Disincantati dalla Terra dei Sogni

La parte due di Disincanto, show fantasy di Matt Groening realizzato per Netlix, è arrivata e andata in maniera indolore. Troppo indolore. Quanti si aspettavano qualcosa in più dopo la prima stagione, dotata di spunti interessanti ma certo non al livello di quei capolavori che furono le prime serie dei Simpson e Futurama, resteranno delusi.

Possiamo annoverarci tra questi: la seconda parte di Disincanto la stavamo aspettando al varco. Volevamo capire se dopo aver speso parole positive per questo show il genio di Matt Groening ci avrebbe riservato qualcosa di veramente nuovo.

Purtroppo siamo stati delusi. Disincanto, nella seconda parte come nella prima, si mantiene fedele a se stesso: una serie che vanta spunti interessanti, potenzialmente migliori delle altre produzioni di Groening, ma che si perde in un bicchiere d’acqua.

Lasciati di sasso

La storia riprende più o meno dove l’avevamo lasciata. Bean è fuggita con sua madre Dagmar da Dreamland, dove tutti gli abitanti, escluso re Zøg, sono stati trasformati in pietra. Le due arrivano nel regno natale della regina, Maru, e qui le cose iniziano rapidamente a farsi inquietanti.

La principessa si trova coinvolta in una cospirazione che la vede al centro di una strana profezia, sulla quale Dagmar e i suoi fratelli, Becky e Cloyd, sembrano avere degli interessi non del tutto chiariti. Qualcosa di difficile da affrontare, specie quando la mente della principessa è altrove. Bean infatti convive ancora con il rimorso per la scelta egoistica fatta alla fine della scorsa stagione (ops… parte), quella di riportare in vita la madre al posto dell’amico Elfo, che desidera contattare in qualche modo, ora che si trova all’altro mondo. Come se non bastasse anche il demone Luci sembra sparito, lasciandole come unica ancora emotiva una madre di cui non sa nulla e che pare nascondere troppe cose alla figlia.

Le premesse, a vederle così, sono positive. In fondo parliamo di una trama che potrebbe essere abbastanza lineare, facile da risolvere e sviluppare nei dieci episodi a disposizione. Ma, in qualche maniera, Disincanto resta sempre bloccato in questa parte seconda.

Disincanto parte 2

Ciò a cui ci ha (quasi sempre) abituato Netflix nelle sue serie è l’orizzontalità della trama. L’elemento principale viene sviluppato poco alla volta, senza inutili episodi riempitivi. Invece troppo spesso Disincanto si lascia andare a divagazioni e a variazioni sul tema, lasciando perdere la trama principale e quello che dovrebbe essere il fulcro centrale della narrazione, ovvero la crescita di Bean. Il senso di inserire episodi filler in una serie con sole dieci a puntate a disposizione ci sfugge.

Di per sé la storia della profezia, classico cliché piaga del fantasy, risulta difficile da digerire in una storia che si proponeva di mandare all’inferno gli stereotipi del genere. Certo c’è la speranza che la cosa venga sfruttata in maniera sagace, come ennesima presa in giro a queste situazioni trite e ritrite. Ma per farlo sembra ci voglia fin troppo tempo, divagazioni su divagazioni, un filler qua e uno là, lasciando questa importante sottotrama solo sullo sfondo, senza mai svilupparla.

E non è l’unica trama di una certa rilevanza a non essere sfruttata a dovere. Troppe sono le cose interessanti che Disincanto sceglie di indicare allo spettatore, salvo poi prendergli la testa e costringerlo a distogliere lo sguardo a forza per guardare altrove. La cosa, alla lunga, diventa frustrante, spingendo lo spettatore a chiudere la serie e cercare qualcosa di diverso sul catalogo Netflix. Oppure saltare la barricata e andare direttamente su quello di Amazon Prime.

Due passi indietro e uno avanti

Messa così potrebbe sembrare che Disincanto sia una serie da buttare. Invece sotto molti punti di vista Groening sviluppa bene quella che era la sua idea narrativa. Disincanto, come nella prima (parte della) stagione, si dimostra ancora una volta una serie corale, lasciando ampio spazio ai comprimari della storia, alle loro avventure e alla loro evoluzione.

Disincanto

Dobbiamo nuovamente lodare il lavoro fatto per il personaggio di re Zøg, uno dei più riusciti tra i coprotagonisti della serie. John DiMaggio lo conosciamo tutti, abbiamo amato Bender e lo Scozzese, e qui lo vediamo dare una nuova dimensione a un personaggio non più relegato al ruolo di mero comic relief. Quei semi lanciati nelle ultime puntate della scorsa tornata di episodi sono germogliati e hanno dato i loro frutti.

Zøg ci appare come un uomo distrutto, che alla fine della precedente stagione è stato tradito dalla moglie, per riavere la quale ha speso ogni possibile energia, e (apparentemente) dalla figlia. Rimasto solo in un regno di statue per la prima volta sembra fare introspezione e cercare un confronto con se stesso, anche se i risultati non sono quelli sperati e si traducono in una follia omicida da parte del sovrano.

Allo stesso tempo anche personaggi rimasti sullo sfondo nella prima parte sembrano finalmente godersi il proprio momento. Oona, per esempio, seconda moglie del re di Dreamland, che cerca di trovare la propria strada lasciandosi alle spalle il matrimonio fallito, o suo figlio Derek. Del ragazzino vediamo finalmente qualcosa, l’ammirazione per la sorella maggiore che non fa altro che respingerlo, il suo lato sognatore e malinconico, la sua impreparazione a succedere al padre e la sua confusione su quello che sarà il suo futuro ruolo nel regno. Un bambino pronto a diventare un perfetto re fantoccio per qualcuno di più navigato in politica.

Disincanto

Anche Luci ed Elfo cambiano il loro carattere al punto da trovare una specie di punto d’incontro. Il primo sembra smussare alcuni dei suoi lati più demoniaci, riuscendo a ricoprire in maniera più sensata il suo ruolo di “adorabile carogna”. Il demone sembra non limitarsi solo al desiderio di fregare e corrompere il prossimo. Luci  dimostra di aver sviluppato una sorta di affetto verso i suoi compagni di sventure. Cosa che rende la sua presenza nella serie molto più “credibile”. Sarebbe stato difficile giustificare la sua presenza con il solo desiderio di corrompere Bean (impresa da poco).

Al contrario Elfo diventa più smaliziato. L’essere morto e aver litigato con Dio in persona (in alcune delle scene migliori di questa seconda parte) lo hanno reso un personaggio più completo, utile ai fini della trama e capace di condividere lo schermo con i suoi comprimari. Qualche traccia della vecchia ingenuità resta ancora ed è funzionale a molte delle scene comedy della serie, ma queste vengono dosate e si dimostrano meno forzate e più naturali rispetto al passato.

Insomma, ci sentiamo di lodare ancora una volta il lavoro fatto dagli sceneggiatori con i personaggi di contorno, anche se siamo portati a chiederci se la cosa non abbia distratto troppo l’attenzione da Bean.

Ancora una volta Bean non sembra in grado di comprendere quale sia il suo posto nel mondo. Certo, anche lei verso la fine della serie pare trovare un percorso più lineare. Ma è troppo poco e troppo tardi per quella che dovrebbe essere la protagonista. Nei fatti quelle che erano le premesse di Bean nella precedente stagione non sembrano essere state sviluppate. Cosa che risalta ancora di più quando un personaggio come Oona riesce a evolvere e diventare decisamente migliore in appena due episodi.

Né Paradiso, né Inferno

Il grande problema di Disincanto, come ormai avrete capito, è la sua incompiutezza. Ci troviamo davanti a una serie che potrebbe dare molto più di così, ma che sfortunatamente resta ancora una volta sospesa in un limbo. Non siamo di fronte a una serie comedy, pur essendo capace di strappare qualche risata. Da Matt Groening, autore divenuto capace di caratterizzare un’intera generazione di narrativa comica, sarebbe lecito aspettarsi qualcosa di più.

Ma non siamo nemmeno davanti a quella “svolta narrativa” che attendevamo dopo le premesse della prima parte. Troppe sono le questioni lasciate in sospeso. E troppa era l’attesa che succedesse qualcosa per essere felici di quanto abbiamo visto. Per qualche piccolo dettaglio rivelato, ci troviamo al contrario davanti a una serie di nuove domande non da poco. Più che assistere a una serie del creatore dei Simpson pare quasi di rivedere LOST, ma con molta meno suspense.

Nonostante tutto ci è difficile bocciare in maniera definitiva Disincanto. Dello stesso pensiero è anche Netflix, che ha già rinnovato la serie di Groening per altri venti episodi. Ancora una volta non possiamo fare altro che aspettare. Qualcosa che, nell’economia di questo show, sembra essere una costante.

Federico Galdi
Genovese, classe 1988. Laureato in Scienze Storiche, Archivistiche e Librarie, Federico dedica la maggior parte del suo tempo a leggere cose che vanno dal fantastico estremo all'intellettuale frustrato. Autore di quattro romanzi scritti mentre cercava di diventare docente di storia, al momento è il primo nella lista di quelli da mettere al muro quando arriverà la rivoluzione letteraria e il fantasy verrà (giustamente) bandito.