È tempo di scoprire in sede di recensione cosa Days Gone ha veramente da dire ai giocatori.
E finalmente giunge la recensione di Days Gone. Un parto più che un’uscita videoludica. Vessato da molti difetti riscontrati in fase di anteprima, rimandato più volte, presentato, o meglio percepito, dal grande pubblico come l’ennesimo open world senza arte né parte. Diciamocelo, ci aspettavamo che il debutto di Bend Studio tra le fila dei “campioni di Sony” potesse rivelarsi qualcosa di non esaltante. Piuttosto sorprendentemente invece, Days Gone è un titolo di indubbio valore, che ha saputo convincerci, seppur non manchino innegabilmente dei problemi.
La storia di Days Gone parte da un soggetto molto noto, e racconta una delle distopie più abusate degli ultimi tempi. Un giorno come un altro, il mondo sprofonda nel caos. Una non meglio identificata infezione si diffonde ovunque trasformando le persone in bestie senza senno assetate di sangue. Non parliamo però del classico zombi putrefatto e lento. Siamo infatti dalle parti degli infetti di Io sono Leggenda, o World War Z, mentre per rimanere in ambito videoludico, ci hanno ricordato sicuramente i Clickers di The Last of Us. Bestie rumorose e fameliche, agili e velocissime.
Il protagonista del titolo, Deacon St. John, motociclista convinto, di quelli “bandane e tatuaggi”, in circostanze tutte da scoprire si troverà a perdere le tracce dell’amata moglie Sarah mentre l’apocalisse virale prenderà piede nel paese. Qualche anno dopo Deacon e il compagno di scorribande Boozer, si ritrovano sopravvissuti allo sbando, in continuo movimento per l’Oregon seguendo come un mantra un’unica regola: se ti fermi sei spacciato. Ovviamente, rigorosamente in sella della propria moto e fedeli alla filosofia dei centauri. Il paese è dominato dalla fobia per i furiosi e dai vari freaks e delinquenti che si contendono strade e territori, in un mondo in cui ormai la violenza la fa da padrona, e la popolazione incapace di adattarsi ad uno stile di vita così selvaggio, vive di stenti, costruendo comunità accampate in mezzo alla natura.
Days Gone: un inferno fatto di persone
La trama imbastita da Days Gone ci ha profondamente convinti. Partendo da alcuni cliché noti al genere post apocalittico, e veicolando comunque espedienti talvolta finalizzati ad allungare il brodo ludico, si scorge un tessuto narrativo intrigante e maturo. I personaggi principali, a partire dal nostro protagonista, sono tutti molto ben caratterizzati, ognuno ha un’indole unica ma sfaccettata e talvolta imprevedibile. Decon per esempio, è mosso da un forte spirito di libertà, è un personaggio disilluso, ironico e cinico, che come tutti gli altri comprimari che incroceranno i suoi passi, convive con le contraddizioni e le fragilità di ogni essere umano, che lo rendono un personaggio estremamente interessante da impersonare. Mosso dalla volontà di proteggere le persone che stima o a cui si è legato come il “fratello” Boozer e dal desiderio di scoprire tutta la verità dietro la scomparsa di Sarah, intraprenderà un viaggio complesso e affascinante, fatto di molti momenti introspettivi e interazioni sociali credibili e ricche di significato, che trapela nel caso dei personaggi più caratterizzanti per la trama, in maniera sentita e sottile, come ci si aspetterebbe da un prodotto scritto con una certa maturità.
Gli sceneggiatori di Days Gone hanno sapientemente distillato nella formula di gioco tre importanti centri nevralgici della narrazione, alternandoli, tra quest secondarie e principali, in modo da fornire con cadenza piuttosto serrata sempre una prospettiva interessante sul mondo di gioco. Abbiamo il passato di Deacon, i lunghi flashback, frammentati lungo la progressione, che raccontano e approfondiscono la caratterizzazione del protagonista e il suo rapporto con Sarah, dandoci modo di immedesimarci molto di più con il suo senso di perdita. Abbiamo poi il filone legato alla storia principale che si dipana in macro archi narrativi colmi di eventi importanti e non privi di colpi di scena e cambi di registro importanti.
Infine, tutte le missioni di infiltrazione legate alla misteriosa agenzia della NERO, ci forniscono di volta in volta, un prezioso tassello sul background del mondo di Days Gone, dando preziosi indizi sulla natura dei Furiosi e rendendoli delle creature dalla genesi complessa e per certi versi affascinante. Il merito degli ottimi risultati ottenuti in tutto questo, vanno senza dubbio cercati nell’ottima scrittura dei dialoghi, per altro, ottimamente recitati, anche nel doppiaggio italiano e grazie ad un grandissimo lavoro grafico svolto sull’espressività dei personaggi.
Un ambiente familiare
Sul fronte squisitamente ludico, è impossibile non considerare Days Gone come un’opera estremamente derivativa, sia nel macroscopico, che nel dettaglio delle singole meccaniche. In tale scelta, si ravvedono sia aspetti positivi che difetti. La scelta di creare l’ennesimo open world immerso nella natura, spingerà quanti hanno giocato tutte le maggiori produzioni di questa generazione, ad avvertire un senso di déjà vu forte e concreto. Soprattutto considerando che la struttura di gioco, si basa su quel famigerato “modello Ubisoft” che nella sua accezione più negativa, va a indicare una mappa enorme piena di punti di interesse che si rivelano poi essere attività uguali tra loro, ripetitive, scarsamente stimolanti, che indirizzano il giocatore da un punto all’altro della mappa quasi per inerzia in maniera meccanica e con poco trasporto. Lo sconfinato Oregon di Days Gone, in effetti presenta questo tipo di struttura. Viaggiando sulle nostre due ruote incroceremo, tra le altre, nidi di Furiosi da distruggere, occasionali passanti da salvare, delinquenti che ci attaccano, e accampamenti di predoni o ripugnanti da ripulire (ogni fazione ha il suo nome) per accedere al loro bunker (come in Far Cry 5) guadagnando così un progetto per creare una risorsa nuova e le coordinate per nuovi punti di interesse.
Le nostre basi operative saranno invece accampamenti di comunità non ostili in cui dovremmo prendere degli incarichi che consistono in operazioni di salvataggio, attacco verso gruppi rivali, o altri incarichi concettualmente piuttosto basilari, con lo scopo di guadagnare crediti (ogni comunità ha la sua personale valuta) e accrescere la fiducia del campo verso il nostro operato, in modo da sbloccare nuove armi e nuovi potenziamenti per la moto o modifiche estetiche. È presente inoltre uno skill tree che ci permette con i punti abilità acquisiti, di sbloccare nuove abilità divise in tre diverse categorie: sopravvivenza, attacchi a distanza e facoltà fisiche.
Lo stesso impianto survival del gioco è fortemente ispirato ad altri titoli dalle assonanze tematiche più o meno marcate. Recuperare risorse di ogni genere per creare in tempo reale strumenti di attacco, come mazze chiodate, improvvisati esplosivi e silenziatori per le nostre armi, svariati tipi di medicinale e diversivi ci ha ricordato da vicino The Last of Us, gioco da cui viene recuperato anche il classico modus operandi stealth da applicare in buona parte delle occasioni. Così come le semplici fasi investigative che ci vedranno analizzare dettagli nell’ambiente, ricordano da vicino quanto visto nella serie Arkham o anche The Witcher 3 quando si tratta di seguire le tracce. Potremmo andare avanti molto a lungo nel rintracciare convenzioni e stilemi usati e abusati già in decine di titoli di questa generazione.
Se da una parte è complesso pretendere nuovi paradigmi di gameplay nel 2019, quando ormai i compromessi produttivi per realizzare al meglio avventure in terza persona di questa risma all’interno di ambienti aperti liberamente esplorabili sono uno standard difficile da scardinare, dall’altro è vero che nel caso specifico di Days Gone, la sensazione di avere a che fare con un collage di soluzioni viste e riviste è piuttosto forte.
Pur inevitabilmente presentandosi come un titolo dal game design la cui inventiva e originalità non sono assolutamente un punto forte, ma anzi, un reale deterrente per chi è saturo di un certo tipo di formule di gioco, Days Gone presenta anche tutta una serie di aspetti intelligenti e ben realizzati che riescono comunque ad elevarlo sopra la media. Se uno lo abbiamo già citato, e mi riferisco al comparto narrativo, l’altro risiede sicuramente nell’uso intelligente di ogni singolo elemento di gameplay. Mi spiego meglio. Sostanzialmente, seppur da un certo punto di vista dispersivo come tanti altri titoli di questo genere, Days Gone è quasi paradossalmente un titolo snello, indubbiamente divertente, e capace di interrompere il flusso dell’azione in modo consapevole e con un preciso scopo. Innanzitutto, ogni volto del gameplay è ben realizzato da un punto di vista tecnico e di come viene applicato al gioco.
Days Gone: la forza del suo bilanciamento, la saggezza del suo equilibrio
Guidare la moto è semplice, quasi da arcade, ma l’inerzia, la trazione sui diversi terreni, e un generale senso di pesantezza, lo rendono anche appagante. Lo stealth, e le fasi shooter sono prive di virtuosismi, e si fondano sui soliti capisaldi legati a tali meccaniche: nascondersi in mezzo ai cespugli, usare diversivi, colpire alle spalle, utilizzare armi pesanti, leggere, silenziose, artigianali (tantissime le bocche di fuoco e incredibilmente vario l’arsenale), usare coperture, ecc. Queste però sono azioni che Deacon compie con un certa fluidità e in arene “precostruite” in determinati settori della mappa, come piccoli villaggi, e ambienti più o meno complessi, in cui un minimo valore “tattico” è presente e l’ambiente viene spesso ben valorizzato. Il gioco poi fa in modo che l’intera impalcatura ludica, a prescindere dal contesto, sia sostanzialmente basata su quanto detto sopra, limitando al minimo gli elementi potenzialmente soporiferi dell’esperienza.
I negozi si usano solo per comprare armi e pezzi di moto, le quest secondarie piuttosto estemporanee al contesto narrativo e che non portano molto in termini di arricchimento alle vicende di Deacon (nonostante sia sempre un’occasione per approfondire la conoscenza delle comunità e del mondo di gioco), non sono moltissime e si sbrigano velocemente, le risorse che si recuperano hanno spesso più di un utilizzo (disinnescando una gestione caotica delle stesse), sono elargite dall’ambiente di gioco con frequenza, usarle e crearle è istantaneo e senza animazioni di raccordo (poco verosimile forse ma sicuramente efficace per il ritmo). Caccia e raccolta di erbe, forse tra le attività più “nauseanti” tra chi ha fatto indigestione di open world, sono due attività davvero marginali e dal peso poco consistente nell’economia di gioco (ergo non dovete preoccuparvene), e infine, quando si tratta di mettere a disagio il giocatore, Bend Studio lo fa solo con lo scopo di valorizzare il feeling survival e creare tensione.
È infatti presente un “fattore imprevedibilità” davvero determinante nel mantenere vispa la progressione di gioco. Cosa intendo? Beh, immaginate di sfrecciare velocemente per la strada, e di essere improvvisamente disarcionati da un predone appostato sopra un albero, o di essere attaccati da un animale selvatico, o ancora dagli infetti. Immaginate poi che tutte le diverse fazioni, umane o meno, interagiscono tra loro, attaccandosi a vicenda e togliendovi di impiccio o al contrario, complicandovi la vita. Immaginate infine di rimanere a secco di benzina nel pieno della notte, di dovervi fermare per proseguire a piedi alla ricerca di una tanica di carburante. Vi allontanate dal vostro mezzo, dalla sicurezza che vi trasmette, sentite una moltitudine di macabre grida in lontananza, vi girate e vedere un’orda di decine se non centinaia di Furiosi che vi ha notato provenire a tutta velocità verso di voi.
Probabilmente, alla partenza vi eravate immaginati una traversata dritta e senza intoppi, e invece vi ritrovate con un brivido dietro la schiena e la necessità di improvvisare una fuga che chissà dove vi porterà e quanto tempo vi richiederà per togliervi di impiccio e ritornare alla moto. Ammesso che sopravviviate ovviamente…
Il volto oscuro di Days Gone
Le orde, ecco la variabile che rende Days Gone diverso da qualsiasi altro open world simile. Bend Studio ha sviluppato un motore di gioco in grado di muovere centinaia di zombie contemporaneamente, e questi gruppi di letali divoratori di carne umana, sempre in dimensioni diverse, terranno costantemente i vostri viaggi nell’“Incubo” (così viene definito il territorio fuori dagli accampamenti) carico di tensione e sul filo del rasoio. Imparare a conoscere queste bestie (in tutti i loro diversi stadi che ne determinano pericolosità e comportamento) e le loro abitudini, sarà fondamentale. I Furiosi sono esseri notturni. Di giorno escono in sparuti gruppi ma di notte sono più numerosi. Sono attratti dai rumori. Si muovono spesso come sciami, ritirandosi all’alba in anguste caverne e svegliandosi al tramonto.
Tutte variabili che Deacon dovrà costantemente tenere presente a prescindere dai suoi obiettivi, cercando di essere sempre e comunque guardingo e con le orecchie ben tese. E credetemi, la sensazione di disagio e di impotenza (niente vi può salvare se venite attaccati da un gruppo numeroso di Furiosi) dona all’esperienza quell’impronta horror che rende coinvolgente sulla lunga distanza l’intero impianto di gioco, per quanto esso si basi su semplici meccaniche di crafting, shooter e stealth.
Il mondo di Days Gone: bellissimo e imperfetto
L’Oregon esplorato da Deacon è rigoglioso, enorme e capace nelle sue immense regioni di regalare paesaggi abbastanza variopinti. I dettagli (spesso belli macabri) non mancano, e nonostante il riciclo di alcune strutture e elementi grafici, non possiamo far altro che promuovere un comparto estetico che, insieme alla monumentale colonna sonora, soprattutto per quel che riguarda quelle sonorità disturbanti e intimidatorie che sottolineano la pericolosità ambientale in alcuni frangenti, e ad una serie di condizioni meteorologiche gestite in maniera davvero innovativa, come le nevicate che cambiano in tempo reale il panorama intorno a noi, compongono un quadro assolutamente convincente. Eppure, è proprio sul lato tecnico che si riscontrano anche i problemi più grossi della produzione. Il framerate è parecchio instabile, i 30fps non vengono mantenuti sempre e ciò può essere fastidioso soprattutto durante i cali più vistosi.
Se le animazioni di Deacon sono tutto sommato buone, lo stesso non si può dire per gli altri nemici umani e per i Furiosi. Questi ultimi, più che averne di brutte, ne hanno semplicemente poche, e spesso mancano quelle che darebbero un senso di fisicità più soddisfacente agli scontri a fuoco. Diversi problemi di compenetrazione fisica, riscontrabili soprattutto negli scontri corpo a corpo, incorniciano una situazione non idilliaca quindi sul versante del feedback visivo.
In parte però, ci sentiamo di giustificare e in qualche modo ridimensionare tali problemi. Days Gone, è un gioco che sì, prende fin troppa ispirazione da infinite produzioni che lo hanno preceduto, ma cerca anche di fare qualcosa di nuovo in effetti. Mai si è visto un open world che muovesse cosi tanti corpi su schermo insieme, e anche con una certa complessità, visto che i Furiosi interagiscono non solo con noi ma con l’ambiente e con altri npc, oltre ad avere una specifica routine comportamentale, per quanto basica. Sembra poco, ma lo sforzo per portare questo tipo di novità su un hardware pronto alla pensione come PS4, non è indifferente, e visto che risulta efficace nel determinare un’esperienza horror di impatto, va elogiato. Va da sé che quindi i problemi sopracitati sono forse anche parzialmente inevitabili, sebbene sia giusto sottolinearli.
Le nostre conclusioni
Chiudiamo questa recensione consigliando Days Gone caldamente, in quanto in fin dei conti, nonostante le apparenze si è rivelato un titolo con specifiche ambizioni, non ultima quella di raccontare un’epopea post apocalittica magniloquente, riuscendoci a mio avviso abbastanza brillantemente grazie ad un’ottima scrittura e una rosa di personalità davvero interessanti. Viaggiare per L’Oregon di DG non ci ha stancato nemmeno dopo diverse decine di ore, e nonostante una crescita costante delle nostre statistiche e del nostro equipaggiamento, il gioco è sempre riuscito a farci sentire minacciati dall’ostilità ambientale e dai suoi nemici.
Certo, come detto non è tutto rose e fiori, problemi tecnici, una certa ripetitività di fondo negli incarichi secondari e delle quest principali non sempre articolate e complesse come si potrebbe desiderare, non gli permettono di essere perfetto. Senza dubbio però i momenti emozionanti ed esaltanti anche sul versante del gameplay non mancheranno, e quando tutto sarà finito, dopo essere sopravvissuti almeno 50 ore in sella alla vostra fedele moto, non potrete fare a meno di considerare Days Gone uno dei più bei titoli open world di questa generazione, solo qualche gradino sotto i grandi capolavori del genere.