C’è una cosa che un videogiocatore non dovrebbe mai fare: desiderare troppo un gioco, eppure è una cosa che succede davvero frequentemente. Quando un pensiero si fissa nella testa, quando l’attesa diventa aspettativa: è finita… qualsiasi giudizio lucido va a farsi benedire. A scatola ancora chiusa, un po’ come il gatto di Schrödinger, quello stesso gioco può essere un capolavoro così come una ciofeca assurda. Desiderare troppo un gioco ci porta nella scomoda situazione di misurarne la qualità solo a netto delle nostre aspettative. Il che se ci pensate è l’antitesi di ogni pensiero critico. Questo in soldoni è quanto è successo a molti giocatori con Destiny, per questo abbiamo deciso di pubblicare la nostra recensione qualche giorno in ritardo, a mente ludica e senza l’ansia da prestazione editoriale.
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Destiny prima di essere un gioco, è un’esperienza. Questo almeno secondo le intenzioni degli sviluppatori. E’ chiaro fin da subito come Il Viaggio sia il tema principale dell’opera. Non per creare quella vastità (cosa in parte andata male) ludica in cui il giocatore potesse immergersi a mascella spalancata, ma proprio per simulare e ricreare su schermo un continuo girovagare all’interno di un universo sci-fi che non vuole essere solo il luogo, nel senso geografico del termine, dove i fatti accadono, ma un vero e proprio contesto di gioco, un elemento imprescindibile di narrazione passiva. Da qualunque punto di vista lo si guardi, Destiny racconta una storia, una storia che non è la trama diretta del gioco ma è la testimonianza di ciò che è successo prima del nostro arrivo. L’intero universo narrativo di Destiny si sposta anche per milioni di anni indietro nel tempo: ruderi antichissimi, i resti di civiltà antiche e dimenticate, imperiose ed indecifrabili costruzioni tecnologiche. Se solo si ha la pazienza di restare a guardare, Destiny non mancherà di raccontare una parte dell’immensa e affascinante lore presente nell’universo di gioco.
L’atmosfera e l’immersione sono fantastiche, eppure tutto il resto è approssimativo, abbozzato. L’umanità è ridotta alle strette nella Torre, ultima roccaforte sicura (luogo in cui le poche funzioni social sono una delusione continua). Le cose stanno andando male da quando Il Viaggiatore, una sorta di sferica divinità che si staglia morente sullo schermo, ha perso tutto il suo potere ed ore cede il passo all’Oscurità. Noi impersoneremo un Guardiano, ancestrale figura deputata alla salvaguardia e alla prosperità della “Luce”. Come già scritto nelle nostre impressioni, non ci si sente mai realmente protagonisti del gioco, si viene sballottatoti un po’ ovunque nell’universo senza seguire un reale scopo. Tutto è approssimativo, i pochi dialoghi sono scritti banalmente e recitati anche peggio. Manca, più che altro, una vera sceneggiatura, un’idea di fondo, coerente ed interessante, che giustifichi tutte le nostre azioni. Perché altrimenti si riduce al solito, trito e ritrito, scontro tra Luce e Oscurità, ai buoni che, in evidente difficoltà, devono tirare fuori gli attributi per non soccombere all’ammaliante potere del male. La narrazione di Destiny paga troppo il peso del genere, restando incastrata in un paradigma ludico (sbagliatissimo tra l’altro) che la vede solo come pretesto per dar via al gioco, un contentino per non sentirsi completamente scemi nell’ammazzare alieni ogni volta che ci capita. Peccato perché a guardarsi intorno, si nota una bellezza artistica senza eguali e ci si chiede, chissà quali storie hanno vissuto questi pianeti prima di noi.
Halorized
Che Destiny sia il figlio illegittimo di Halo lo sapevamo e dovevamo immaginarcelo tutti. Le meccaniche di gameplay rimangono quelle ampiamente rodate dal campione di casa Microsft, tanto simili al suo predecessore da non lasciare spazio ad alcun tipo di innovazione. Lasciando da parte alcune sottigliezze che stentano a fare la differenza, Destiny è Halo sotto steroidi: una veloce cavalcata a botte di frag lungo una ventina di missioni che danno spazio ad una componente narrativa, come già espresso, esclusivamente di contorno. Imbracciato il nostro fucile, il layout tasti è quello classico con la ripresa dell’ottima addizione del jetpack che si presta a soluzioni tattiche di grande impatto: l’ultima volta che abbiamo visto saltare un tizio su un palazzo e lanciarsi a velocità folle svolazzando di qua e di là con il fucile spianato non riusciamo neanche a ricordarla. La gestione dell’interfaccia e dell’equip è forse la componente di gioco che lascia più spaesati. Ci troviamo davanti ad una selezione delle varie feature con un puntatore che pare appositamente studiato per PC. Niente di drastico, anzi dopo pochi minuti ci si abitua e lo spaesamento lascia subito il posto ad una certa inaspettata facilità d’uso.
Insomma in Destiny, si spara, si spara sempre… si sparerà troppo? Fermi, non stiamo minimamente imputando qualcosa alla componente First Person Shooter, è solo che abbiamo preso la palla al balzo per parlarvi del più grande difetto di Destiny: la ripetitività. Parole forti, ma che vanno soppesate al netto del genere e delle aspettative. Dicevamo, in prima istanza, che Destiny è un viaggio, un’esperienza shooter da condividere con milioni di giocatori. Tralasciata la storia, le modalità che restano sono: Pattuglia e Assalto, Raid. Ecco, nonostante le differenze tra di esse, nonostante i pianeti, nonostante tante bellissime cose, Destiny presta il fianco ad una ripetitività di fondo che può risultare snervante. Se seguite le community, sicuramente avrete letto di persone deluse da Destiny, e questo è il motivo. Dopo diverse ore di gioco, la mancanza di qualche idea in più per diversificare l’azione si fa sentire. Le orde di nemici si ripeteranno a catena, senza possibilità di spezzarne il ritmo più di tanto, se non tornando alla Torre a ripulire l’inventario ed ottenere qualche ricompensa. Gli assalti ci sembreranno ormai vecchi e stantii. Destiny non è solo la massima summa ludica dello shooting, è anche l’estrema ripetitività di alcune sequenze di gioco, riproposte in un loop infinito che dopo un po’ potrebbe stancare. Usiamo il condizionale perché bisogna comunque apprezzare la capacità del gioco di tenerti incollato allo schermo nonostante tutto. Activision e Bungie si stanno impegnando per aggiungere quasi a cadenza giornaliera, diversivi che rendano l’esperienza di gioco più variegata. Alcune trovate come i Raid, sono totalmente ben accette. La difficoltà, l’impegno costante e un ottima gestione del gioco di squadra, rendono i Raid il meglio dell’offerta ludica attualmente disponibile, perché bisogna guardare al gioco non solo per quello che ha da offrire ma anche in ottica delle potenzialità future. Se proprio siete stanchi del pacchetto cooperativo, per spezzare definitivamente la tipologia di gioco, si può accedere ad una grossa componente competitiva: il crogiolo. L’intera area di gioco si divide essenzialmente in più modalità ben distinte, qui a nostro avviso, gli sviluppatori sono stati davvero poco coraggiosi, il pacchetto multigiocatore comprende modalità classiche viste e riviste in qualsiasi altro gioco. Capiamo l’esigenza di creare prima un impianto stabile, e poi eventualmente aggiornalo, ma di certo non apprezziamo la poca inventiva vista in questa componente di gioco. Multiplayer che soffre di alti e bassi, in alcuni match si sentirà davvero il peso dell’esperienza e dell’equipaggiamento altrui, in altri invece ci sembrerà di vivere un’esperienza un tantino più bilanciata. Allo stato attuale c’è sicuramente qualche miglioria da fare. Volendo però dimenticare questi piccoli difetti, il multiplayer pur non essendo il punto cardine del gioco è estremamente godibile. La verticalità delle mappe, la possibilità di utilizzare al meglio le proprie risorse, unitamente a quelle dei compagni di squadra, rende l’intera esperienza competitiva piuttosto piacevole. Da migliorare alcuni aspetti come il bilanciamento di alcune armi, e la quantità forse esigua di energia. Un debuff di alcuni potenziamenti, insieme ad una resistenza maggiore, creerebbe un mix di gioco ancora più divertente e appassionante.
Il loop del Looting
Se pensavate di avere tra le mani Borderlands nello spazio, il sistema di looting vi farà ampiamente ripensare il concetto. Il numero ridotto di armi e la progressione leggera del personaggio non aprono grandi orizzonti di configurazione che alla fine dei conti si riducono a quelle tre/quattro impostazioni di equip trite e ritrite. Su questa base piuttosto classica, però, Bungie è pronta a stupire poiché il soft cap al livello 20 dei nostri Guardiani viene spazzato via da un concept totalmente inusitato. Sì, perché se pensate di esservi guadagnato il vostro bel livello massimo e di poter tornare alla (scarsa) vita sociale che avevate, ebbene dovrete ricredervi. Dopo il livello 20 l’avanzamento del personaggio è dato esclusivamente dai punti luce equipaggiando equip raro o leggendario. Lo swicth della base di livellamento non promette nulla di buono e ci fa presagire una possibile evoluzione Freemium da parte di Activision. Nel frattempo, abbandonando le nostre preoccupanti speculazioni, bisogna fare attenzione a questa meccanica: se in un normale first person shooter progredire è sinonimo di abilità, Destiny vi richiederà una dedizione disumana, tipica dei giochi di ruolo online. Ottenere un determinato gear, vi darà enorme soddisfazioni, ma a patto che abbiate tanto tempo da investire nel farming. E’ anche per questo che si discuteva della ripetitività, proprio perché per accedere agli oggetti più rari bisognerà incollarsi allo schermo per diverse ore. Non è un sistema totalmente assurdo, anzi è praticamente in linea con gli altri esponenti del genere, il problema è la percezione della cosa e la volontà di investire tempo che, a seconda della fortuna, potrebbe anche andare sprecato.
Sci-fi Universe
Prima di lanciarsi nell’analisi di Destiny da un punto di vista strettamente visuale, si dovrebbe fare una lunga, tediosa introduzione su diverse considerazioni di ordine puramente tecnico. Per riassumere una digressione che meriterebbe una articolo a parte, il titolo di Bungie è un prodotto che approda su console nuove, a cavallo del salto generazionale. Un elemento non di poco conto che storicamente ha caratterizzato non molto positivamente prodotti lanciati nella stessa condizione: hardware e software nuovi e poco conosciuti non permettono quasi mai di esprimere al massimo il potenziale delle macchine, costituendo un handicap di fatto determinante se confrontato con altri titoli a venire. La nostra analisi tecnica si limiterà a dire, quindi, che il titolo dell’accoppiata Activision & Bungie è decisamente superiore a quanto visto fino ad oggi con una profusione di dettaglio e definizione mai visti prima, con una qualità degli asset a schermo finora mai espressa da altre produzioni simili. Il nocciolo della questione però non è se Destiny sia o meno superiore a quanto prodotto dai concorrenti, ma se l’approccio stilistico e artistico è sufficiente. Insomma il punto non è affatto se Destiny sia bello o brutto, meglio o peggio di Halo a livello formale, ma se tra le fila di bit si intravede quella direzione rinnovata che Bungie ci ha venduto fino a pochi giorni prima del Day one. La missione non era semplice, in quanto l’Universo Fantascientifico con il filone della colonizzazione spaziale è stata ampiamente aggredito da più parti e da diversi media, tanto da spolparlo fino all’osso. Essere originali con i viaggi intergalattici è diventato sempre più difficile e per i nostri amici che hanno dato vita ad Halo lo è un pizzico di più.
Destiny apre lo danze con una sequenza cinematografica di forte impatto, coreograficamente orchestrata che si spegne lentamente in una breve fase di tutorial che porta il giocatore a conoscere la configurazione dei tasti. Nulla di nuovo rispetto a quanto visto in centinaia di titoli dello stesso stampo. Al termine di questa breve introduzione, il nostro protagonista viene accompagnato dal fido Ghost sulla superficie terrestre, dove Destiny esprime tutte le sue altalenanti qualità. La versione post-apocalittica del nostro pianeta gode di un colpo d’occhio in alcune fasi decisamente mozzafiato, sopratutto grazie ad una modellazione poligonale eccellente, all’uso drammatico ed emozionale delle luci e all’altissima qualità delle texture che moltiplicano all’infinito il potenziale immersivo del titolo. Su queste note positive si spegne la sinfonia di Bungie che ad un orecchio più attento mostra da subito diverse stonature. Il primo, evidentissimo, problema che salta all’occhio anche solo dopo poche sessioni è la mancanza di originalità che si declina in una sensazione diffusa di già visto e provato, moltiplicata da quel Look & Feel che ricorda troppo (ma davvero troppo) da vicino Halo. Gli edifici, la geologia e la conformazione delle mappe hanno nulla o poco di originale, mancando totalmente di spunti creativi che permettano al giocatore di innamorarsi di questi ambienti, nonostante restino comunque mozzafiato. L’altro problema certo non trascurabile è la totale mancanza di caratterizzazione dei protagonisti. Come scritto avremo a disposizione tre classi, ognuna con qualità combattive diverse ma con un look decisamente simile l’una con le altre. Certo per amore di coerenza è fondamentale avere una linea guida che armonizzi le componenti del gioco, ma Destiny non fa nulla per imprimerci nella memoria i suoi eroi e il loro relativo equipaggiamento. Elementi più o meno ripresi da altre produzioni e mixati con una sapiente mano, contribuiscono a questa altalena emozionale tra effetto di realtà e credibilità estrema con una certa noiosa ripetitività di topoi più o meno conosciuti. Fan delle saghe fantascientifiche più rinomate non avranno difficoltà ad individuare quello o questo particolare che vanno a comporre il lore di Destiny, ben gestito si ma totalmente manchevole di originalità. C’è tanto di tutti: dal già citato e ovvio Halo, fino a Star Wars passando per Mass Effect.