È facile elogiare Clint Eastwood quando ci regala capolavori. Ben più complesso è farlo dopo un film come Cry Macho, ma forse merita comunque di essere difeso
Avevamo lasciato il buon vecchio Clint Eastwood sul pickup, in quel nostalgico viaggio che fu The Mule del 2019, e dopo due anni lo ritroviamo ancora lì, seduto a bordo di un piccolo autocarro Chevrolet, prima di saltare da un veicolo d’epoca all’altro nel suo nuovo film Cry Macho, un dilatato racconto che ci mostra per l’ennesima volta la sua passione per le automobili, tra i tanti totem del suo cinema iconico e leggendario.
A 91 anni, con 5 Oscar, un’infinità di altri premi, circa 70 film da attore e 44 da regista spendere ancora parole su Clint Eastwood sembrerebbe quasi inutile, ma è sempre un piacere farlo. Almeno fino a quando queste possono riservare elogi.
Ma come si fa, quando queste portano con sé critiche, nel senso negativo del termine?
Chi può avere il coraggio e assumersi la responsabilità di sostenere che forse, ormai, sarebbe meglio per lui dedicarsi ad altro?
Al netto della sua età, le sue capacità registiche e attoriali restano indiscusse e sorprendenti, oltre a rappresentare probabilmente un record. Non saprei dire a memoria, senza consultare la rete o affidarsi a enciclopedie, quanti altri artisti della sua età possano vantare una media di circa un film ogni due anni, per di più nelle doppie vesti di regista e attore (oltre che, spesso, produttore).
Eppure, ci perdonerà il buon Clint se facciamo fatica a credere a un 91enne calato ancora in un ruolo da “macho” e da playboy.
Qualsiasi altra figura in assoluto, in tutto lo star system, ci strapperebbe sonore risate alla sola idea, mentre il fatto che sia Clint Eastwood a proporsi in queste vesti, ci lascia interdetti, e il rispetto che nutriamo verso di lui ci impedisce di farlo.
Gigioneggia sullo schermo, consapevole di possedere un magnetismo e un fascino che va oltre gli inevitabili acciacchi dati del tempo che passa e le movenze lente e incerte. A oltre 90 anni resta il cowboy famoso per le due leggendarie espressioni, quella col cappello e quella senza, come amava sostenere Sergio Leone. Espressioni che hanno contribuito al suo successo, eterno che trascende il tempo e lo spazio.
In Cry Macho interpreta Mike, ex star dei rodei texani che ha perso la moglie e il figlio in un incidente d’auto ed è stato anche licenziato per la successiva dipendenza da e alcol e da pasticche. Una dipendenza che non viene mai mostrata sullo schermo e che ci indica che probabilmente il buon Mike è sulla via del recupero.
Anche perchè sarà proprio il suo ex datore di lavoro, Howard (Dwight Yoakam), ad affidargli un compito importantissimo: Mike dovrà andare in Messico e salvare il figlio adolescente, Rafo (Eduardo Minett), dalla sua ex moglie, una specie di matriarca della mafia, interpretata da Fernanda Urrejola, una quarantenne stregata dal cowboy novantenne interpretato da Clint Eastwood.
L’amore è cieco, indubbiamente, ma ci riserviamo un po’ di scetticismo. Così come qualche dubbio legittimo cresce in noi quando poco dopo, lo stesso Mike conquista Marta, proprietaria di un piccolo saloon e interpretata dalla cinquantenne Natalia Traven.
Questa cosa del macho è sopravvalutata
Se cerchiamo un motivo per difendere, ancora una volta, l’eroe Eastwood dobbiamo scavare a fondo nell’intimità di Cry Macho e apprezzare i valori dell’uomo Mike e la chimica meravigliosa che trasmette l’intesa sulla scena del suo protagonista e del Rafo di Eduardo Minett. Nonostante l’enorme differenza d’età, ognuno sembra avere qualcosa da imparare dall’altro e si prendono cura, ancora, l’uno dell’altro.
Quell’uomo così apparentemente schivo e taciturno è un vecchio dal cuore di panna, che preserva grandi valori umani e familiari, di rispetto verso il prossimo e per gli animali. “Questa cosa del macho – è sopravvalutata”, è il suo insegnamento finale al giovane Rafo, ed allora quel viaggio scomodi tra vecchi scassoni e pickup malandati si trasforma in un finale intenso e commovente.
Così come è toccante, per certi versi, la genesi di Cry Macho e il suo felice epilogo.
Il progetto di Cry Macho gira ad Hollywood da circa quarant’anni. Il compianto Richard Nash propose la sceneggiatura alla 20th Century Fox per ben due volte, agli inizi degli anni ’70, incassando due secchi no, senza tuttavia scoraggiarsi e decidendo di trasformare lo script in un romanzo, pubblicato nel 1975. Il libro ottenne critiche assai positive, e così Nash ripartì in quarta provando a proporre nuovamente la sceneggiatura alle case di produzione. E lo fece praticamente fino all’ultimo, fino a poco prima della sua scomparsa, nel 2000.
In tutti questi anni sfiorò il suo obiettivo a più riprese, e molti attori sono stati vicini a interpretare il ruolo di Mike: da Roy Scheider a Pierce Brosnan, passando per Burt Lancaster, Arnold Schwarzenegger fino allo stesso Clint Eastwood, che nel 1988 rifiutò la parte perché impegnato nelle riprese di Scommessa con la morte.
Non sappiamo precisamente quali siano le reali motivazioni che abbiano spinto Eastwood, a vent’anni dalla morte di Nash, a farsi carico quasi in toto di questo progetto, in cui figura nelle vesti di attore, regista e produttore, ma romanticamente vogliamo pensare che abbia voluto in qualche modo omaggiare l’impegno e la determinazione dell’autore americano e il suo grande sogno nel cassetto.
Vogliamo crederci, perché indubbiamente questa sarebbe una motivazione per difendere, ancora una volta, il nostro caro Clint, che merita sempre applausi a scena aperta, anche quando fa di tutto per non guadagnarseli.