Curon è la nuova serie Netflix italiana che indaga sul doppio nel senso più letterale del termine
Ormai sono sempre di più le serie italiane che trovano casa su Netflix. Curon è però ancor più speciale, poiché ne costituisce una delle poche produzioni originali. La storia creata da Ezio Abbate, Ivano Fachin, Giovanni Galassi e Tommaso Matano riprende diverse caratteristiche già viste in decine di lavori internazionali precedenti, ma si basa su un’idea potente: l’indagine sul doppio nella sua forma più diretta e letterale possibile. È un vero peccato, quindi, che alcuni elementi della sua realizzazione lascino a desiderare, rendendola un’occasione persa. O quasi.
Curon su Netflix: l’uomo e la sua ombra
L’intenzione della nuova serie Netflix, Curon, di indagare sul doppio è chiara sin dalle primissime battute. Nella seconda puntata Klara, madre di due dei personaggi principali e professoressa del liceo del paese, racconta la storia dei due lupi. Nella mente di ognuno di noi dimorano sia quello gentile, premuroso, sempre pronto a preoccuparsi degli altri; sia quello oscuro, spietato, che pensa solo a se stesso. Le due bestie lottano ogni giorno per la supremazia e il controllo, ma spetta a noi decidere quale delle due nutrire. Questa metafora è alla base di tutta la narrazione di Curon e aiuta lo spettatore a comprendere ciò che accade, nonostante gli imprevisti e i colpi di scena non manchino.
La città e i protagonisti
A Curon il doppio è ovunque. La città stessa, con il suo caratteristico e spettrale campanile che affiora dal lago, è in realtà due località distinte. Il paese originario giace sott’acqua dal 1950 e custodisce segreti terribili nelle proprie profondità, mentre la località odierna si arrampica sulle pendici della montagna che sorge nelle vicinanze. La dualità è ripresa anche nella scelta dei protagonisti, due fratelli gemelli dai caratteri opposti e complementari. Daria è estroversa e sicura di sé, libertina, sempre pronta a farsi rispettare, rasentando talvolta il bullismo puro. Mauro è più incline alla solitudine ed esplora il mondo con un drone fatto in casa. La sua incapacità di difendersi da solo lo rende un bersaglio facile, soprattutto tra i coetanei della nuova scuola. I gemelli Raina sono molto legati e si sostengono a vicenda, riuscendo spesso a compensare i propri difetti.
Le ombre
L’idea forte che sta alla base di Curon su Netflix è quella delle ombre. Sul paese aleggia una maledizione: in qualsiasi momento, un abitante non soddisfatto della propria vita può cominciare a sentire un forte mal di testa e il suono delle campane della chiesa sommersa. È il segnale che preannuncia l’emersione della sua ombra dal lago. Le ombre non sono altro che sosia, doppelgänger identici nelle fattezze ma opposte nel carattere e nelle aspirazioni. Con il progredire delle puntate, sempre più ombre approdano sulle rive del bacino artificiale e sconvolgono le vite dei personaggi. Il primo obiettivo dei doppelgänger è infatti quello di eliminare i propri alter ego per prenderne il posto nella società e vivere finalmente la vita che sognavano. Meccanismo seriale molto buono e spunto horror tanto basilare quanto azzeccato, le ombre potevano davvero fare la fortuna della prima stagione di Curon, ma alcuni difetti importanti hanno frenato la serie.
Curon su Netflix: cosa è andato storto
Come suggerisce lo stesso titolo, il vero protagonista della serie avrebbe dovuto essere il paese di Curon Venosta, con le sue stranezze e i suoi abitanti decisamente caratteristici. Per molti versi è davvero così, ma l’incantesimo è spezzato da diversi elementi che sembrano fuori posto. I personaggi, per esempio, sembrano presi direttamente da qualche teen drama americano.
La loro caratterizzazione assomiglia a quelle già viste in prodotti come Riverdale, Tredici o American Vandal. L’ambiente scolastico presenta le stesse dinamiche, come se il liceo di un paesino del Trentino avesse qualcosa a che spartire con gli istituti d’oltreoceano. Oltre i due protagonisti, già abbastanza classici nella loro impostazione, ci sono altri esempi dello stesso genere: Micki è la ragazza più popolare e ambita della scuola, ma le piacciono le ragazze e non vuole che si sappia in giro; Giulio, suo fratello, si atteggia a duro e tende a fare il bullo senza crederci troppo, perché in realtà sa essere dolce e gentile; Lukas è cresciuto insieme a Micki e ne è innamorato da sempre, ma non ha mai trovato il coraggio di dirglielo e si trova confinato, come si dice oggi, nella friendzone perenne. Se state pensando di aver già sentito da qualche parte queste tipologie di personaggi, non siete gli unici.
Tell, don’t show
Una delle prime lezioni che si imparano a scuola di sceneggiatura è il famigerato “show, don’t tell”, ovvero l’imperativo categorico di far parlare i personaggi con le azioni, più che con la bocca. Curon su Netflix, molto spesso, fa l’esatto opposto. I personaggi non lesinano in fatto di parole, anzi si producono in veri e propri spiegoni che oltrepassano la linea del fastidio, soprattutto alla vigilia delle scene più importanti. Ogni svolta nella trama, ogni nuova informazione sul passato oscuro del paese o sulla natura delle ombre viene snocciolata con un lungo discorso, come se mancasse la fiducia da parte degli autori nelle capacità di comprensione dello spettatore. Un atteggiamento che non giova a una narrazione che dovrebbe fare del mistero e delle teorie di chi assiste una delle proprie maggiori fonti di successo.
Musica-guida
Se i dialoghi si trasformano spesso in spiegoni, la situazione non migliora quando si prende in esame la colonna sonora. Le musiche accompagnano le azioni dei personaggi, ma soprattutto vogliono indicare allo spettatore quali emozioni provare, senza lasciargli la libertà di interpretare gli avvenimenti a propria discrezione. L’elemento sonoro è fastidiosamente invadente nelle scene più horror: quando un personaggio apre lentamente una porta viene sempre utilizzato, ad altissimo volume, il classico suono stridulo tipico dei b-movie di genere americani, proprio come se si volesse dire allo spettatore “ecco, adesso devi avere paura”. Se a questa tendenza paternalistica aggiungiamo canzoni di M¥SS KETA inserite in momenti drammatici, otteniamo una colonna sonora non proprio azzeccata.
Nonostante i dialoghi didascalici, la colonna sonora fastidiosa e personaggi non proprio originali, Curon su Netflix è comunque una serie che si lascia guardare, anche se forse ingrana troppo tardi. L’idea alla base è interessante e non mancano colpi di scena e morti illustri. Non ci resta che sperare in una seconda stagione che possa limarne i (molti) difetti ed esaltarne le (buone) potenzialità.