C’è qualcosa di molto affascinante nel modo in cui la paleontologia trasforma continuamente la nostra immagine dei dinosauri sfidandoci a riscrivere i nostri paradigmi
l Tyrannosaurus Rex aveva le piume. Se leggere questa frase ha triggerato il tuo bambino interiore nostalgico dei lucertoloni nudi con la lordosi che trovavi sui libri delle elementari, smetti di leggere questo articolo. Se invece puoi accettare l’idea che qualcosa sia diverso da come te lo hanno insegnato senza che questo distrugga la tua identità, allora possiamo parlare. E alla fine potresti anche scoprire che in fondo quei libri coi lucertoloni non erano “sbagliati”, ma ironicamente i dinosauri si evolvono più in fretta di noi e dobbiamo riconoscerne il cambiamento.
In che senso “dinosauri”?
Potrebbe sembrare banale chiedersi che cosa si intende con “dinosauri”, ma in realtà la domanda ha un suo senso. I dinosauri in quanto categoria semantica infatti occupano due parti distinte della noosfera: da un lato sono oggetto di ricerca scientifica (paleontologia, geologia, biologia evolutiva), dall’altro sono icone pop fossilizzate sotto strati sedimentari di immaginario collettivo. Già soltanto il nome che usiamo per indicarli è rivelatorio di come sono stati percepiti fin dall’inizio: “deino saurus”, cioè lucertole terribili. Senza stare a ripercorrere la storia della scoperta dei primi dinosauri classificati come tali nel XIX secolo, basta considerare che per ragioni di prospettiva e paradigmi socioculturali, fin dall’inizio i dinosauri sono stati associati all’idea di mostro preistorico.
Quindi mentre da una parte naturalisti, esploratori e filantropi si affannavano a cercare nuovi resti di queste creature remote e sconosciute (a volte scatenando delle vere e proprie battaglie per l’accaparramento dei fossili) e facevano a gara nell’identificare e descrivere nuove specie, dall’altro il pubblico veniva ammaliato dall’idea e dalle raffigurazioni paleoartistiche di questi mostri primitivi. Un po’ come avveniva per i Neanderthal, nei primi decenni la rappresentazione di questi animali confermava soprattutto il bias antropocentrico dell’epoca, che tendeva a mostrare tutto ciò che era precedente all’età dell’uomo come bruto, goffo, inadatto al mondo in cui viveva. Ci sono naturalmente notevoli eccezioni di artisti che cercarono di portare un primo cambiamento nella rappresentazione dei dinosauri, mostrandoli con una loro dignità di creature viventi, ma l’idea veicolata per il pubblico era soprattutto quella di lucertoloni pigri, lenti, grigi e stupidi.
Questo stigma è quello che sopravvive anche oggi quando si utilizza il termine “dinosauro” per intendere qualcosa di antiquato, disevoluto, destinato al fallimento. Dalla politica alla pubblicità, l’archetipo del gigante pachidermico ottuso è tuttora ricorrente. Anche se col tempo questa visione dei dinosauri ha iniziato a vacillare, e già dagli anni ’70 si inizia a pensare ai dinosauri come animali parte di un’ecosistema complesso, adattati al loro ambiente come lo sono gli animali di oggi, la resistenza verso l’immagine di creature vitali, colorate e intelligenti persiste ancora. Poi è successo Jurassic Park.
Crichton, Spielberg et al., 1993
L’impatto che Jurassic Park (il film di Spielberg, non il libro di Crichton) ha avuto sull’immaginario collettivo è incalcolabile e riecheggia ancora oggi, quasi trent’anni dopo. Se i dinosauri erano sempre stati presenti nell’animazione (da Fantàsia della Disney alla saga della Valle Incantata) e nei monster movie, Jurassic Park li porta per la prima volta in scena come animali veri, seppur riportati in vita dalla tecnologia umana. Se il romanzo di partenza era soprattutto un’apologia sull’imprevedibilità del progresso tecnologico (riadattamento del tema di fondo di Westworld, film sceneggiato anni prima dallo stesso Crichton), il film si concede più spazio anche per portare sullo schermo ricostruzioni dei dinosauri realistiche come mai se ne erano viste prima.
“Scacco matto!” stai pensando, se sei tra quelli che avrebbe dovuto chiudere l’articolo alla prima riga. “Dici rappresentazioni realistiche ma il T-Rex di Jurassic Park non ha le piume, ti sei contraddetto da solo!” Infatti, tutto il senso del discorso ruota proprio intorno a ciò che consideriamo “realistico”. Dobbiamo innanzitutto partire da un fatto doloroso ma inconfutabile: non vedremo mai un dinosauro vero inserito nel suo ambiente. Se anche davvero fosse possibile clonarne uno (e allo stato attuale delle nostre conoscenze non lo è, perché il DNA non si preserva così a lungo), potremmo al massimo ottenere un esemplare inserito in un ecosistema differente da quello in cui si è sviluppato, e di cui quindi osserveremmo comportamenti falsati. Quindi mettiamoci l’animo in pace: non c’è niente di sicuro e inattaccabile nella rappresentazione dei dinosauri. E soprattutto, non c’è niente di definitivo: l’immagine dei dinosauri sarà per sempre in continuo cambiamento.
Questo ci porta quindi ad affermare che non c’è nessuna contraddizione nell’affermare che i dinosauri di Jurassic Park fossero realistici, per l’epoca di Jurassic Park. Di lì a pochissimo le nostre conoscenze avrebbero di nuovo cambiato le rappresentazioni, soprattutto per l’esplosione della rivoluzione piumata con cui si è progressivamente ampliata la porzione di dinosauri dei quali siamo ragionevolmente sicuri fossero coperti di piume: in pratica tutti i teropodi (i bipedi carnivori), ma anche altre famiglie che in certi casi presentavano tegumenti definibili come protopiume. La ricerca ha quindi via via aggiornato la raffigurazione di molti di questi animali, grazie anche a scoperte sensazionali come Microraptor o Kulindadromeus o Halszkaraptor.
Stavolta però l’immaginario collettivo non è stato altrettanto ricettivo nell’accogliere e integrare gli aggiornamenti proposti dalla paleontologia, e l’immagine dei grossi mostri squamati con le mani ricurve verso il basso continua a essere proposta, purtroppo anche da parte di progetti che avrebbero tutte le risorse per fare di meglio, come la serie di Jurassic World, che sembra aver perso del tutto di vista l’intento iniziale di Jurassic Park di mostrare qualcosa di realistico, e si accontenta invece di riempire la nicchia ecologica del monster movie alla King Kong vs Blastosaurus. Un’occasione persa per far arrivare al grande pubblico, anche quello non strettamente interessato ai gazzettini paleontologici, lo stato dell’arte della ricerca.
Dinos vs Terfs
C’è stato però anche un altro caso recente in cui i dinosauri sono stati loro malgrado al centro di una polemica. Senza addentrarsi nei dettagli della questione, è successo che qualcuno ha paragonato la comunità TERF (trans-excluding radical feminist) ai dinosauri, agganciandosi di nuovo allo stereotipo di creature destinate al fallimento; dall’altra parte, le TERF si sono appropriate di questo appellativo e hanno iniziato a utilizzare i dinosauri come segno di riconoscimento, usando per esempio gli emoji dei dinosauri nei loro nomi online per indicare la loro appartenenza e aderenza all’ideologia TERF. La guerra civile tra le varie istanze del femminismo o sedicente tale che si scontrano sul piano dell’inclusività è un tema complesso e delicato, che non è oggetto di questa specifica discussione. Quello che però è interessante notare è come anche in questo caso i dinosauri siano stati utilizzati da una parte e dall’altra come icona di inflessibilità e resistenza al cambiamento. Ma i dinosauri sono, per loro natura, esattamente l’opposto.
Per capirlo possiamo guardare come si sono evolute nel tempo le ricostruzioni di alcuni dei dinosauri più discussi della storia. E non stiamo parlando di T-Rex, che sì, sarà il più famoso, ma ha un appeal più mediatico che paleontologico: pensiamo per esempio a Iguanodon, uno dei primi mai scoperti, oppure Spinosaurus che sta subendo anche in anni recenti sostanziali restyling. Entrambi questi animali sono cambiati enormemente nella loro rappresentazione dal momento della loro scoperta a oggi. Se confrontiamo l’Iguanodon del Crystal Palace di Londra con quello attuale, o lo Spinosaurus gobbo del 1900 con quello nuotatore del 2020 possiamo notare l’evoluzione dei loro modelli. Ci si potrebbe chiedere: ma qual è quello giusto? Visto che tali animali sono esistiti, hanno camminato su questo pianeta, mangiavano, dormivano e mettevano su famiglia, quindi devono aver avuto un aspetto vero, che potrebbe o no corrispondere a uno di questi.
La risposta, come già accennato, è che non possiamo saperlo. I dinosauri non esistono come creature oggi viventi, di cui possiamo descrivere anatomia, biologia, facoltà e comportamento. Peranto rimangono un’astrazione, un rappresentazione ideale delle proprietà che gli attribuiamo in base alle nostre conoscenze incomplete e in continuo aggiornamento. Per questo il T-Rex di Jurassic Park non era sbagliato, così come non lo era l’Iguanodon del Crystal Palace; ma allo stesso tempo, è sbagliato il Gigantosaurus di Jurassic World Dominion, che si aggrappa a una rappresentazione superata e nostalgica (e compare milioni di anni e migliaia di chilometri fuori dal suo ambiente), ed è sbagliato l’accostamento dei dinosauri al concetto di immutabilità, perché essi sono in effetti tutto l’opposto. Conoscere e amare i dinosauri significa soprattutto accettare e apprezzare il cambiamento, non avere paura di mettere in discussione le proprie posizioni e accogliere le opinioni motivate e convincenti che possono fornirci una prospettiva diversa sul mondo.
Il Tyrannosaurus Rex aveva le piume. Questo è quello che sappiamo oggi al meglio dei dati a nostra disposizione, anche se non abbiamo prove dirette del rivestimento della sua epidermide (e d’altra parte i fossili di T-Rex sono piuttosto rari). Forse tra due anni o quaranta si scoprirà che invece Tyrannosaurus aveva la pelle liscia come una salamandra, o la pelliccia come un coniglio. Quando succederà, le persone mature accetteranno questo cambiamento e potranno tornare a godersi Jurassic Park, sapendo che non c’è niente di sbagliato in quell’immagine, ma che nel frattempo noi siamo cresciuti, insieme ai dinosauri.