Ripercorriamo l’epopea dietro all’arrivo di un bramatissimo titolo della scorsa generazione.
Durante la settima generazione di console, ovvero quella che vide scontrarsi la terza ammiraglia Sony, Nintendo Wii e Xbox 360, la piattaforma che vide per la prima volta Microsoft come vero e proprio competitor in ambito gaming, il mondo dell’industria giapponese cominciò a subire gli effetti di una profonda crisi creativa e finanziaria generata inizialmente dall’enorme divario tecnologico che si fece sempre più netto tra le produzioni firmate dai creativi occidentali e quelle nate nella terra del Sol Levante. Se da una parte il Giappone era stato in grado di dar vita a veri e propri capolavori di stile e tecnica durante le generazioni subito successive alla grande crisi dei pc da gaming, già a partire dal 2005 fummo tutti testimoni di una grave depressione tutta made in USA, ovvero quando Xbox 360 riuscì a strappare a PlayStation il tanto agognato status di vero e proprio “sinonimo” di videogioco grazie alla rivoluzione del multiplayer online.
Se nei primi anni ’90 tutti giocavano “alla Nintendo” (non importava quale modello fosse o se quel pezzo di hardware recasse sulla scocca di plastica il logo SEGA) e sul finire di quel decennio erano passati alla più aggressiva “Playstation”, improvvisamente l’attenzione del grande pubblico era rivolta ad una sola console da gioco, capace con il suo ecosistema di multiplayer online di plasmare un mercato che ancora oggi sopravvive proprio grazie alle folli cifre che ruotano attorno all’online gaming. Sappiamo tutti che gli sforzi di Microsoft nel sostenere e promuovere Xbox 360 non si spinsero fino agli ultimi giorni del suo ciclo vitale, ma almeno nelle sue fasi iniziali il colosso di Redmond si lanciò in investimenti sperticati per riuscire ad oscurare lo strapotere di Sony e a far dimenticare l’ombra del successo di PlayStation 2, ancora oggi conosciuta non solo come la console più venduta al mondo, ma anche e soprattutto l’unica passerella su cui sfilarono alcuni fra i più riusciti prodotti Made in Japan prodotti all’epoca.
D’altra parte i primi vagiti di PlayStation 3 non furono di certo di buon auspicio, e per diverso tempo l’architettura Cell dell’hardware nipponico rimase un vero e proprio mistero per la stragrande maggioranza degli addetti ai lavori, tanto che solamente i titoli sviluppati internamente – e pubblicati solo in un secondo momento – riuscirono a mostrare con grande efficacia cosa si potesse davvero sfornare sui capientissimi blu-ray disc proprietari. Tutto questo mentre i titoli multipiattaforma venivano prima sviluppati su Xbox 360 per facilitare il lavoro agli addetti ai lavori poi essere portati – spesso da gruppi esterni e meno interessati alla qualità del prodotto finale – su PS3, con risultati spesso risibili.
Fra esclusive storiche strappate senza colpo ferire alle console nazionali giapponesi e strampalati reboot creati da un ingenuo plotone di artisti dagli occhi a mandorla nella disperata ricerca di inseguire gli stereotipi visivi e i canovacci narrativi dei prodotti made in USA, sembrava che l’unico modo per riuscire a vendere qualcosa ai “gaijin” dovesse in quel momento passare attraverso il vigile occhio di un comitato di yankee pronto a occidentalizzare anche il più classico dei brand made in Japan.
I tentativi di Microsoft, tuttavia, non erano mirati solamente a colonizzare culturalmente i videogiochi e popolarli di migliaia di first person shooter online, ma anche a cercare di cogliere l’interesse di una sparuta fetta di giocatori ancorati agli stilemi di un genere classico come quello dei JRPG. Proprio per questo motivo furono stretti diversi accordi con alcune tra le più grandi realtà dell’epoca per fornire alla console di casa Microsoft un portfolio sufficientemente fornito di prodotti a medio e alto budget, co-finanziati da papà Bill Gates, s’intende. Final Fantasy impiegò diversi anni a fare capolino su home console e il risultato, come ben sappiamo, fu anche piuttosto controverso, mentre i capitoli numerati di Dragon Quest rimasero appannaggio delle sole console portatili, poiché erano le uniche ancora popolari in terra natia: qual era la direzione da prendere?
Viaggio in Occidente
In un panorama ormai orfano dei suoi pilastri più rappresentativi fecero il loro ingresso le grandi produzioni Mistwalker forti di nomi di grande richiamo mediatico come Hironobu Sakaguchi, il creatore della già citata serie Final Fantasy, o Nobuo Uematsu, storico compositore Squaresoft a sua volta legato all’eredità del ricordo dell’amatissima saga JRPG. Lost Odyssey e Blue Dragon tentavano di portare in esclusiva su Xbox 360 rispettivamente le atmosfere di Final Fantasy e Dragon Quest, ma Microsoft era già pronta a foraggiare lo sviluppo di altri videogiochi dal forte gusto nipponico nella speranza di abituare il pubblico di riferimento – e di conseguenza, gli appassionati occidentali – all’avvento di una vera e propria nuova arca di salvezza per il genere ruolistico. Non a caso, anni più tardi, Sony perdette anche l’esclusiva all’epoca consolidata dei capitoli numerati della saga Final Fantasy, nello sconforto più totale dei nazionalisti giocatori nipponici.
Non contenti di aver prodotto in prima persona lo sviluppo di due titoli AAA – che tuttavia non convinsero particolarmente il mercato di riferimento – i Microsoft Studios decisero di spingersi oltre, contattando diverse software house per proporre loro accordi di esclusività di prodotti che potessero richiamare gli appassionati del genere videoludico nipponico per eccellenza. Sviluppati in fretta e furia, diversi videogiochi di etichette rinomate come Square Enix e Bandai Namco (all’epoca Namco Bandai) arrivarono sugli scaffali dei negozi in esclusiva per l’americanissima console, mentre il versante PlayStation 3 vedeva solamente il sommarsi di produzioni low-budget di publisher minori che per grande tempo fecero la fortuna di distributori statunitensi come NIS America, che fu ben lieta di portare in Occidente (spesso con traduzioni approssimative) un gran numero di prodotti di basso profilo capaci di tenere alto l’interesse di una specifica nicchia ormai affamatissima e in grado di cannibalizzare anche il più becero dei prodotti purché avesse uno stile estetico anche solo lontanamente riconducibile agli anime.
Così facendo, nel 2008 potevamo scegliere fra un Cross Edge su PlayStation 3, videogioco minato da una messinscena statica e prettamente bidimensionale mutuata dal popolare genere delle visual novel, o fra un Infinite Undiscovery, action RPG interamente poligonale pubblicato da Square Enix e sviluppato da tri-ACE, sviluppato di un certo pedigree.
Sebbene in entrambi casi si stesse parlando di prodotti tutto sommato dimenticabili – seppur con alcune caratteristiche degne di essere ricordate -, è ben noto a tutti che la guerra della promozione si fa soprattutto a suon di immagini e video pubblicitari, e l’utente meno smaliziato era chiaramente portato a scegliere di investire in videogiochi baciati da valori di produzione mediamente più alti anche solo per poter aver la soddisfazione di vedere flettere i muscoli della propria nuova console. Ciò che noi consumatori non potevamo sapere, tuttavia, è che quegli stessi accordi presi con gli sviluppatori orientali prevedevano sì un co-finanziamento (spesso parziale) da parte di Microsoft, ma anche un’esclusività che ne precludeva l’arrivo su altre piattaforme, soprattutto in Occidente.
Tales of Vesperia fu una delle tante vittime di quel particolare momento storico, raccontato ancora oggi dai protagonisti dell’epoca come uno fra i più oscuri mai vissuti in Oriente. Se è vero che il tanto agognato decimo capitolo della saga Tales of di Bandai Namco riuscì a farsi valere come uno dei migliori e più completi JRPG per Xbox 360, immaginate il furore che si creò attorno allo stesso quando sui mensili giapponesi venne pubblicato l’annuncio dell’arrivo in esclusiva PS3 di una versione riveduta e corretta, comprensiva di ben due personaggi extra reclutabili nel party di protagonisti (e tracce di questi personaggi erano già visibili nell’edizione Xbox360, evidentemente impacchettata e distribuita in fretta e furia) e un ammontare di modifiche e contenuti extra tale da aumentare la longevità – già piuttosto generosa – di ben trenta ore di gioco extra, fra sbloccabili, obiettivi segreti e contenuti inediti. Un annuncio talmente inaspettato e dai tratti quasi truffaldini che, essendo stato dato a pochi mesi dal lancio del gioco in terra natia in esclusiva per Xbox 360, venne recepito dalla fanbase nipponica con vere e proprie dimostrazioni di sdegno. Non furono pochi gli episodi di pagine dei mensili recanti la scandalosa notizia date alle fiamme, riprese e sfoggiate online, così come non furono rare le dimostrazioni di follia collettiva che includevano la rottura dei DVD di gioco dell’edizione Xbox 360 trasmesse in diretta online, seguite da petizioni forse un po’ eccentriche (ma mettetevi noi nei panni di coloro che comprarono la console solo per giocare a Tales of). E no, meglio che non mi metta a raccontare di Eternal Sonata e del fatto che subì lo stesso destino.
Arrivato sul mercato solamente un anno più tardi, Tales of Vesperia su PlayStation 3 non recava nemmeno un titolo arricchito di prefissi o sottotitoli che ne rendessero subito chiara la natura espansa (come capitato a Tales of Graces F anni più tardi nel passaggio da esclusiva Nintendo Wii a riedizione per PS3), come se in effetti quella fosse l’unica vera incarnazione di cui tenere conto. Uno smacco talmente imponente che vide anche nella confezione di gioco l’inclusione di un libretto recante un grottesco ringraziamento da parte di Bandai Namco ai giocatori dell’edizione Xbox 360, trattati al pari di beta tester (paganti) di quella che era, a tutti gli effetti, un’edizione giudicata “incompleta” dagli stessi sviluppatori. Quello che noi occidentali ignoravamo, ovviamente, è che gli accordi presi con Microsoft prevedevano che questa riedizione del gioco non sarebbe mai arrivata a noi durante la settima generazione di console, e nonostante gli appassionati richiedessero a gran voce l’opportunità di poter comprare nuovamente il gioco (incredibile, ma vero), vennero accolti a suon di risposte passivo-aggressive su twitter da parte dei social media manager dell’etichetta di Tekken e Pac Man.
Diversi anni più tardi venne pubblicata in rete una patch traduttiva di natura fanmade proprio per questa edizione del titolo (ora resa irraggiungibile dallo stesso staff per sostenere l’edizione commercializzata su console di attuale generazione), che riprendendo nella totalità i testi dell’edizione Xbox 360 andava anche a tradurre in inglese le parti inedite, dando accesso a tutti gli scenari extra fino a quel momento inaccessibili al grande pubblico anglofono. Tuttavia l’unico modo per fruire di questa lettera d’amore alla serie – già sostenuta in Occidente da una fanbase che si è fatta carico nel tempo dell’onere di traduzione di alcuni capitoli mai giunti in Occidente, come nel caso di Tales of Innocence per Nintendo DS o della riedizione PSone di Tales of Phantasia, remake del capostipite del franchise – era quello di possedere una PS3 modificata, pezzo di hardware già raro all’epoca e ancora oggi praticamente introvabile se non si è disposti a sborsare cifre pazzesche su eBay per scatole di plastica e silicio già condannate all’obsolescenza per difetti di architettura.
Sembrava, insomma, che il decimo capitolo della saga Tales of, apprezzatissimo in Occidente e celebrato in terra natia fosse ormai inteso come esclusiva del mercato nipponico; uno scenario non del tutto sorprendente se pensiamo che gran parte dei JRPG delle ere videoludiche precedenti riuscivano ad arrivare a malapena a toccare il mercato statunitense.
La nuova direzione di Bandai Namco
Col passaggio degli anni e il ritorno sulla cresta dell’onda di PS3 in termini di popolarità grazie alla pubblicazione di numerose esclusive da parte di Sony, la saga potette andare incontro ad un vero e proprio rinascimento tutto occidentale, sostenuto dalle politiche aggressive del producer Hideo Baba (ora al lavoro per Square Enix). Dal 2013 ad oggi abbiamo potuto vedere sfilare in tempi relativamente brevi sulla console Sony (e non solo) titoli come Tales of Xillia, Tales of Xillia 2, Tales of Zestiria, Tales of the Abyss, il remaster di Tales of Symphonia (sequel incluso) e Tales of Berseria. La fiducia nelle potenzialità della serie ruolistica in termini di proiezioni di vendita videro Bandai Namco addirittura spingersi a localizzare Tales of Hearts R per PS Vita, console ritenuta spesso poco interessante dai giocatori occidentali, ma assolutamente indispensabile per gli amanti dei videogiochi dallo spiccato gusto nipponico, come appunto JRPG e Visual Novel. Un successo incredibile, soprattutto se pensiamo che per anni la pubblicazione di un capitolo della saga Tales of in Occidente era avvertita dagli appassionati europei e statunitensi come un vero e proprio evento. Ricordo infatti che in Europa prima dell’avvento su Xbox 360 di Tales of Vesperia, decima iterazione della serie, si potevano ricercare nei negozi del Bel paese solamente un terribile porting per Game Boy Advance del capostipite, Tales of Phantasia, la celebratissima (forse anche troppo) esclusiva Nintendo Game Cube, Tales of Symphonia, e infine Tales of Eternia su Sony PSP, porting del terzo capitolo originariamente pubblicato per PsOne e giunto in Occidente – in esclusiva americana – col nome di Tales of Destiny 2. Alla conta mancavano ben sei titoli principali.
La percezione dell’utente medio durante il rinascimento occidentale della saga Tales of era forse quella che la saga JRPG stesse diventando una produzione massificata spinta dalla voglia di raggiungere una pubblicazione a cadenza annuale come quella di franchise ben più noti, come la saga di Assassin’s Creed o gli sportivi EA, ma la realtà è che in terra natia questa serie JRPG era sempre stata piuttosto prolifica, alternando di capitolo in capitolo team di sviluppo differenti e proponendo soluzioni ludiche spesso diversificate, seppur accomunate da un’estetica che vedeva il continuo riciclo di famosi character designer e direttori artistici.
L’attuale politica Bandai Namco di sviluppo in-house è notevolmente cambiata e sebbene negli anni scorsi il marchio Tales of sembrava essere tornato sotto l’egida PlayStation – complice anche la sua popolarità ripristinata -, lo sbarco su Steam e il successo di capitoli come Zestiria, Berseria e Symphonia sulla piattaforma di riferimento per la “master race”, così come la rapida crescita in termini di unità vendute di Nintendo Switch non può ovviamente più essere ignorata. Silurato Hideo Baba dal ruolo di producer dopo il malcontento generato da Tales of Zestiria (tanto che la serie animata ispirata dal videogioco e prodotta da
Ufotable è ormai ritenuta più canonica del JRPG stesso) e sostituito col più giovane Yusuke Tomizawa, sembra che per il franchise bolla in pentola un ben più florido futuro, con un occhio di riguardo per il mercato occidentale, finalmente percepito non solo come un covo di yankee amanti degli sparatutto (e per questo dovremmo per sempre ringraziare lo stratosferico successo di Bravely Default su Nintendo 3DS, che ha aperto gli occhi ai produttori giapponesi). Ma la grande rivoluzione è quella di voler spingere la saga ad un futuro tutto multipiattaforma.
Ed è così che dopo 10 anni di tribolazioni, piagnistei, salti pindarici di social media manager sull’orlo di una crisi di nervi e ripensamenti da parte di appassionati spinti all’annichilimento economico, oggi possiamo giocare la versione definitiva di quello che da molti è apprezzato come uno dei migliori capitoli 3D della saga di Tales of nella sua “edizione definitiva”: diamo quindi un caloroso bentornato a Tales of Vesperia: Definitive Edition su PS4, Xbox One, Nintendo Switch e PC.
Trattasi di un JRPG che seppur infarcito del padding tipico della serie rappresenta forse la summa maxima dei capitoli tridimensionali della saga prima dell’avvento di Xillia e delle sue frenetiche concatenazioni di Link Artes. Un videogioco che ovviamente mostra tutti gli anni che porta sul groppone a livello prettamente ludico, ma che rimane forte di un’estetica in cel shading senza tempo finemente riportata in auge dall’alta risoluzione e dai 60fps offerti dalle piattaforme di corrente generazione. Duole l’assenza dell’inclusione dell’adattamento animato prodotto dallo studio di animazione Production I.G. “Tales of Vesperia: The First Strike” che precede gli eventi del videogioco facendo maggior luce sul rapporto fra l’antieroe Yuri e il suo amico/rivale Flynn, ma bisogna ammettere che tornare indietro di dieci anni e vestire i panni di quell’affiatato gruppo di avventurieri beandosi della traccia audio giapponese è sicuramente un’esperienza esaltante per chi ha atteso per così tanto tempo di poterlo fare, e nel caso foste affezionati alla traccia audio anglofona, attenzione al cambio repentino di doppiatori: pur di risparmiare sul risparmiabile (non esattamente una novità in casa Bandai Namco quando si tratta di traduzioni), sono stati ingaggiati dei nuovi attori che subentrano alle battute dei precedenti, con risultati talvolta esilaranti. Neanche a dirlo, ancora una volta, la fanbase si è già mossa al riguardo. Il banchetto è sicuramente ghiotto, seppur inevitabilmente (o squisitamente, a seconda dei gusti) old school, ma il risultato di questa pubblicazione in termini storici è il vero traguardo di Tales of Vesperia: Definitive Edition. E chissà cosa ancora ci riserva il futuro su home console…