Lo storytelling sociale e l’ansia
yclopedia Exotica di Aminder Dhaliwal è rimasto sopra il comodino per un tempo indefinito. Che non riesco a quantificare. Ho avuto timore di iniziarlo perché sapevo che si sarebbe rivelata una lettura capace di farmi riflettere. Che mi avrebbe “stancato”. Perché non ero e sono pronto per imbastire le seguenti riflessioni, idee e sensazioni.
Mi sento spesso stanco dagli infiniti discorsi che prendono vita sulle nostre bacheche virtuali, pronti per essere tradotti nella vita reale in una morsa claustrofobica. All’inizio del mio disagio transmediatico ho eretto la barriera dell’indifferenza, nascondendomi dietro un “non sta succedendo niente”. I primi effetti si sono rivelati disastrosi, la mia strategia ha aumentato l’aggressività. Ogni cosa postata su Facebook mi sembrava una scintilla per accendere una polemica, Instagram non ne parliamo; mi soffocava e basta.
Sono una persona fatta di libri, così per salvarmi mi sono nascosto nelle storie. Sperando di riuscire a sugellare un detox digitale. Si è rivelata anche questa una cazzata. A ogni pagina fissavo lo schermo dello smartphone implorando l’attenzione del mondo e sperando in un messaggio, una mail, una notifica. All’improvviso è arrivato Jaron Lamier, l’informatico che con il Saggiatore ha pubblicato il mini-saggio Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social. E sarò sincero, è stata un’esperienza straordinaria. Da quel giorno mi sono completamente disinteressato di Instagram. E ho capito cosa sia realmente la società performativa.
La società delle performance
Ci siamo evoluti, dalla visione oggettivata del mondo teorizzata in primis dal filosofo francese Debord in La società dello spettacolo allo stortytelling autoriferito, alle plastificate autobiografie che possiamo ricondurre al saggio La società delle performance di Maura Gancitano e Andrea Colamedici per Edizioni Tlon, basta leggere il seguente estratto:
“Ciascuno dovrebbe sapere che la parte più autentica di sé non può essere rivelata, che il proprio profilo pubblico sarà sempre un’imitazione dell’identità personale.“
E se il capitalismo ci ha trasformato in maniera subdola e telefonata da lavoratori a consumatori o qualcosa di ancora più incomprensibile ha mutato il nostro IO da consumatori a performer, a esibizionisti del nostro tutto, di un nostro alter ego digitalizzato, siamo schiavi di un algoritmo, vessati dalle tabelle statistiche, dai grafici di indagini di mercato, siamo filtrati attraverso lo swipe up o i match di Tinder o Grindr. Insomma, siamo in un loop pseudo-cyberpunk dove l’umano diventa postumano o infine, senza tirare in ballo una terminologia caustica, stiamo semplicemente sovrapponendo così tante nostre immagini che viviamo in un collage di eventi fittizi.
Dobbiamo essere perfetti, belli o in caso strenui sostenitori di una body positivity tossica, come se non esistesse la body neutrality. Aggiungo che dobbiamo essere sempre sul pezzo, leggere tutto, riflettere di tutto, non bastano più gli specialisti, gli eruditi di una singolarissima materia, gli asceti di unico infinito argomento. Viviamo in una dittatura della tuttologia, e chi non riesce a padroneggiare il mare magnum della quantità informativa finisce di morire per la FOMO (Fear of missing out). Il burnout ansiogeno di essere esclusi dal circolo social(e) perché non riesce a rimanere in pari. Dobbiamo esser performativi, nel lavoro, nelle relazioni, nei nostri account, nelle foto, nei balletti di TikTok, dobbiamo fare sesso assolutamente, altrimenti ci sentiamo in colpa per qualche ragione che non riguarda la nostra identità.
Cyclopedia Exotica, l’ironia di essere sbagliati
Nel mondo narrativo a fumetti di Aminder Dhaliwal convivono i mitici ciclopi e gli esseri umani due-occhi. Cyclopedia exotica racconta con storie brevissimi il disagio integrativo dei ciclopi dentro la società umana e i processi di “colonialismo culturale” che i due-occhi hanno stabilito sui ciclopi. Una sorta di distopia xenofobica. Tale procedimento si sviluppa per diverse fasi e l’autrice è stata chirurgica nella sua disamina.
In primis c’è il retaggio mitologico, ovvero l’odio verso i ciclopi da parte dei due-occhi tramite stereotipi: primitivi, pericolosi, mostruosi e irrazionali. Il secondo step confina il popolo dei ciclopi in una sfera di “sudditanza” ai due-occhi è il feticismo sessuale, una vera sorta di esotismo feticista.
I ciclopi durante gli anni ’70 sperimentano uno pseudo-tentativo di integrazione culturale perché la modella ciclope Etna diventa una icona di seduzione e fascino, diventano la regina delle copertine dei magazine. Tuttavia i due-occhi proiettano le proprie fantasie sessuali sui ciclopi, attuando un processo di spersonalizzazione e incoraggiando il divario tra “loro e noi”. Alcuni sono i fruitori del piacere sessuale, mentre gli altri sono gli strumenti per la propria soddisfazione.
Negli anni in cui è ambientato Cyclopedia exotica tuttavia i meccanismi discriminatori sono meno eclatanti e diretti, ma non per questo meno denigratori. A partire dalla chirurgia estetica rivolta ai ciclopi per renderli dei due-occhi che ricorda il proliferare delle cliniche in asia per occidentalizzare i clienti del luogo. Inoltre sul piano anatomico-biologico umani e ciclopi sono diversi. Le donne hanno un unico seno e tre vagine, mentre gli uomini hanno il mono-capezzolo e un pene biforcuto. Tutto questo oltre a scatenare il feticismo sessuale sopra menzionato porta i ciclopi a sentirsi perennemente inadatti nei rapporti con gli esseri umani. Tant’è che sono nati dei reggiseni che “dividono” il senno delle ciclope per renderle più umane.
Clyclopedia exotica tuttavia affronta i problemi dell’inclusività, dell’orientamento sessuale e dei problemi di coppia con una leggerezza tale che trasmette i suoi messaggi in maniera distorcente, ovvero non arrivano “direttamente” al lettore, ma secondo alcuni schemi di rifrazione. Compenetrano la pelle e la corteccia cerebrale e soltanto ultimata la lettura si sente l’esigenza di riflettere su quanto siamo sbagliati e performativi.
I disegni di Aminder Dhaliwal per Cyclopedia exotica sono minimali, semplici, ma mi hanno permesso immediatamente di immergermi nel volume di Edizioni BD. Nonostante l’ironia e i disegni “friendly” sono riuscito a provare angoscia. Ho capito che per essere felice non devo essere obbligatoriamente la versione migliore di me stesso.