Ashen one…
Una fitta coltre di cenere riveste Lothric, la città nasconde lentamente la sua magnificenza sotto questo grigiume. Sedimentata sotto uno strato di cenere, ci sono le spoglia di una città ormai deceduta. Le mura del castello svettano alte e imponenti, seppur prive ormai di qualsiasi significato, come un tempio senza dei Lothric è ormai solo un ricordo, un simbolo di qualcosa che è stato e che ormai non è più. Abbandonati i parossistici vaneggiamenti Lovercraftiani, ritorniamo alle atmosfere cupe e medievaleggianti tipiche della serie. Lothric non è Anor Londo, non è una città in cui i segni di una grandezza che fu sono ancora vivi, Lothric è ormai vuota, spenta, morta. Immersa in un tramonto senza fine Lothric non ha altra opzione se non il decadimento, lasciandosi ricoprire lentamente dalla cenere. Miyazaki in questa terza interazione ci racconta di un regno ormai sconfitto e privo di qualsiasi speranza. Il messaggio è chiaro: la fiamma è ormai spenta. Il ciclo sta per volgere al termine. Decadenza o rinascita. Abbandono o nostalgia. Probabilmente sarà stato più facile correre sotto il fuoco dei draghi, che attraversare la città camminando sopra uno strato di cenere.
Dopo l’ottimo lavoro fatto con Bloodborne, Miyazaki torna a battere un sentiero già sperimentato e conosciuto: siamo ben lontani dalle febbrili e perverse ambientazioni di Bloodborne, e riuscire a veicolare le stesse sensazioni, con la stessa coerenza e risolutezza è difficile, le vette immaginifiche raggiunte dall’ultimo Soulslike sono – almeno per ora – ancora irraggiungibili, eppure se c’è una cosa in cui Dark Souls 3 riesce tremendamente bene è quella di lasciare ugualmente un messaggio forte e chiaro al giocatore. Non ci troviamo all’interno di un incubo corrotto, non siamo pervasi dalla follia e la disperazione, la decadenza che in Bloodborne era morale e mentale, qui invece assume una connotazione più ampia, estendendosi su ogni singolo elemento architettonico e restituendo così al giocatore la sensazione di trovarsi all’interno di un mondo ormai sconfitto e abbandonato a se stesso. Miyazaki si lancia nel difficile compito di amalgamare e rendere coerente la lore di tutti capitoli, partendo da quanto visto in Dark Souls e senza lasciarsi influenzare dalle sviste compiute col secondo capitolo, cercando anche – ove possibile – di mettere una parola fine a questa lunga e ermetica storia. Miyazaki mette in piedi una macchina narrativa ancora una volta complessa, fatta di tanti piccoli frammenti, quasi come un mosaico da ricomporre cercando di delineare una figura quanto più precisa possibile. Dialoghi, brevi cut-scene e tante tantissime descrizioni compongono a conti fatti la narrazione di ogni capitolo della serie Souls. Nascosto sotto uno strato di apparente inconcludenza c’è in realtà una storia davvero profonda e interessante. Miyazaki non cambia idea, non ritratta, non vi accompagna per mano in questo viaggio, come al solito vi chiede di essere attenti e partecipi, dandovi tutti gli strumenti – o quasi – per recepire il messaggio che lui stesso tenta di trasmettere. Inutile girarci intorno, Dark Souls 3, così come tutti i suoi precedessori, vi chiederà anche sotto questo punto di vista un impegno e una dedizione che nessun’altro gioco vi richiede: la lore è quasi sempre fumosa, criptica, ermetica a tal punto che elucubrazioni e dati di fatto si fondono e si amalgamano più che per necessità che per volontà. Il risultato è un sistema narrativo unico nel suo genere e che appunto saprà ricompensarvi nella stessa maniera in cui deciderete di essere partecipi.
Giunti al terzo capitolo canonico, senza contare il capostipite Demon’s Soul e l’ottimo Bloodborne, il rischio di trovarsi tra le mani un more of the same è quanto mai alto, a maggior ragione quando il gioco, oltre che rimescolare le carte in tavola di un genere, ne ha proprio creato uno, partendo dall’impostazione base di un Action-RPG e rielaborando il tutto in quelli che ormai sono conosciuti come Soulslike. Mettendo quindi da parte tutti i capitoli della serie, i titoli di questo “nuovo” genere iniziano ad aumentare a vista d’occhio col rischio di inflazionare quella che era, almeno fino a qualche tempo fa, un’esperienza completamente unica. Nonostante passino gli anni, per fortuna, Dark Souls diverte e convince proprio come agli albori. La formula ludica creata da From Software è ancora solida e non si lascia scoraggiare da un sempre maggior numero di cloni e allo stesso tempo non si piega a quelle che sono le ottiche di mercato ma anzi viaggia sempre controcorrente, restando non solo fedele a se stessa ma fedele a quei fan conquistati nel corso di questi anni e che si aspettano, capitolo dopo capitolo, di ritrovare lo stesso sistema di gioco, vuoi con miglioramenti e modifiche, vuoi con i dovuti aggiornamenti ma sempre e comunque identico e in linea alla filosofia di gioco tipica della serie.
Tornano quindi tutti gli stilemi a cui ormai siamo abituati: scudi e spade, magie e bastoni, archi e frecce. Il tutto come al solito confezionato quasi alla perfezione, creato rispettando quella maniacalità che solo Miyazaki sa imprimere. Impossibile inoltre non scorgere qualche influenza Bloodborniana qui e la, tra location quantomai cupe e macabre, ma soprattutto in un gameplay che sembra ancora più veloce e dinamico. Il nostro personaggio, pur non essendo agile come un cacciatore, si muove davvero velocemente. Il ritmo è serrato ma non insensatamente frenetico. Tatticità e rapidità di esecuzione si mescolano sapientemente, Dark Souls 3 si riconferma maestro nel creare un giusto mix ludico, costringendo, come al solito, il giocatore ad imparare dai propri sbagli, senza mai svilirlo, senza mai umiliarlo o punirlo per errori che in realtà non ha commesso. Non si tratta di essere difficile perché va di moda, si tratta di instillare nel giocatore una mentalità ormai quasi del tutto scomparsa e che agl’occhi di giocatori – o critici – inesperti può sembrare eccessivamente punitiva o sbilanciata. Piuttosto a non convincerci è stata la versione 1.00 da noi testata, per tanto ogni considerazione sulla difficoltà può essere soggetta a variazioni, più o meno grandi, in vista della patch del dayone; di fatto le Boss Fight seppur incredibilmente ispirate ci hanno lasciato l’amaro in bocca perché davvero troppo facili. Escluso qualche scontro abbastanza difficile (ed epico) non abbiamo faticato molto a sconfiggere questi avversari, paradossalmente ci hanno impegnato di più i diversi nemici incontrati lungo la strada, complici moveset spesso imprevedibili e ben studiati. Come detto poco sopra la patch del day one cambierà molte di queste cose, di fatto probabilmente il livello generale di difficoltà può essere stato ritoccato verso il basso per permettere ai redattori meno capaci di portare a termine il gioco senza troppi intoppi. Scelta su cui non ci troviamo d’accordo ma che ci pare comunque avere un senso. Parlando sempre di nemici, l’estrema variabilità di questo terzo capitolo è sicuramente convincente: tra il ritorno di vecchie conoscenze e creature completamente inedite c’è davvero l’imbarazzo della scelta, non si tratta unicamente di scelte estetiche ma anche ludiche; ogni avversario – soprattutto i nuovi – saprà impegnarvi in modo diverso, costringendovi il più delle volte a rivedere le vostre tattiche.
Il compito più difficile di Dark Souls 3 è sicuramente quello di non stancare nonostante gli anni e i capitoli già usciti, per far fronte a questa sete di novità Miyazaki, complice l’esperienza fatta con Bloodborne, smonta e rielabora alcuni elementi del gameplay. Attraverso l’introduzione di alcune abilità presenti praticamente per qualsiasi arma è possibile, tramite il grilletto sinistro, mettersi in posa ed utilizzare diversi tipi di attacchi secondari. Ecco che vediamo uno spadone roteare a 360 gradi, o una katana effettuare un affondo verso l’alto improvviso e letale. Scelta di gameplay sicuramente coraggiosa e portata avanti con una certa convinzione, infatti persino gli scudi non sono stati esclusi da questa meccanica, dividendoli di fatto in due grosse categorie: quelli da parata (leggasi parry) e quelli da attacco. Stilisticamente parlando è davvero incredibile vedere il proprio personaggio mettersi in posa, aspettare e prepararsi ad un attacco devastante. Nell’economia di gioco però la scelta non si rivela così impattante come è stato per Bloodborne la trasformazione dell’arma, spesso ci si dimentica di questa possibilità e si ha la sensazione di aver in mano uno strumento utilizzato per puro entertainment più che reale necessità ludica. La Ready Stance si fonde all’interno di un gameplay come al solito quasi perfetto, senza mai essere preponderante e senza mai esaltare o motivare il giocatore quel tanto che basta da influenzarne lo stile di gioco, complice anche il costo da pagare (in termini di mana) la ready stance diventa un corollario tutto sommato inutile, un’aggiunta che, seppur gradita, non cambia realmente le carta in tavola pur avendone tutte le capacità. L’idea di base è sicuramente interessante ma non riesce a trovare una giusta collazione all’interno dell’economia ludica, perdendo presto l’interesse del giocatore.
Giocatore troppo impegnato oltre che nel sopravvivere, nell’ammirare i suggestivi paesaggi che il gioco offre. Difficile ricreare una suggestione tale da surclassare il lavoro fatto con Bloodborne, i vaneggiamenti Lovercraftiani di Miyazaki rimarranno insuperati ancora per un po’, eppure bisogna dare atto a From Software di essere comunque riuscita a restituire sensazioni nuove e soprattutto coerenti con la narrazione. Se nel primo Dark Souls era preponderante il concetto di decadenza qui, invece, il messaggio è quello dell’abbandono. Lothric, così come ogni altra ambientazione, è abbandonata a se stessa, vuota, morta. La progressione è quanto mai veloce con la possibilità di taletrasportarci sin da subito, il gioco si snoda da un hub centrale in cui interagire con diversi NPC (l’interazione è ottima in questo capitolo) e ovviamente potenziare il proprio personaggio. A mancare forse è quel guizzo di genio – atteso e richiesto dai fan – nel level design. L’esplorazione è quanto mai lineare, mancano le interconnessioni, manca una certo studio della topografia, manca la libertà del “perdersi” all’interno di un mondo ostile sconfinato e bellissimo. Il level design, seppur d’altissimo livello, non ci entusiasma: le singole aree si snodano spesso in anfratti secondari, tanti, tantissimi oggetti da recuperare sono sparsi per le ambientazioni eppure la cosa termina lì e anzi dopo un discreto numero di ore si ha già in mente come funzionerà la progressione della prossima area. Si parte da un falò iniziale, si prosegue stando attenti a quelle (poche) diramazioni e giunti al boss si trova il più delle volte uno shorcut nelle vicinanze di un secondo falò. Mancano quindi quelle viscerali e contorte ambientazioni che si arroccano su stesse e che, incredibilmente, si interconnettono anche con le altre, creando l’illusione – bellissima – di stare all’interno di un mondo vero.
Non che Dark Souls 3 sia studiato male, anzi osservando dall’alto gran parte delle ambientazioni ci si rende conto del loro posizionamento topografico e di quanto siano estese risultando comunque credibili. Un lavoro che quindi da un punto di vista estetico convince ma che non si piega concretamente ai voleri del gameplay e che, almeno in parte, delude le aspettative riposte. Il ciò va a sommarsi a una durata generale dell’opera decisamente inferiore alle altre, in un primo playtrough di poco più di 30 ore abbiamo terminato il gioco e anche esplorato la metà delle aree secondarie e relativi boss, non che trenta ore siano poche ma è facile rendersi conto come il contenuto sia quantomai misero se paragonato ai precedenti capitoli. A maggior ragione se il titolo non si prende la briga nemmeno di correggere i soliti difetti: frame rate ballerino, telecamera non sempre precisa e multiplayer talvolta instabile con tempi di attesa spesso biblici. Nel complesso tecnicamente parlando, almeno su console, Dark Souls 3 non ci fa certo gridare al miracolo. Le ambientazioni, seppur bellissime e incredibilmente ispirate, a stento reggono il confronto con Bloodborne che, pur presentando scenari decisamente più piccoli e stretti, aveva dalla sua un numero di dettagli e di elementi presenti su sfondo decisamente maggiore. Le migliorie estetiche sono state fatte invece per quanto riguarda gli equipaggiamenti: sempre ricchi di dettagli, con diversi strati e materiali che creano un effetto davvero bello a vedersi, lo stesso dicasi per gli effetti particellari delle magie.
Nel complesso quindi ci ritroviamo con un episodio comunque riuscito, un titolo che un fan della saga divorerà senza troppo pensarci, che lo appassionerà e lo divertirà come sempre.