Sesso, droga e demoni.

Tra le opere che hanno sicuramente alzato l’asticella del fumetto nipponico non è possibile trascurare Devilman, fumetto realizzato dal maestro Go Nagai.

Questo perché le tematiche di quel fumetto erano e sono, negli anni ‘70 come nel nuovo millennio, universali. Il conflitto proprio degli esseri umani tra la luce e le tenebre, la fallibilità degli umani nella ricerca del miglioramento e lo scendere a patti col loro lato bestiale. Tutto questo sullo sfondo del conflitto finale della Bibbia, quell’Armageddon che inizia a consumarsi per prima cosa nelle strade, nella società e nelle disparità che gli esseri umani creano tra loro. E, soprattutto, la follia e la bestialità insita nell’essere umano.

Devilman, ambientato nello scenario di quel Giappone degli anni 70, un paese che dopo l’umiliazione della guerra si stava riprendendo e diventando una delle grandi potenze del mondo ma che, tuttavia, non sembrava capace di poter dare un benessere alla sua intera popolazione, lasciandone indietro una buona parte. Tematica cara a tanti altri grandi manga, dall’Uomo Tigre ad Ashita no Joe, ma che in Devilman riusciva a esprimersi in una dimensione completamente nuova, colpendo il lettore in piena faccia come un pugno. Una lettura tuttora emotivamente devastante.

Abbiamo parlato di lettori… ma gli spettatori? Come spesso accade a molte opere con tematiche troppo adulte, anche Devilman al momento della sua trasposizione venne ampiamente edulcorato. Questo non impedì ai genitori del Belpaese e non solo di iniziare una crociata contro il “grande Uomo Diavolo”, ma di certo il personaggio dalla pelle bluastra che tutti conosciamo, quella sorta di eroe che si convertiva per amore alla causa dell’umanità, era una copia ben distante dell’irsuto e ferino protagonista dei fumetti del maestro Nagai.

In passato qualche piccolo tentativo di riproporre la storia in una versione più simile al manga era stato fatto con gli OAV, senza però portare tutto a una conclusione. A riprovarci, nei primi giorni di questo 2018, è Netflix, che ci propone così Devilman – Crybaby, diretto da Masaaki Yuasa e Ichirō Ōkouchi.

Il risultato? Scopriamolo insieme.

Homo homini daemon.

Se le tematiche di Devilman sono, oggi come allora, attuali e universali, materiale che potrebbe far discutere generazioni di filosofi e teologi per molto tempo, il maggior difetto imputabile al manga è forse proprio quell’ambientazione, tanto efficace nell’uscita quanto difficile, per alcuni lettori, al giorno d’oggi.

Riproporre la storia di Akira Fudo e la sua lotta contro la stirpe dei demoni al giorno d’oggi appare quindi come un gesto necessario e fondamentale.

Riuscire a coniugare questi folli tempi moderni con le tematiche ripetute poc’anzi non sembra impresa facile. C’è posto per interrogarsi sulla sensibilità umana nel ventunesimo secolo? Non è una domanda banale e la risposta non è semplice come potrebbe sembrare. Negli anni ‘70 sembrava più facile: il mondo e il Giappone in particolare si scrollavano di dosso la patina di spiritualità che ancora li accompagnava per entrare nella modernità. Perciò se, alla fin fine, possiamo rispondere affermativamente a quanto ci siamo domandati poco fa, il sentiero per giungere a questa soluzione è meno lineare di quanto si possa pensare.

Il primo grande cambiamento è perciò nell’ambiente che fa da scenario all’intera vicenda. Non si tratta più semplicemente di mostrare le contraddizioni di una società, ma anche quelli di una generazione che si trova ad affrontare quella società. Una generazione spaccata in due, quella consapevole di essere parte dei “no future” e quella che deve rispondere ad aspettative altissime. Per entrambe la soluzione sembra essere l’evasione, vissuta in modi disparati. Lo sport, i primi sfrontati approcci alla sessualità, le droghe, la musica.

La serie, insomma, si distingue da subito per i contenuti molto forti, venendo giustamente sconsigliata ai minori di diciotto anni. Assistere a questa nuova serie di Devilman equivale ad accettare scene di sesso esplicito e violenza estrema, in linea con quanto visto nel fumetto originale. E i lettori non potranno che apprezzare la cosa. Niente viene edulcorato, niente viene commercializzato. È Devilman allo stato puro, crudo e crudele come era stato concepito.

Crybaby riesce nell’obiettivo di mostrare una società composta sia dalle luci soffuse delle feste che dal buio delle periferie giapponesi, da momenti di serenità familiare ad ambienti scolastici malsani, . Riesce a mostrarci tematiche forti e attuali senza mai cadere nel banale.

La storia di Akira si svolge così nel Giappone contemporaneo. L’intreccio, il suo rapporto con Ryo e con Miki si svolge esattamente come nel fumetto. L’evoluzione della trama è la stessa, il contesto è nuovo. E funziona. Akira è sempre un liceale giapponese che un giorno, quando sta avendo la peggio con un gruppetto di teppisti, viene salvato da Ryo, il quale chiede il suo aiuto per arginare l’avanzata dei demoni. Per poterlo fare Akira, puro di cuore, dovrà riuscire a fondersi con un demone senza esserne soggiogato. Cosa che succede, il ragazzo riesce a sottomettere Amon e diventare Devilman, un demone col cuore di un uomo, capace di contrastare gli altri demoni.

Detta così, appunto, non sembra cambiare nulla rispetto alla storia di Go Nagai. Invece Crybaby è a tutti gli effetti un prodotto nuovo, moderno. Guardando la serie non ci troviamo di fronte solo ai demoni come Silen e Jinmen; dentro a questo show abbiamo anche disagio sociale, pornografia minorile, droga e alcol a fiume, feste selvagge che includono omicidi e squartamenti.

Cambiano i mostri quotidiani, cambiano i metodi dei demoni, infiltrati nel tessuto della società per poterla corrompere e sfruttare come territorio di caccia, ma il modo con cui si sviluppa l’isteria della gente, il lato feroce dell’essere umano e la sua incapacità di vivere bene con i propri simili non cambia.

In Crybaby passare dal rap di un gruppetto di ragazzi di periferia agli scontro tra Akira e i demoni è prassi. E la cosa funziona, aiuta a contestualizzare l’ambiente in cui si svolge l’azione, quello spaccato di umanità che finirà col generare dei mostri. Se già negli anni settanta il panico e l’isteria di massa avevano la capacità di diffondersi a macchia d’olio solo grazie alla radio, alla TV e alla carta stampata immaginate come potrà essere realizzata questa scena nell’era di internet. E qui la serie riesce in un piccolo capolavoro.

A questo si aggiungono anche diversi punti di vista sull’imperfezione insita nella natura degli umani. L’uomo, sin dalla sua nascita, è una tela bianca: può tendere tanto al bene quanto al male, e questo, rispetto ai demoni, lo rende incompleto. I demoni, infatti, hanno la capacità di volgersi completamente al male, di concentrare le proprie abilità per ciò che sono nati. Da quel punto di vista l’assenza di un conflitto li rende, in una maniera perversa, perfetti. Gli umani, per sempre costretti a gravitare tra due poli, la luce e le tenebre, non sembrano mai in grado di poter scegliere la prima o le seconde, senza poter perciò abbracciare completamente il proprio potenziale.

Il conflitto tra l’abilità dei demoni e l’incompiutezza dell’essere umano, la cui unica arma è la propria mente, è un leitmotiv costante all’interno di Devilman: Crybaby. La soluzione semplice, quella che sembra suggerire che nel provare emozioni, che nel vivere nel grigio ci sia del buono, non è mai realmente contemplata in Devilman, semplicemente perché non fa parte delle corde di questo show. Aspettarsi questa soluzione vuol dire essere presto disillusi.

Anche la fiducia è un lusso in questa serie. L’inaffidabilità degli umani, la capacità che hanno di approfittarsi del prossimo è sempre presente. Emblematica la scena in cui Miki chiede ad Akira “Cosa c’è di male a essere onesti?” col secondo incapace di rispondere. E forse è in questo silenzio che si concentra l’intera essenza di Crybaby. I sentimenti, la capacità di piangere e di avere buoni propositi non sono un male. Ma il mondo difficilmente perdonerà queste debolezze così umane. Che siano demoni o umani poco importa, alla fine qualcuno ne approfitterà.

Akira Fudo è perciò nell’occhio del ciclone: la sua natura di umano capace di piangere per il dolore altrui, la sua innata empatia si mischiano con la sua furia selvaggia di demone. Una tale bontà, quando viene disillusa e alimentata da una furia illimitata, non può che condurre a scenari di sangue. Come si usa dire, se vuoi vedere un malvagio, fai arrabbiare un buono.

A lui si unisce Ryo Asuka, la cui identità i lettori di Nagai conosceranno bene, il quale sembra essere uno dei personaggi più sfaccettati dell’intera vicenda. Se da un lato la sua figura appare costantemente distaccata, algida ma “colpevole” di provare un amore sincero nei confronti di Akira, una contraddizione che genererà l’intera trama.

Terza, ma non ultima, è Miki Makimura, il personaggio a cui sembrano essere affidati tutti quei sentimenti umani puri che non possono essere espressi nel mondo di Devilman. Bontà e onestà che finiranno per diventare una bellissima debolezza.

L’orgia dei sensi.

Se la sceneggiatura di Crybaby si rivela un’eccellente chiave di lettura in chiave attuale del lavoro di Go Nagai, più complesso è analizzare il peso della regia nell’economia della serie.

Da un certo punto di vista è innegabile che i disegni e le animazioni potrebbero non trovare il riscontro di una parte di pubblico. Da un lato essi appaiono funzionali, con un parallelismo tra la loro semplicità che fa da contraltare alla deformazione e all’accentuazione di alcuni personaggi, utile al miglioramento di certe scene. I colori vengono utilizzati al meglio, senza mai trascurarne nessuno. La scelta di ignorare alcune delle opzioni sulla tavolozza non è contemplata. Al contrario, quando è necessario dei colori vivaci, posti all’interno della scena, possono dare risalto a determinati oggetti, alle sensazioni dei personaggi e ai messaggi stessi della narrazione. Insomma, visivamente Devilman: Crybaby potrebbe non essere immediato, ma si rivela essere un viaggio interessante dai risvolti spettacolari e talvolta inaspettati.

Tanto dal punto di vista visivo quanto da quello sonoro, questo show merita di essere visto. L’ottima scelta delle musiche (tra le quali viene inserita anche la sigla originale dell’anime) aiuta a far risaltare l’intera opera. La colonna sonora si rivela efficace nel trasmettere allo spettatore quel senso di ansia e di impotenza che sembra permeare l’intera vicenda.

Anche il doppiaggio, una volta tanto, si dimostra all’altezza del proprio compito. Ci troviamo di fronte alla capacità di trasmettere a fondo il messaggio non solo adattando con sapienza il linguaggio, con il liceale che si esprime in modo diverso rispetto al medico, ma anche con una lodevole interpretazione da parte dei doppiatori, capaci di utilizzare al meglio l’intonazione e le sfumature della voce per far arrivare il messaggio agli spettatori.

Verdetto

Devilman: Crybaby non è del tutto fedele all’opera di Go Nagai. Ma ne conserva il messaggio e lo spirito, cercando con forza la propria via per trasmetterlo. E ci riesce, a scapito di qualche piccola perplessità che può cogliere le persone nella visione di questo spettacolo. L’intera vicenda di Devilman viene contestualizzata in chiave attuale e riproposta agli spettatori in maniera efficace, supportata da disegni e animazioni azzeccate e da musiche perfette. L’opera riuscirà a conciliare la visione sia dei fan di Go Nagai che dei neofiti, fornendo scene eccellenti e materiale su cui ragionare. Insomma, un esperimento perfettamente riuscito.

Federico Galdi
Genovese, classe 1988. Laureato in Scienze Storiche, Archivistiche e Librarie, Federico dedica la maggior parte del suo tempo a leggere cose che vanno dal fantastico estremo all'intellettuale frustrato. Autore di quattro romanzi scritti mentre cercava di diventare docente di storia, al momento è il primo nella lista di quelli da mettere al muro quando arriverà la rivoluzione letteraria e il fantasy verrà (giustamente) bandito.