Con Cygni Keel Works e Konami cercano di innovare il genere degli shmup
Cygni è certamente uno sparatutto a scorrimento – shmup, per i più addentri al genere – peculiare. È evidente già dalla realizzazione tecnica, per continuare con le meccaniche e un ruolo più centrale del racconto.
Già il primo livello disorienta, se si viene da uno shmup classico (nei giorni precedenti stavo giocando a Devil Blade Reboot): Cygni ci mette davanti un livello lunghissimo, con tre boss e una difficoltà importante a livello normale. Con una sola vita a disposizione sembra impossibile resistere così a lungo, contro così tanti nemici e la preoccupazione di dover ricominciare da capo alla morte.
E insomma, anche la prospettiva di altri sei livelli così strutturati fa sembrare Cygni insormontabile. I livelli successivi però sono per fortuna sono più contenuti, ma comunque molto lunghi per la media degli shmup: si parla di circa 10, 15 minuti per livello senza considerare i tentativi multipli per riuscirli a superare.
Faccio questa piccola introduzione per dire che già a partire dagli elementi più banali come l’estensione dei livelli, Cygni si propone un obiettivo piuttosto ambizioso, quello di rivoluzionare gli shmup, un genere che è piuttosto fedele a sé stesso da sempre.
L’altra grande particolarità di Cygni è certamente meccanica, perché il gioco pubblicato da Konami ha un sistema di risk/reward molto interessante. Se normalmente nei giochi del genere bisogna evitare di essere colpiti per non perdere una vita, in Cygni c’è un sistema di scudi per cui i power-up che raccogliamo vanno a riempire un’apposita barra segmentata in grado di assorbire un colpo per ogni segmento.
Questo significa che spesso è conveniente subire il danno per avvicinarsi a un gruppo di power-up e caricare gli scudi. Soprattutto data la mole di proiettili a schermo e la velocità smodata a cui si muove il gioco è spesso sostanzialmente impossibile schivare, mentre alcune fasi da bullet hell tradizione permettono un approccio più metodico.
Non bastasse l’introduzione degli scudi, c’è anche un’altra meccanica legata ai power-up raccolti: i segmenti di energia degli scudi possono essere ridirezionati alle armi, potenziando così il fuoco della nostra navetta, ovviamente a sacrificio di un punto scudo.
I power-up raccolti vanno ad aggiungere energia in automatico agli scudi, e diventa così necessario un’attenta gestione delle risorse in modo da tentare di avere sempre armi e scudi al massimo, mentre ci si muove tra fiumi di proiettili.
E proprio su questi fiumi di proiettili è utile spendere due parole, perché se è vero che i livelli sono molto lunghi e hanno spesso intuizioni interessanti, legati a volte a una seconda modalità di sparo con la quale è possibile colpire i nemici a terra, ci sono anche molte sessioni piuttosto pigre in cui, per diverso tempo, dovremmo solo sopravvivere a orde di nemici incazzati messi più per fare volume che per funzionare all’interno di un design di gioco ragionato.
Proprio qui credo che Cygni inciampi: nel tentativo di fare di più sembra dimenticare i fondamentali del genere. Se prendiamo ad esempio Ikaruga, classico shmup di Treasure, i pattern di movimento e fuoco dei nemici, ma anche la loro apparizione sullo schermo, sono tarati per funzionare di concerto con il peculiare sistema di punteggio del gioco e la meccanica di doppia polarità del gioco.
Cygni ignora in larga parte questa logica: non ha un posizionamento dei nemici o delle meccaniche che gratifichino la strategia, ma soprattutto non tutto quello che succede a schermo è funzionale a un particolare sistema di punteggio. La conseguenza pratica è che il giocatore non deve ragionare sul come colpire cosa e in che ordine (per rimanere nell’esempio di Ikaruga), ma semplicemente sopravvivere a un inferno di proiettili che non può schivare. Se questo certamente funziona per alimentare un certo tipo di power fantasy e da una grandissima gratificazione immediata, sega però le gambe alla rigiocabilità del gioco perdendo di vista l’obiettivo ultimo di questo tipo di prodotti.
Ammesso, certo, che vogliamo individuare l’obiettivo ultimo del gioco nella scalata alla classifica.
Quello che cerca di fare Cygni, l’obiettivo che sembra prefiggersi, è proprio il raccontare una storia soprattutto grazie a un impianto artistico e tecnico di primo livello, con un mechanical design che richiama i lavori di di Yoji Shinkawa e le estetiche della sci-fi asiatica più contemporanea e un character design che guarda un po’ all’opera di Pixar.
Le cutscene e le ambientazioni di gioco sono spesso incredibili, la lore appena pennellata riesce a dare le giuste suggestioni e le boss fight contro nemici enormi e sempre diverse hanno un impatto forte.
Il design del gioco va in questa direzione, più che in quella tradizionale dello shmup, e se chiaramente non sono qui a pormi in modo reazionario, con il dito alzato a dire che gli shmup si fanno in un modo e solo in quello, quello che non riesco a capire è qual è il pubblico a cui è rivolto questo gioco.
Sono certo che qualcuno non avvezzo al genere preferirà più facilmente Cygni rispetto al già citato Devil Blade Rebook, ma è anche vero che non è un tipo di pubblico che normalmente compra un gioco di questo tipo, specie dato il prezzo di partenza piuttosto alto. D’altra parte però, il pubblico di riferimento degli shmup certamente avrà da ridire su questa prima opera di Keel Works.
Ciò detto comunque, io sono dell’avviso che i giochi vadano valutati tentando di mettersi nella stessa prospettiva degli autori, cercando quindi di capire perché qualcosa è stato fatto in un modo specifico, quale direzione si voleva prendere.
Cygni racconta una storia interessante con una lore suggestiva e una componente artistica e tecnica fuori scala per il genere. Giocarci fomenta, si vogliono vedere i prossimi boss e le prossime ambientazioni, si vuole finire il racconto e scoprire cosa sono queste enormi macchine bio-meccaniche che si risvegliano e combattono gli umani.
Finita però questa corsa divertentissima ed eccitante però non voglio tornare sul gioco, come se mi avesse dato un po’ tutto quello che voleva darmi.