ZA/UM ci regala un RPG di quelli che ricorderemo negli anni: Disco Elysium
Ok, sono parole forti, ma Disco Elysium se le merita. È possibile per un’opera prima di uno studio, un gioco uscito senza così tanto clamore al di fuori di qualche nicchia, sedersi subito accanto ai migliori del genere? Sicuramente sì, e nella storia ci sono altri esempi di questo tipo (Fallout e The Witcher furono entrambe opere prime).
L’RPG è però un genere antico, e giochi come Disco Elysium si inseriscono quindi in un solco già battuto più e più volte, con tutte le difficoltà del caso nel poter dire qualcosa di genuinamente nuovo. ZA/UM però ci riesce, a dire qualcosa di nuovo. Lo fa scollandosi da diversi archetipi del genere, innovando sul piano narrativo e tematico, sfruttando quelle che sono le caratteristiche canoniche del gioco di ruolo per fare qualcosa di altro rispetto a quello a cui siamo abituati.
Facendo uno sforzo, rimettendo in ordine i pezzi delle 30 e più ore spese per completare la campagna principale di Disco Elysium, è possibile mettere a fuoco la direzione in cui il gioco voleva andare, e mettendo in conto una stima di quelle che potevano essere le effettive capacità produttive del team, è chiaro come lo sviluppo sia stato portato avanti con una certa lucidità, investendo le risorse nelle giuste direzioni.
La mappa non è enorme, ma è funzionale alla storia. I personaggi non sono tantissimi, ma ognuno ha qualcosa da dire, un ruolo ben definito, missioni secondarie interessanti e spesso bene amalgamate o con il racconto principale, o con la necessità di world building che porta con sé una nuova ambientazione. Non ci sono mille abilità o talenti, ma solo 24 caratteristiche del personaggio che sono profondamente integrate nel gameplay.
Nonostante il gioco sembri, ponendo così la questione, un qualcosa di circoscritto alle possibilità di un piccolo team di sviluppo, in realtà Disco Elysium è un gioco enorme, non per estensione ma per profondità, nel permettere di approcciare le cose in diversi modi, a seconda del personaggio che si vuole interpretare o delle capacità con le quali si è deciso di crearlo e svilupparlo, ma anche a seconda del proprio credo politico o più banalmente del proprio modo di vedere le cose. La grandezza di Disco Elysium, contrariamente a quello che è il trend, è verticale e non orizzontale. Per semplificare, sembra che ZA/UM abbia deciso di non inseguire un il mercato, quanto di fare le cose a modo suo: un atteggiamento che spesso paga.
Discorso analogo può essere fatto per le tematiche di gioco, fortemente politicizzate. Il team, nella persona di Robert Kurvitz, non ha mai nascosto il suo pensiero (come potete leggere nelle interviste segnalate nella mia anteprima): ZA/UM nasce come movimento di sinistra e Kurvitz non nasconde una certa nostalgia per il periodo socialista dell’Estonia. Se il gioco a una prima occhiata permette di interpretare il proprio colore politico (ci sono degli indicatori per comunismo, fascismo, ultra liberismo e moralismo), è evidente da come è costruito il mondo di gioco e da altri elementi come ci siano delle vittime, impersonate dagli abitanti di Revachol, la città in cui è ambientato il gioco, e dei carnefici, la coalizione di nazioni democratiche e moraliste che ha represso nel sangue una rivoluzione comunista cinquant’anni prima degli eventi raccontati.
È evidente come c’era un’idea di popolo libero che è stata soffocata, è evidente una nostalgia per questo periodo e il suo idealismo, per il sogno di essere uomini liberi, ed è altrettanto evidente come sotto la maschera della democrazia e di una presunta equità un popolo sia stato soggiogato e obbligato a giocare a regole “universalmente considerate giuste” – così giuste e universali da dovere essere imposte con i fucili e la più aggressiva economia.
La liberazione, il fallimento del sogno di questa rivoluzione che riporta alla mente sia la Rivoluzione Russa che il periodo della Comune di Parigi, ha lasciato Martinaise (il quartiere di Revachol in cui ci muoveremo) allo sbando, vittima della povertà e dell’ingiustizia sociale. I sogni sono infranti, e la nostalgia di quell’idea è appunto solo nostalgia: non sembra ci sia modo di tornare indietro. Questa malinconica rassegnazione è forse la principale caratteristica del mondo di Disco Elysium, e si riflette sui personaggi che lo popolano, ma anche sul protagonista.
Ci svegliamo in una stanza d’albergo, dopo una sbronza così pesante da farci dimenticare anche il nostro nome. Un pretesto abusatissimo nei videogiochi, che in questo caso è però ben gestito e contestualizzato, e serve a giustificare la necessità di scoprire da zero questo mondo anni ’70 ottimamente pennellato da ZA/UM.
Il protagonista si accorge da subito di essere un poliziotto, e di trovarsi a Martinaise per risolvere il caso di un uomo impiccato all’albergo dietro l’hotel in cui alloggia. Il caso principale, la main quest, è certamente interessante, ma soprattutto è funzionale, è una scusa per farci scoprire cosa succede a Martinaise. Seguendo assieme al nostro partner il caso dell’uomo impiccato scopriremo quali sono i rapporti di forza all’interno della città e gli sfumati personaggi che la abitano, tra chi cerca di sopravvivere e chi mistifica con idealismo la semplice brama di profitto.
In mezzo a questo potpourri di istanze ideologiche, comportamenti loschi, doppi fini e povertà c’è il protagonista senza nome. Il nostro detective è un uomo finito, divorato dall’alcool e dalle droghe. Un personaggio che, a seconda di come vorremo interpretarlo, potrà essere convinto di essere una superstar o un fallito totale, potrà cercare di ripulirsi o attaccarsi ancora alla bottiglia, potrà diventare un violento razzista, un calmo democratico o un fervente rivoluzionario.
Quello che però non lo abbandonerà mai è il senso di decadenza e fallimento, percepibile anche quando si agisce da superstar, o che sembrerà solo messo in stand by per un breve momento di recupero della propria dignità nel ricostruire e analizzare la scena di un crimine nel modo più professionale possibile. Il protagonista riesce ad essere contemporaneamente liberamente interpretabile ed estremamente sfaccettato e definito, senza ricadere in nessun archetipo preconfezionato.
Da una parte verrebbe da dire che il vero protagonista di Disco Elysium è quello che ruota intorno al protagonista, il mondo di gioco, ma nel solo pensarlo mi ricordo di come sia come detto un personaggio ben definito con un carattere, a cui mi sono affezionato con le sue stramberie, e soprattutto mi ricordo della complessa vita interiore che lo ha accompagnato per tutto il gioco, grazie alla centralità nel gameplay che hanno le idee, le sue idee, e le sue propensioni naturali, rendendolo un elemento cardine del gioco.
Se può sembrare un volo pindarico – e non è detto che effettivamente non lo sia – è necessario farvi notare come nonostante l’accento posto sul tutto, ZA/UM non si sia dimenticata di metterci al centro un personaggio spesso, a ribadire l’importanza del singolo e del suo pensiero all’interno del processo storico e dei movimenti che lo animano.
Pensare è proprio la meccanica ludica più importante di Disco Elysium, essendo le citate 24 caratteristiche che definiscono il protagonista letteralmente delle voci nella sua testa, che interferiscono e intervengono nei dialoghi, con le quali sarà possibile parlare e che a volte interagiranno tra loro, contraddicendosi o semplicemente suggerendo diverse strade da seguire, non necessariamente giuste. Anche quelle caratteristiche che di solito sono funzionali in combattimento verranno utilizzate nello stesso modo di quelle più intellettuali o emotive, essendo gli scontri pochi, non necessari e comunque gestiti attraverso il dialogo come le altre interazioni del gioco.
Vicino alle canoniche “logica” o “prestanza fisica” troveremo anche caratteristiche più particolari, come “Shivers”, letteralmente “brividi”, che consente di percepire nell’aria quello che succede attorno a noi, o “Drama”, la capacità di recitare e quindi di percepire se il nostro interlocutore sta mentendo.
Non tutto è però positivo, perché un eccessivo sviluppo di un’abilità può anche comportare dei malus, dei problemi nella percezione di quanto avviene, come è facile intuire immaginando una persona eccessivamente incline alla logica e totalmente chiusa all’empatia.
Ancora più particolare di questa interazione nella propria testa di tutti quelli che sono i pensieri è il Thought Cabinet, un’altra porzione di menu in cui è possibile fare propri diversi pensieri, ancora una volta sottolineando l’importanza dell’idea.
La valenza del funzionamento di questa particolare soluzione di gameplay è doppia: comportandoci in un certo modo sbloccheremo alcuni pensieri che, equipaggiati, potremmo far nostri e che garantiranno bonus, malus e nuove linee di dialogo; allo stesso modo parlando con alcuni personaggi ci verranno suggeriti temi e argomenti su cui potremmo decidere di riflettere, e quindi fare nostri.
“L’equipaggiamento” di un pensiero non è però cosa facile, perché richiede del tempo e dei malus temporanei per essere interiorizzato, senza la certezza di quello che succederà (leggi: quali modificatori ci riserverà una volta fatto nostro). Inoltre, per dimenticarlo, è anche necessario spendere un punto abilità.
L’utilizzo del pensiero in questa chiave è una decisa novità, ed è anche un ottimo modo per integrare nel gameplay quello che è uno dei processi mentali che capitano a chiunque tutti i giorni. Potremmo parlare più e più volte in difesa delle donne, e dopo un po’ arriverà la possibilità di rendere questo uno dei capisaldi del nostro pensare, interiorizzando la teoria femminista, oppure ci potrebbero parlare di una teoria delle razze, e potremmo decidere di pensarci sopra fino a comprenderla e farla nostra. Facendo di noi un potenziale razzista, certo, ma lo sbloccare nuove voci di dialogo razziste non ci obbliga a usarle, non ci rende per forza razzisti il conoscere perfettamente la “logica” dietro un pensiero di questo tipo. O forse sì?
Torniamo un po’ al discorso iniziale quindi, quello relativo all’indirizzare le risorse in una direzione specifica. ZA/UM non ha infarcito il gioco di mille classi, sottoclassi abilità, sottoabilità, talenti e tutto quello che di solito rende un RPG complesso. Ha asciugato le meccaniche a quelle necessarie al proprio scopo, e successivamente ha reso queste meccaniche approfondite, effettivamente legate al tessuto del gioco e alla sua narrazione, funzionali ed estremamente coerenti nel rapporto tra giocato e raccontato.
Ovviamente la grandezza di Disco Elysium non è solo in questa grande coerenza, o in questo impianto ideologico forte e definito, e neanche soltanto nel tratteggio di un mondo di gioco di cui, banalmente, vorremmo vederne di più. Disco Elysium ha anche tante altre frecce nel suo arco.
La prima, più evidente, è l’eccellente direzione artistica, che si concretizza in aree di gioco che spesso sembrano dipinte, oltre ad essere estremamente ispirate da un gusto decadente anni ’70 che non può che rimanere impresso nonostante parliamo “solo” di un RPG isometrico. A questo si affiancano le illustrazioni per le caratteristiche del personaggio e i ritratti degli NPC, veramente eccezionali, che richiamano un certo espressionismo surreale. La scrittura è a sua volta eccellente, riuscendo a definire benissimo i personaggi variando registro e forma, spaziando dallo sboccato parlare di un ragazzino dipendente dalla speed alla poetica narrazione di lontani echi che il protagonista percepisce dal vento che gli accarezza il viso.
A questo si aggiunge un ottimo doppiaggio, solo parziale. La scelta, oltre ad essere dettata da questioni di budget, ha effettivamente un’utilità pratica: essendo Disco Elysium un gioco in cui, di fatto, si legge per più di 30 ore, avere costantemente il doppiaggio sarebbe stato in definitiva sgradevole. In questo modo invece si ha l’idea del tono di voce di chi sta parlando, ma proseguendo nei dialoghi è possibile leggere al proprio ritmo senza distrazioni.
Nel suo rappresentare decadenza, sogni infranti e idee soffocate Disco Elysium è un gioco che chiunque apprezzi gli RPG dovrebbe giocare. Ben scritto, ben disegnato, bello da giocare e vivere, pieno di tematiche, riflessioni e con un’atmosfera come non se ne vedeva da po’, Disco Elysium può tranquillamente essere accostato ai grandi del genere e al meglio della produzione indipendente (e non solo) contemporanea. ZA/UM alla sua opera prima si dimostra già uno sviluppatore maturo, consapevole del mezzo videogioco e delle sue possibilità espressive.
Servirebbero più giochi come Disco Elysium, e servirebbe anche più Disco Elysium stesso. Speriamo di poterci tornare ancora in queste terre.