Complice il suo arrivo tra i giochi inclusi nell’abbonamento PlayStation Plus e un contemporaneo senso di frustrazione nei confronti di Final Fantasy VII Rebirth, ho pensato bene di provare un gioco particolarmente chiacchierato dell’ultimo anno, Dave the Diver. Celebre anche suo malgrado, in quanto classificato come gioco indie ma sviluppato da una sussidiaria di Nexon, azienda coreana con un fatturato di circa 1,5 miliardi di euro nel 2021, una situazione abbastanza lontana dall’immaginario tipico delle produzioni indipendenti.
Nonostante questa controversia sacrosanta, il gioco ha comunque ricevuto la sua nomination come miglior gioco indie ai The Game Awards, oltre a vincere un BAFTA per il Game Design a mio onesto parere abbastanza immeritato. Nei panni di Dave, un sommozzatore sovrappeso con cui ho abbastanza empatizzato soprattutto quando venivano fatte delle contrapposizioni tra le sue effettive capacità e le sue rotondità, veniamo contattati da un vecchio amico, Cobra, che ha trovato una nuova occasione di business. Ha deciso infatti di aprire un ristorante di sushi nel Profondo Blu, un mare misterioso dove è possibile pescare una enorme vastità di pesci di qualunque tipo esistente (e non, verrebbe da dire).
Al suo fianco c’è Bancho, uno chef di colore esperto della tradizione culinaria giapponese fortemente votato alla sperimentazione più sfrenata e desideroso di offrire piatti tanto gustosi quanto inusuali, tipo una testa di squalo fritta nella sua interezza. Con Cobra alla gestione e Bancho in cucina, il ruolo di Dave è quello di immergersi nel Profondo Blu e di pescare il miglior pesce possibile, ma non finisce qui: terminata la giornata di caccia, la sera Dave ha il compito di organizzare il menu del ristorante a seconda del pescato disponibile nonché ricoprire il ruolo di maître di sala: servire i clienti, versare il tè verdee e pulire i tavoli, il tutto con una stamina limitata dal peso del nostro protagonista.
Ovviamente Dave the Diver ha molto altro da offrire: una trama legata ad un leggendario popolo marino, un sistema di gestione del ristorante che diventerà sempre più complesso proseguendo nel gioco e tante, tante quest secondarie; talmente tante che fanno quasi perdere di vista il focus del gioco, dando l’idea di aver puntato più sulla quantità rispetto alla qualità, in cambio di una cinquantina di ore del vostro tempo (se puntate al completismo più sfrenato). Non posso negare di essermi intrattenuto abbastanza nell’immergermi in questo mare blandamente procedurale e ad elaborare menu stravaganti e gustosi, eppure nella mia testa ha comunque continuato a suonare tutto sbagliato e problematico.
Da diversi mesi ho abbracciato il tanto contestato stile alimentare vegano, eliminando gradualmente la presenza di proteine animali dalla mia dieta. Una scelta fatta per motivi principalmente politici, volta al non sentirmi partecipe in un sistema di sfruttamento tra i più violenti e anacronistici del sistema capitalista, con la naturale conseguenza di venire a conoscenza di nuove filosofie tra cui l’antispecismo. Facendo direttamente un copia-incolla da Wikipedia, L’approccio antispecista afferma che:
- Le capacità di sentire (di provare sensazioni come piacere e dolore), di interagire con l’esterno, di manifestare una volontà, di intrattenere rapporti sociali, non siano prerogative della specie umana;
- L’attribuzione di tali capacità agli animali appartenenti a specie non umane comporti un cambiamento essenziale del loro status etico, da equiparare a quello normalmente riconosciuto agli animali di specie umana;
- Da ciò debba conseguire una trasformazione profonda dei rapporti tra individui umani ed individui non umani.
In sostanza, l’antispecismo mette esseri umani e animali sullo stesso piano e, pertanto, meritevoli di vivere una vita da liberi, priva di sfruttamento di alcun tipo. Dave the Diver non è che faccia orecchie da mercante in tal senso, ma affronta la questione con una retorica abbastanza diffusa secondo la quale la pesca è un problema minoritario rispetto ai grandi allevamenti terrestri e difendendo quella che è un’attività di pesca tutto sommato ridotta rispetto ai danni causati dalla pesca intensiva.
Pesca che, ci tengo a precisare, parte con un semplice arpione e finisce con lanciagranate e tutta una serie di equipaggiamenti sì pensati per la componente ludica, ma estremamente dissonanti. È anche interessante l’introduzione, tra gli antagonisti del gioco, di una sedicente associazione ambientalista chiamata Sea Blue ed il suo leader John Watson: un’organizzazione che sulla carta nasce per difendere i mari ma che, in un laboratorio segreto, ha avviato un impianto di lavorazione di carne di delfini.
La ridicolizzazione in sé fa parte del tono scanzonato dell’avventura, ma è impossibile non notare anche una satira facile di organizzazioni come Greenpeace o Sea Sheperd, quest’ultima peraltro molto attiva nel contrastare la caccia alle balene nei mari giapponesi e, casualità, sudcoreani. Va anche detto che dipingere gli attivisti come psicopatici è una cosa che non passa mai di moda nei media, pertanto ha perfettamente senso che ciò avvenga anche in un’esperienza videoludica. Persino il popolo del mare, una civiltà nascosta nel Profondo Blu, non sembra curarsi molto delle nostre attività, anzi legittima il nostro lavoro nonostante l’iniziale diffidenza e qualche parolina sull’inquinamento.
Per chiudere il cerchio dei luoghi comuni ed avere la giusta dose di mani alzate sulle tematiche ambientali ci sono poi una sfida speciale basata sul sushi vegano, ma soprattutto l’impossibilità effettiva di catturare tutti i pesci del gioco. Dave the Diver è pieno di eventi casuali, tra cui momenti di esplorazione fine a sé stessa basati sulla fotografia. Viene perciò naturale chiedersi perché è possibile catturare una pletora di animali acquatici ma non le mante o un cucciolo di megattera, piuttosto meritevoli di una foto da vendere su una rivista. Un controsenso che mi ha fatto ricordare quando, con una certa ilarità, avevo fatto notare alla mia compagna che il ristorante interno alla fine dell’Acquario di Genova fosse a base di pesce, forse più brutto rispetto a quello esposto nelle altre vasche, chissà.
Dave the Diver potrebbe aver vinto meritatamente il suo BAFTA (nonostante meccaniche non proprio originalissime e un Cocoon tra i candidati che un po’ grida vendetta) ma è certo che le tematiche che cerca di trattare sono risolte in modo un po’ scialbo e anche un po’ sulla difensiva. Un po’ come il Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste Francesco Lollobrigida che dichiara che l’uomo è l’unico essere vivente senziente, rendendo di fatto ogni altro animale dei meri soprammobili. I miei gatti non ne saranno contenti.