Death’s Door: una piacevole sorpresa
Per qualche ragione, mentre giocavo a Death’s Door, uno dei titoli che mi è venuto in mente durante le mie partite è stato Prey. Probabilmente ciò è dovuto al fatto che ho recuperato l’opera di Arkane solo negli ultimi mesi ma anche perché il giocatore, in entrambi i casi, si ritrova spiazzato dal mondo di gioco e vittima degli eventi, senza avere una completa padronanza della situazione. Paragonare l’esperienza di Morgan Yu al corvo mietitore del titolo di Acid Nerve è esagerato, me ne rendo conto. Ma la bellezza di Death’s Door risiede, a mio avviso, nel suo diventare sempre più interessante e divertente mano a mano che si va avanti, oltre ad una serie di meccaniche ed idee tanto semplici quanto funzionali che lavorano di concerto per offrire delle ottime ore di gioco.
Death’s Door non si vergogna di mostrare platealmente le sue fonti di ispirazioni, a partire da una trama che, sin dalle battute iniziali, può tranquillamente sembrare qualcosa di già visto e rivisto: un personaggio tra i tanti che si ritrova ad essere l’eroe della storia, un predestinato che dovrà dipanare il grande mistero che avvolge il suo mondo e, di conseguenza, con l’essenza stessa della vita e della morte.
Un canovaccio tremendamente banale, capace però di diventare sempre più profondo e interessante con il passare delle ore, bilanciando i suoi argomenti tetri con un’ironia leggera ma mai fuori luogo. Dopo un Titan Souls che si basava esclusivamente su boss fight, armati di una sola freccia, Death’s Door pesca a piene mani da tutti i titoli che hanno caratterizzato e fatto evolvere il genere action adventure: la base è chiaramente zelda-like, con con visuale dall’alto (seppur isometrica) e un combat system che si arricchisce di oggetti extra mano a mano che si avanza, ma anche una progressione ambientale in stile Souls con checkpoint dignitosamente distanti e con diverse shortcut che rendono l’esplorazione sempre più rapida ed efficiente, con il nostro “ufficio” a fare da hub di gioco.
Ogni elemento del gioco ha come caratteristica principale l’essere di una semplicità disarmante: ad esempio il combat system si compone di poche azioni, con un attacco che può ripetersi un certo numero di volte in base all’arma in uso (con 5 armi totali nell’intero gioco), un roll che compensa l’assenza di una parata e un attacco caricato. Da un certo punto di vista parliamo del minimo sindacale per qualunque videogioco action, eppure dopo una decina di ore abbondanti di gioco, abbastanza per concludere l’avventura (più o meno), non ci sarà mai un momento in cui il combat system risulti poco efficace o insoddisfacente.
Lo stesso si può dire dell’esplorazione, altro perno dell’esperienza di gioco: onestamente non è sempre stato tutto rose e fiori, nonostante la presenza di numerose shortcut che riducono molto la distanza tra i pochi checkpoint disponibili, ma parliamo sempre di scelte di design che alla fine risultano valide e volte a spingere il giocatore ad esplorare ogni anfratto, soprattutto dopo l’ottenimento degli oggetti speciali che permettono l’apertura di porte precedentemente bloccate.
Un gioiello di design
Se poi dobbiamo parlare di ciò che davvero mi ha colpito, è doveroso aprire una parentesi sul versante tecnico: pur offrendo il fianco a qualche critica circa una precisione non sempre ottimale, Death’s Door è un vero gioiello di design.
Le aree di gioco sono tutto sommato quelle che ci si potrebbe aspettare da un gioco del genere: la foresta, il castello, il cimitero. Qualcosa che in altri titoli saprebbe di già visto ma che qui, con una buona dose di lavoro, mostra ambienti belli da vedere ed esplorare, mai banali.
Lo stesso concetto è valido con i nemici, caratterizzati al punto giusto da essere tanto normali quanto speciali sia in termini visivi che in termini di moveset, confermando ancora una volta come i dettagli siano un elemento prezioso in un mercato dove si tende più a riciclare che a rielaborare con attenzione.
A proposito di rielaborazione, parliamo anche delle musiche del gioco: le musiche di Death’s Door sono tra le più ispirate che abbia sentito negli ultimi mesi, un tema musicale singolo ma che subisce tutta una serie di manipolazioni per dare tono all’ambiente circostante, calmo e incuriosito durante le sessioni di esplorazione e dinamico e ritmato durante i combattimenti. Una colonna sonora che, contrariamente a quanto accade spesso, non resta un sottofondo dimenticabile bensì si intreccia alla perfezione con il mood del gioco e dell’ambiente, comunicando in modo efficace tanto quanto una cutscene qualsiasi, forse anche di più.
In questa recensione ho passato più tempo a sottolineare i dualismi del gioco rispetto ai contenuti veri e propri, ma se l’obiettivo di un articolo simile per molti equivale ad un invito all’acquisto, ben venga che ciò accada con un titolo come Death’s Door. Non sarà il gioco della vita, forse nemmeno quello dell’anno, eppure si tratta di uno di quei giochi di cui spesso si ha bisogno per riconciliarsi con un mondo videoludico che sembra raccogliere meccaniche senza logica e senza cuore, mentre una piccola produzione che nasce da un manipolo di persone ci ricorda quanto potenziale può esserci nella semplicità e nell’equilibrio.