Una breve storia del poliziesco giapponese
Il 13 marzo è uscita in tutte le fumetterie Detective Conan Soccer Selection, una raccolta (edita da Star Comics) dei casi della celebre opera di Gosho Aoyama ambientati nel mondo del calcio. Come molti di voi già sanno il protagonista Shinichi Kudo, dopo essere stato rimpicciolito, decide di adottare false generalità per nascondere la propria identità. Come nome sceglie Conan, in onore di Sir Arthur Conan Doyle; e come cognome opta per Edogawa, in onore di Edogawa Ranpo, padre del poliziesco giapponese.
Sebbene il creatore di Sherlock Holmes sia notevolmente più famoso, l’esistenza stessa del piccolo detective occhialuto non sarebbe stata possibile senza il meno blasonato, almeno in occidente, autore giapponese. Edogawa Ranpo, al secolo Hirai Taro, è infatti l’iniziatore del genere poliziesco nell’isola del Sol Levante, o meglio colui che gli ha dato una personalità e un immaginario ben precisi e originali.
Ma partiamo dall’inizio.
Le origini del giallo giapponese
Le prime testimonianze scritte di un interesse del popolo giapponese per il genere risalgono al periodo Edo, più precisamente al 1649, anno di pubblicazione dei Saiban Shosetsu, letteralmente “Casi paralleli all’ombra del pero”. Si tratta di una semplice raccolta di 144 casi giudiziari cinesi redatti sotto forma di guida per i magistrati. In questi primi documenti manca completamente la componente di fiction.
Il tentativo di trattare il giallo come un vero e proprio genere letterario, aggiungendo la fantasia a una realtà sempre molto presente, avviene con i torimonocho. Il nome di questa nuova tipologia di narrazione, non a caso, è lo stesso che designava i blocchi utilizzati dai poliziotti del periodo Edo per prendere appunti sui casi che seguivano. L’iniziatore è Okamoto Kido, che nel 1917 debutta con Hanshichi Torimonocho, un’opera a metà tra il poliziesco e la ricostruzione storica. Il protagonista di questo tipo di racconti è sempre un poliziotto di basso rango che si serve principalmente di una profonda conoscenza dell’ambiente in cui si muove per risolvere gli enigmi. Il torimonocho è destinato ad avere una lunga fortuna nella letteratura giapponese, tanto da scampare persino alla censura. Il successo dura sino ai turbolenti anni Settanta, quando la figura dello sbirro (opappiki) da eroe comincia a trasformarsi in un servo dei potenti sempre pronto ad abusare del proprio potere sui deboli.
Il tantei shosetsu, letteralmente “romanzo di investigazione”, è l’antenato più vicino al giallo di Edogawa Ranpo e si sviluppa negli anni 1912-1927. La traduzione di opere occidentali si mescola sempre più con scritti originali sul modello di Poe, Doyle e Gaboriot. Il tema dominante è l’urbanizzazione: quello tra le due guerre è infatti un periodo di grande espansione per la capitale Tokyo, che diventa una metropoli e cambia la vita dei suoi abitanti. È qui che comincia a farsi strada uno dei temi più cari a Edogawa, ovvero l’ambiguità e l’oscurità della grande città, in cui il confine tra buoni e cattivi si assottiglia.
Edogawa Ranpo
Conan e Ranpo Edogawa hanno decisamente molte cose in comune. Così come il piccolo detective che molti anni dopo ha preso il suo cognome in prestito, anche Hirai Taro ha scelto il proprio: Edogawa Ranpo, nella pronuncia giapponese, non è altro che un’assonanza con il nome del grande scrittore mystery americano Edgar Allan Poe.
Dopo aver raggiunto la notorietà con il racconto Nisen Doka (“La moneta da due Sen”), comparso nel 1923 sulla rivista per ragazzi Shinseinen, Ranpo introduce un altro nome che i fan di Conan conoscono molto bene: in D-Zaka no Satsujin Jiken (“Assassinio alla salita 7”) fa la sua prima comparsa il detective Akechi Kogoro, detective dilettante del quartiere Asakusa di Tokyo che diventerà ricorrente nelle opere del Maestro. Aoyama rende omaggio a questo personaggio nel suo manga più importante con Mouri Kogoro, il mitico detective in trance.
I temi che hanno fatto scuola
L’eredità di Edogawa Ranpo va ben oltre il suo nome o quelli dei suoi personaggi. Nei suoi scritti ritroviamo tematiche ancora oggi portate avanti dalle principali opere della narrazione giapponese, dagli anime al cinema passando per i videogiochi.
Deciso a dare finalmente dignità letteraria al bundan, il genere poliziesco, il Maestro sviluppa le trame dei suoi racconti con un approccio scientifico: la psicologia è spesso lo strumento principale per risalire alle cause della devianza, per scoprire perché si diventi criminali. Questo aspetto è rivisitato e portato all’estremo da Psicho-Pass, anime creato da Urobuchi Gen nel 2012: nel futuro tutti gli abitanti del Giappone sono identificati con una sorta di passaporto mentale che misura la possibilità di compiere reati, dando alla polizia la possibilità di intervenire prima che avvengano.
I personaggi di Edogawa Ranpo sono al centro del successo delle sue opere. Molto spesso essi sono riconducibili alla figura dello yumin, un uomo profondamente infelice e insoddisfatto nei confronti della vita, privo di coscienza sociale, che ha rifiutato definitivamente il classico modello giapponese della risshin shusse, la rincorsa al successo. Lo stesso Akechi Kogoro è uno yumin: detective dilettante, risolve i casi solo per il gusto del mistero e non è minimamente interessato alla condanna del colpevole. Questa noia esistenziale è alla base del comportamento di personaggi iconici del manga come Yagami Light di Death Note, il capolavoro nato nel 2003 dagli sforzi congiunti di Ohba Tsugumi e Obata Takeshi. Light è un ragazzo che ha tutto ciò che alla sua età si possa desiderare: successo con le ragazze, ottimi voti e una carriera brillante sui blocchi di partenza. Un giorno, però, trova un quaderno che uccide e decide di purificare il mondo di tutti i criminali, diventando nel contempo giudice e giustiziere.
Chi non insegue il successo nella società giapponese è considerato un perdente. Uno dei topoi più utilizzati da Edogawa Ranpo è proprio questa tipologia di personaggio. I suoi eroi non sono mai senza macchia, anzi fanno del proprio status di outsider e di emarginati la propria forza. Questo aspetto viene ripreso in una grande quantità di pellicole cinematografiche: in Violent Cop (1989) “Beat” Kitano Takeshi è un poliziotto rude e irrispettoso dei superiori che proietta il proprio senso di inadeguatezza su tutto ciò che fa; in Cane Randagio (1949) Kurosawa Akira mette in scena un poliziotto così imbranato da farsi rubare la pistola.
Negli scritti di Edogawa Ranpo i personaggi si trovano spesso a fare i conti con ruoli sociali che non hanno chiesto e situazioni che, almeno all’inizio, non sono capaci di fronteggiare. Alcuni videogiochi d’investigazione, sebbene il genere stia incontrando diverse difficoltà dovute all’obsolescenza del gameplay punta e clicca, propongono le stesse meccaniche. Ace Attorney (2001), creato da Takumi Shu e distribuito da Capcom, mette il giocatore nei panni del giovane avvocato alle prime armi Phoenix Wright, il quale deve conquistarsi a suon di cause vinte la fiducia dei superiori e del giudice. Il Professor Layton (2007), come da titolo, è un professore che si improvvisa detective e cerca di risolvere con i travestimenti e il coraggio enigmi che toccano anche la sfera del soprannaturale, altro elemento sempre presente nelle narrazioni di Edogawa Ranpo.
Le storie di Edogawa Ranpo non sono sempre delitti e, aspetto importante, non è detto che alla fine si risolvano con l’individuazione del colpevole. Spesso i finali dei suoi racconti sono dei non finali. Quello che davvero importa al Maestro è l’atmosfera di dubbio e angoscia che permea le pagine, il confine tra bene e male che si assottiglia. Detective e criminale si confondono, diventando due facce della stessa medaglia. Azioni compiute con buona volontà portano a conseguenze nefaste. Monster, manga del 1994 di un altro Maestro come Urasawa Naoki, riprende questo meccanismo. Il chirurgo Tenma Kenzo perde tutto per la sua insubordinazione, decidendo di salvare la vita di un ragazzino anziché quella di un eminente uomo politico. Anni dopo Johan, diventato ormai adulto, si macchia di una serie di efferati omicidi e tocca proprio a Kenzo investigare su di essi.
In un contesto pervaso dalla grigia e sconfinata monotonia della metropoli e dalla perenne insoddisfazione esistenziale dei personaggi, il crimine assume nelle opere del Maestro un valore fortemente estetico ed estetizzante, diventa una sorta di modalità di riscatto per i perdenti. Ranpo rende questi temi con un sapiente uso dell’erotismo grottesco, che più tardi verrà ribattezzato ero-guro. Oggi il gusto per l’ero-guro sopravvive nei romanzi di Kirino Natsuo, in cui l’intera azione è trainata dalle pulsioni e dal desiderio. La narratrice nipponica contemporanea trae il suo fascino dal modo originale in cui racconta amore ed eros, che nella cultura orientale non sono mai stati demonizzati come in quella occidentale. Le sue protagoniste sono donne forti che amano e uccidono senza scendere a compromessi come nel primo grande successo, Le quattro casalinghe di Tokyo (1997).
Oggi, sempre nella letteratura, il testimone di Edogawa Ranpo sembra essere passato nelle sapienti mani di Higashino Keigo, uno dei più prolifici e amati autori giapponesi di tutti i tempi. Nelle sue opere ritroviamo molti dei temi cari al Maestro, come il protagonista perdente, il detective improvvisato, la società oppressiva e il suicidio sociale.
Non solo Detective Conan, dunque. Le caratteristiche delle storie di Edogawa Ranpo sopravvivono all’interno delle opere contemporanee più disparate, tra videogiochi, anime, manga, letteratura e cinema.