio Donna Haraway è una delle intellettuali più volte citate da Anna Pasolini e Nicoletta Vallorani nei saggi che compongono Corpi magici, scritture incarnate dal fantastico alla fantascienza, volume recentemente pubblicato da Edizioni Mimesis che va a indagare il peso del corpo femminile alla luce di un’analisi che usa i paradigmi del femminismo materialista – o neo-materialista – per recuperare la centralità della dimensione fisica. I corpi di cui ci parlano Pasolini e Vallorani sono corpi respingenti o accoglienti, divini o mostruosi, nascosti o messi in mostra, in grado di trasformarsi come “acqua che cambia forma a seconda delle necessità” o di librarsi nell’aria, l’elemento “più distante dalla terra a cui il femminile è in genere stereotipicamente associato per la sua funzione riproduttiva e per la supposta predisposizione con il coltivare, nutrire e prendersi cura”. I corpi magici sono, per le autrici, corpi capaci “di realizzare percorsi che altri non sanno e non possono”.
Che di corpi magici abbondi la letteratura del fantastico non dovrebbe stupire: se il fantasy, l’horror, il weird e la fantascienza sono il regno dell’altro, è logico associare l’emarginazione del mostro, del non umano, a quella subita dalle donne nel passato e nel presente (ma anche nel futuro, se ci lasciamo tentare dalle più cupe distopie in voga negli ultimi anni). Per una buona fetta di popolazione ancora oggi, infatti, il corpo femminile ha una sua ragione d’essere solo se rientra in canoni arbitrariamente imposti da quella stessa fetta di popolazione sprovvista, nella quasi totalità dei casi, di un corpo femminile; quest’ultimo deve essere piacevole allo sguardo e – come fanno notare le autrici Annalee Newitz e Charlie Jane Anders in un episodio del loro podcast dedicato proprio ai Disobedient Bodies – il corpo non conforme disgusta e terrorizza, tanto che in film come The Witch e Hereditary l’orrore più grande è il corpo grasso di una donna vecchia.
Il corpo finto di DR
Restiamo ancora un po’ nell’orrorifico per accennare al corpo mostruoso per eccellenza: il Mostro di Frankenstein è generato da un uomo – il pazzo Viktor, ma la sua incubazione – dal latino giacere sopra, che sta alla radice anche della parola incubo – ha luogo nella mente di Mary Shelley. Il mostro immaginato dall’autrice è difforme, un essere vivente creato unendo brandelli di altri esseri (non più) viventi; portato a sua volta in vita grazie alla tecnologia, il Mostro è un cyborg ante litteram, che come ogni individuo artificiale si interroga sulla sua umanità. Non è perciò un caso che sia proprio la figura del cyborg a venire usata da Donna Haraway nel suo Manifesto Cyborg del 1985: “la fantascienza femminista ha utilizzato largamente la figura del cyborg eleggendola a simbolo politico in grado di incarnare il superamento di quel dualismo col quale la società patriarcale ha posto le donne in posizione di subalternità”, scrive Giuliana Misserville in Donne e fantastico, narrativa oltre i generi.
Non è un caso neanche che la protagonista del romanzo che ha fatto di Nicoletta Vallorani la prima (e unica fino al 2018) vincitrice del Premio Urania sia proprio una cyborg, la detective Penelope DeRossi che in Il cuore finto di DR si definisce “una bambola deambulante, piuttosto brutta per la verità, che servisse egregiamente allo scopo dell’acquirente, ma nulla di più”. Dal suo esordio fino al suo romanzo più recente, Nicoletta Vallorani non ha mai smesso di parlare di corpi, della loro valenza ribelle, della loro oggettificazione e del male gaze che ogni corpo femminile sente, costante, su di sé e di cui la stessa DR, donna sintetica e grassa, è stata oggetto – trasformata, nell’immagine di copertina a opera di Oscar Chichoni del volume Urania a lei dedicato, in una ben più attraente per il lettore donna bella e letale, corpo conforme e desiderabile con accenno di capezzolo in vista.
Corpi mutati, corpi magici
Se i corpi non conformi sono stati finora rappresentati troppo spesso come corpi mostruosi, disprezzabili, ininfluenti perché incapaci di suscitare desiderio, dentro e fuori dalla letteratura la percezione dei corpi sta cambiando e il concetto di body neutrality – non il mio corpo è bello, ma questo è il mio corpo – è entrato a far parte delle narrazioni che accompagnano la nostra vita perché, sempre citando Donna Haraway, “è importante sapere quali storie creano mondi, quali mondi creano storie”. Un esempio di storie che creano mondi che creano storie è Wilder Girls, romanzo dell’autrice statunitense Rory Power che ha esordito nel 2019 proprio con questo Young Adult post-apocalittico appena pubblicato da Mondadori. Storia insulare come da tradizione goldinghiana, le personagge di cui seguiamo le vicende – Hetty, Byatt e Reese – sono in isolamento nella loro scuola in seguito a un’epidemia di Tox, malattia misteriosa che va a modificare visibilmente il corpo. Mani che si trasformano in artigli, occhi chiusi che non si aprono più, creste ossee che spuntano dalla schiena, i corpi della ragazze della Scuola femminile Raxter mutano, attacco dopo attacco, “come se [la malattia] stesse provando a migliorarci, se solo riuscissimo ad adattarci”.
“Siamo malate e strane, e non sappiamo perché. Ci esplodono cose da dentro il corpo, perdiamo parti di noi, poi la pelle si indurisce e diventa liscia.” così Hetty descrive la Tox, così il corpo diventa magico nel suo essere diverso, nel suo ribellarsi alle convenzioni, nel rifiuto delle personagge di considerarsi malate, di considerarsi ininfluenti. Così come per i corpi analizzati da Pasolini e Vallorani – l’alata Fevvers di Angela Carter, l’ambigua Villanelle di Jeanette Winterson, la triplice anima della protagonista della trilogia della Terra spezzata di Nora K. Jemisin – un corpo non conforme non è mai un corpo non importante, ma è un corpo – soprattutto se femminile – che non smette mai di raccontare e di raccontarsi, per creare storie, per creare mondi, soprattutto un mondo più equo.