“Quando non ci sarà più posto all’inferno, i morti cammineranno sulla terra.”
quale modo migliore per introdurvi alla recensione di Dead Rising 4 se non con questa celebre frase tratta da Dawn of the Dead, il secondo film della trilogia degli zombie che ha consacrato George A. Romero come inventore geniale del non-morto moderno, non lo zombie classico cui il bombardamento mediatico degli ultimi anni ci ha indottrinato, badate bene, ma della figura simbolica che lo zombi rappresenta nelle opere del Maestro, profetico nella sua visione di un’umanità sempre più rivolta al consumismo e alla dipendenza che ne deriva, un ammonimento e un avvertimento verso quelle generazioni accecate dai beni materiali. Un messaggio che Romero lanciava oltre quarant’anni fa ma che oggi risulta essere più attuale e tangibile che mai. In Capcom sembrano averlo capito e non a caso il ritorno di Frank West coincide con questa rinnovata voglia di portare sullo schermo videoludico oltre allo zombie che tutti conosciamo anche il suo aspetto più significativo e simbolico.
Bentornati a Willamette
Il gioco si ricollega direttamente al primo Dead Rising mettendoci nei panni di quel Frank West passato alla storia come il reporter che ha documentato l’epidemia zombie esplosa dieci anni prima a Willamette. In Dead Rising 4 troviamo un Frank frustrato e totalmente riluttante all’idea di affrontare nuovamente orde di non-morti alla ricerca di una verità scomoda. Ma quando una sua studentessa lo riporta con l’inganno a Willamette per investigare su strani esperimenti condotti in una struttura segreta, la voglia di rivalsa verso quel Governo che lo ha crocifisso prende la meglio. Da ciò, complice la ZDC (agenzia di sicurezza contro la piaga dei non-morti), il buon Frank comincerà a indagare caso dopo caso nella speranza di far luce sul nuovo utilizzo del virus.
L’epidemia esplode a ridosso del Black Friday, proprio a voler sottolineare quanta poca differenza passi tra i non-morti affamati di carne umana e gli umani affamati dello smartphone all’ultimo grido, entrambi in lotta per ottenere ciò che bramano, ricollegandosi alla visione di Romero. Al di là di questo, le similitudini lasciano il posto agli elementi che hanno reso celebre la saga, ovvero possibilità infinite di mattanza selvaggia sui “poveri” zombie che incontreremo, crafting malsano e orgasmico e, dulcis in fundo, la novità più interessante del pacchetto: l’utilizzo di un esoscheletro potenziato.
Qualcosa è cambiato
Rispetto al passato la campagna single player è stata molto “occidentalizzata”, rinunciando ai tipici scontri con improbabili boss di fine livello che costringevano il giocatore a sudare le proverbiali sette camicie per riuscire a proseguire e soprattutto eliminando del tutto l’inesorabile scorrere del tempo che scandiva ogni passo dell’avventura principale, spingendoci verso sessioni sul filo del rasoio. Queste peculiari caratteristiche in Dead Rising 4 non sono più presenti, il giocatore ha tutto il tempo del mondo per portare a termine i sette casi a disposizione. Ci rendiamo conto che i fan più sfegatati della serie non troveranno piacevole questa soluzione, ma a difesa di Capcom c’è da dire che la campagna single player risulta più “spettacolare” del solito, con un ritmo ben scandito e fronzoli al minimo sindacale. L’approccio è più realistico, seppure questo termine suoni quasi paradossale se affiancato a un franchise che fa del delirio semi-grottesco il suo cavallo di battaglia. Gli scontri saranno estremi, come la serie ci ha abituati, ma contestualizzati in un mondo che ora si prende più sul serio.
I boss del tutto fuori di testa presenti nel primo capitolo hanno lasciato il posto a sciacalli e militari armati di tutto punto che incontreremo spesso, girovagando per le strade di Willamette. L’avventura ha inizio dove tutto cominciò 10 anni fa, ovvero il Willamette Mall, dove ritroviamo anche gli elementi che hanno definito la serie sotto il punto di vista del crafting più estremo. Come per Dead Rising 3, in questo sequel potremo avere accesso a determinati schemi che ci permetteranno di creare combinazioni letali di armi e oggetti. Starà a noi “giocare” con i progetti per cercare di realizzare armi sempre più esagerate, così come la costruzione di veicoli combo dalla potenza di fuoco devastante. È questa l’anima del gioco e per fortuna Capcom ha pensato bene di preservarla anche in questo sequel.
Chuck Norris chi?
C’è da dire che a risentirne maggiormente di questi cambiamenti è la curva di difficoltà, settata su livelli estremamente bassi. Probabilmente per questo Capcom ha voluto introdurre due nuove tipologie di zombie più aggressive e coriacee, per aumentare il grado di sfida. Tuttavia, considerato l’arsenale messo a disposizione del giocatore, la possibilità che i nuovi antagonisti ci diano noie serie è davvero remota. Frank West, grazie anche al nuovo esoscheletro potenziato, più che a un reporter somiglia a una macchina da guerra. Ma, attenzione: l’utilizzo dell’esoscheletro è legato a un timer. Ciononostante, in quei pochi minuti di totale euforia il senso di onnipotenza sarà totale.
Ad alternare il ritmo fortunatamente ci pensano fasi dove la materia grigia avrà la meglio e Frank West tornerà nei panni del reporter in cerca di scoop che tutti conosciamo e amiamo. Durante le fasi investigative, infatti, dovremo utilizzare la nostra fida fotocamera per scovare indizi importanti. Attraverso l’alternanza di vari filtri sarà possibile muoversi in anfratti scuri e scovare sequenze numeriche per accedere ad aree altresì bloccate o a diversi terminali. In realtà, anche la difficoltà delle indagini è piuttosto blanda e alla lunga, per quanto diventi seccante condurle, saremo costretti a farlo per il bene della trama. Ancora una volta, il grado di sfida tendente allo zero si rivela un grosso elemento a sfavore.
La fotocamera quindi ritorna a essere un elemento cruciale nel franchise e non a caso la possibilità di far scattare al buon Frank selfie improbabili con una rosa di scelte espressive molto divertenti ne è la conferma. Sulla rete è un continuo ritrovarsi sulla home dei propri social il faccione di Frank West e la cosa non può che non dare ragione a Capcom: feature inutile ai fini ludici ma utile a quelli social, oggi al centro delle vite di molte persone (Romero docet).
Frank West l’Immortale
È evidente quanto Capcom con questo capitolo abbia voluto sfruttare al massimo la figura iconica rappresentata da Frank, la sua personalità viene ostentata in ogni sequenza facendoci affezionare al personaggio sin da subito. Un uomo brillante che non ha paura di sporcarsi le mani pur di raggiungere il suo scopo, e Capcom gli ritaglia un titolo intorno. A tratti ci si dimentica dei capitoli dopo il primo, tanto è il carisma di Mr. West.
Nonostante il titolo includa altri personaggi e cercare di liberare rifugi per accogliere quante più persone possibile occupi parecchio tempo della partita, tutti scompaiono di fronte a lui. Neanche i personaggi selezionabili nella modalità multiplayer brillano per caratterizzazione, così che avanzare nei quattro casi da affrontare in coop non appaga quanto giocare in solitaria. E questo la dice lunga su quanto il lavoro svolto da Capcom intorno a Frank sia ben riuscito, forse anche troppo.
Tanta carne al fuoco
Una Willamette finalmente esplorabile, ricca di collezionabili e oggetti utili per espandere il proprio arsenale. Ospita inoltre diverse attività con le quali aumentare punti esperienza. Grazie al rinnovato sistema di crescita del personaggio saremo spronati a scoprire quanti più eventi possibili, come il salvataggio di superstiti, smantellamento dei posti di blocco dei vandali. Anche i militari, equipaggiati di esoscheletri e armi di un certo livello, ci daranno del filo da torcere nel tentativo di proteggere le informazioni che vorremmo rivelare al mondo.
Il sistema di gioco, seppure monotono sulla lunga distanza, offre al giocatore l’appeal necessario per portare a termine la trama principale. Certo, ci troviamo tra le mani il Dead Rising più facile di sempre, è probabile che diventi anche quello più portato a termine nella storia del franchise, ma questo non è necessariamente un male. Il titolo diverte e parecchio, il gameplay si attesta su buoni livelli e il motore grafico svolge un compito egregio. Non ci troviamo di fronte a un titolo tecnicamente rivoluzionario, ma la versione Xbox One da noi testata non è mai scesa sotto i 30fps, a prescindere dalla quantità di elementi presenti su schermo. Talvolta il colpo d’occhio è notevole, con centinaia e centinaia di zombie che invadono lo schermo per lasciarsi macellare in mille modi diversi. Dannatamente appagante.
Si poteva fare di più? Senz’altro, ma abbiamo apprezzato la scelta di Capcom di prediligere la stabilità all’opulenza grafica. La sensazione è quella di un capitolo conclusivo della saga, ormai sfruttata all’estremo. Vale la pena fare un’ultima corsa? Senza dubbio, a patto che non ci si aspetti una perla di longevità e narrazione. Il titolo è un modesto omaggio alla figura di Frank West, confezionato bene e tronfio di quell’atmosfera tipica degli zombie movie dell’epoca. C’è un po’ di Romero e tanto basta per elevarlo al di sopra dei capitoli precedenti.