Per molti gamer, giocare non è solo muovere levette e premere pulsanti: “Cristalli di sogni e realtà. La cultura di Final Fantasy” è il libro che fa per loro. E scritto da alcuni di loro.

Qualche anno fa lessi su una rivista di videogiochi una frase che rimase impressa nella mia memoria, anche se non abbastanza da poterla citare testualmente, ragion per cui ometterò le virgolette e anche l’autore: se sai solo di videogiochi, non sai niente di videogiochi. Per quanto sia in una certa misura opinabile nel suo significato letterale (che peraltro sicuramente non era quello che interessava all’argutissimo autore), ritengo che esprima in modo molto efficace un concetto importante: il videoludo è un prodotto culturale, al pari di un film o un fumetto, quindi deve essere inserito e contestualizzato nel più vasto panorama culturale che l’ha prodotto o, quantomeno, ispirato.

Molti si spingono oltre, includendolo nel novero delle arti, che nel secolo scorso era stato ampliato dapprima da Ricciotto Canudo con l’inclusione del cinema (settima arte, nella sua sistemazione), poi da Claude Beylie, che, rifacendosi a Canudo, aggiungeva la radio-televisione e il fumetto.

Senza addentrarci in una disquisizione assai problematica, che andrebbe a involgere pure l’ambiguo e complesso rapporto fra arte e società del consumo, accontentiamoci del primo approdo: il videogioco è un prodotto culturale. Ed è proprio questa la premessa da cui muove Cristalli di sogni e realtà. La cultura di Final Fantasy, una raccolta di saggi a cura di Francesco Toniolo pubblicata da Edizioni Unicopli nell’ambito della collana Game Culture nel febbraio del 2020. La sovraccoperta visibile qui sotto è opera di Antonio Minuto, digital artist.

final fantasy cultura

Presentati dalla suggestiva sovraccoperta realizzata da Antonio Minuto, gli otto saggi ivi contenuti, pur accomunati dalla pertinenza all’universo di Final Fantasy, sono invero piuttosto eterogenei: seguendo pedissequamente l’ordine dell’indice, Carlo Alessandro Bonifacio ci parla della Profezia e dell’Apocalittica, con un focus su Final Fantasy I e IV; Marco Seregni della libertà di scelta all’interno del gioco, soffermandosi sul Final Fantasy più significativo (e paradossale) in tal senso, ossia X-2; Gabriele Campagnano studia l’impossibile Buster Sword brandita da Cloud Strife in Final Fantasy VII; Lorena Rao, in un saggio di ampio respiro, ripercorre la storia socio-culturale del Giappone dal secondo dopoguerra per giungere a soppesare l’influenza della cultura americana sull’industria dell’intrattenimento giapponese in generale e su Final Fantasy in particolare (VI e VIII nello specifico); Luca Mandara riflette sul lutto più famoso della storia dei videogiochi (non serve nemmeno che vi dica quale, NdR); Livio Gambarini analizza in modo tecnico la trama di Final Fantasy VIII e i suoi famigerati plot hole, esponendo anche due delle migliori teorie dei giocatori, che da oltre vent’anni si arrovellano per far quadrare tutto; Lara Arlotta ci fornisce delle preziose indicazioni per orientarci all’interno del vastissimo sottobosco delle fanfiction; Francesca Sirtori esplora la dimensione del marketing, sempre più presente negli ultimi vent’anni in Final Fantasy, da Advent Children a FFXV, passando per la saga di Lightning.

Nonostante la dichiarata assenza di sistematicità, viene coperta la serie dal capostipite all’ultimo arrivato (FFXV, dal momento che Final Fantasy VII Remake, comunque citato nell’introduzione, è uscito dopo il libro), anche se non tutti gli episodi numerati vengono trattati ex professo. Complessivamente, i più citati sono i capitoli centrali, quindi FFVII e FFVIII, che sono anche fra i più famosi e venduti, assieme a FFX.

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Come avevo anticipato, gli argomenti, trattati in modo succinto ma compiuto, sono dei più disparati, quindi ho avvertito l’esigenza di citarli tutti subito, in modo da non tralasciare nulla nel prosieguo. Il tratto unificante a mio avviso preponderante, ancor più di Final Fantasy, è quello metodologico, ciò che il curatore di questa “selezione di specifici carotaggi” definisce nell’introduzione il “cappello delle humanities, dei saperi umanistici che – in varia forma – vengono impiegati come strumento di analisi”. Perché se abbiamo affermato che il videogioco è un prodotto culturale, allora esso va indagato anche con gli strumenti culturali, quelli più classici, “accademici”. In tal senso, fa piacere trovare fra le note a piè di pagina tanto un Hobsbawm quanto uno Skallagrim (youtuber esperto di armi), entrambi da considerarsi come autorità nei rispettivi ambiti di competenza.

Io stesso, proprio sulle pagine virtuali di StayNerd, ho compiuto nel mio piccolo un’operazione simile, casualmente (o forse no, NdR) relativa anch’essa a Final Fantasy, quando vi ho presentato un parziale manuale di “zoologia finalfantastica”, in cui comparavo l’immagine e le caratteristiche di alcune creature presenti nella saga di Square Enix con le tradizioni raccolte da Borges e dalla Guerrero: in quell’occasione, scrissi che tutto ciò che è prodotto dall’uomo può essere cultura, se approcciato in modo culturale, ed è proprio quello che fanno questi saggi. Icastica, in tal senso, l’analisi delle profezie contenute in Final Fantasy I e IV, condotta da Carlo Alessandro Bonifacio con gli strumenti dello studio storico-interpretativo dei testi profetico-apocalittici.final fantasy cultura

D’altronde, Final Fantasy è una delle serie più ricche da questo punto di vista, vuoi per la storia ultratrentennale che ha alle spalle, vuoi per la sua natura ruolistica, più adatta a raccogliere e veicolare suggestioni culturali rispetto ad altri generi videoludici in cui la direzione artistica e il plot sono meno o per nulla rilevanti; vuoi per il successo che ha riscosso globalmente: è difficile, anche se non impossibile, per un’opera di scarsa diffusione avere un massiccio impatto culturale; Final Fantasy, invece, conta oltre 55.000 testi di fanfiction nel solo sito Archive of Our Own (come ho appreso dal saggio di Lara Arlotta); addirittura, a Tokyo esiste un locale con i prezzi in guil (che potete vedere qui sopra), come ci racconta Francesca Sirtori.

La Buster Sword non è stata certo la prima spada abnorme partorita dalla fantasia dell’uomo, ma è quella che milioni di giocatori (soprattutto noi della generazione Y) ricordano; così come la morte di Aerith non è il primo lutto videoludico della storia, ma a oltre vent’anni dall’uscita di Final Fantasy VII è ancora una ferita aperta per diversi fan (e io ho un brutto presentimento su come sarà gestito nel remake…, NdR).

In conclusione, “Cristalli di sogni e realtà. La cultura di Final Fantasy” è un’opera variegata che esplora ed espande tematiche eterogenee legate in modo più o meno intimo con la serie di Square Enix, regalando così numerosi spunti di riflessione e di approfondimento a quanti vogliano adottare un approccio culturale anche ai videogiochi. Un tassello prezioso nell’ambito dei nostri Studi Virtuali.

 

Giovanni Ormesi
Scrivo di videogiochi (più o meno bene) dal 2008, dopo una decina abbondante di anni passati fra le pagine delle bellissime riviste cartacee, che purtroppo si sono perse con il tempo e con il progresso. Oltre ai videogame, sono anche un buon lettore, specialmente – per quanto attiene all'ambito nerd – di Dylan Dog. Nel bene e nel male.