Larian Studios è conosciuta per due cose: la serie Divinity e la sua capacità di sviluppare esperienze RPG che incarnano perfettamente tutte le caratteristiche del genere e le fanno brillare. Non è stata una sorpresa quando, lo scorso anno, l’ultimo capitolo della Divinity è approdato su PC presentandosi come una delle migliori incarnazioni ruolistiche sul mercato, ricco di rimandi al passato eppure pregno di novità. La vera notizia è stata, invece, l’annuncio della enhanced con relativo porting su console: una doppia sfida sia per la complessità nell’approcciare un’architettura hardware completamente diversa, sia nel confrontarsi con un utenza non proprio avvezza a titoli che riprendono coraggiosamente l’eredità lasciata da capolavori quali Baldur’s Gate. Se volete scoprire come lo studio svedese se l’è cavata, afferrate il vostro libro di magie preferito e proseguite oltre.
Investigazioni inaspettate
Divinity: Original Sin mette il giocatore nei panni di un dinamico duo: una coppia di eroi appartenenti all’ordine dei Source hunters, una sorta di setta preposta a combattere una forza maligna chiamata Source appunto. La vicenda prende le mosse quando i nostri protagonisti vengono inviati a Cyseal, una cittadina portuale nel sud di Rivellon, per indagare sulla morte di un noto consigliere del luogo. Arrivati a destinazione, i due si trovano davanti ad una popolazione stretta da una doppia morsa: l’assedio degli orchi da un lato e quello dei non morti dall’altro. Una situazione spiacevole che, però, non fermerà i due dall’invischiarsi in ulteriori guai. Non continuiamo con il racconto per evitare eventuali spoiler e passiamo, invece, ad un’aspetto della narrazione che potrà destabilizzare i più. Larian Studios ha, infatti, deciso di lanciare il giocatore direttamente all’interno della storia senza dargli troppi indizi, lasciando che sia quest’ultimo a scavare nel mare di informazioni disponibili per cavarne un senso. Coloro che non sono abituati a passare ore nel parlare con gli abitanti del luogo, a leggere tutti gli eventuali testi che vengono resi disponibili e a grattare la superficie potranno nei primi momenti sentirsi persi. Divinity non è un gioco semplice, né tanto meno un titolo che “imbocca” il giocatore. Tutto deve essere guadagnato col sudore e con la pazienza. E’ un approccio che cambia radicalmente l’esperienza di gioco, rendendola diametralmente opposta a quanto l’utente console classico è abituato: i combattimenti fanno solo da contorno ad una vocazione investigativa che è il principale strumento di progressione nel gioco. Se vi aspettate di andare avanti a spada tratta, spaccando la testa a orchi e non-morti, ebbene rimarrete delusi. In Divinity, invece, l’obiettivo principale è scavare nella vita brulicante di Rivellon per trovare indizi e muovere i fili di una storia che si dipana su diversi piani: emotivi, politici ed esistenziali. In soldoni, il giocatore si troverà a percorrere in lungo e largo l’immensa mappa mettendo a buon uso le abilità dei suoi personaggi per scovare pezzi di un mistero tutto da scoprire: è molto più facile che utilizziate l’invisibilità di uno dei vostri eroi per entrare in casa di qualcuno ed origliarne le conversazioni, piuttosto che sgattaiolare dietro un nemico per ucciderlo.
Questa operazione che può sembrare banale si rivelerà più difficile di quanto si possa pensare. Larian, infatti, per mantenere vivo lo spirito degli RPG del passato ha scelto un approccio piuttosto minimalista nella presentazione delle quest e relativo diario, dando zero supporto al giocatore. Appena atterrati a Cyseal, vi ritroverete con una lunga lista di quest e nessun aiuto per risolverle: non c’è un indicazione di dove andare, con chi parlare né un feedback di progresso. Gli NPC stessi si riveleranno spesso di scarsissimo aiuto, perché la maggior parte delle volte ne sanno quanto voi. L’unico modo per sbrigliare la matassa di missioni affidatevi è armarsi di ferrea volontà e azionare il cervello per mettere insieme i pezzi raccolti in vista dei passi successivi da compiere. Spesso il filo dei pensieri vi porterà in un vicolo cieco oppure vi ritroverete a pagare la pigrizia con un’amarissima moneta: il sottoscritto, per esempio, stanco di leggere le iscrizioni sulle tombe di un cimitero cittadino ha pensato bene di mettersi a scavare alla cieca finendo per risvegliare un non-morto d’inusitata potenza. Risultato: morte istantanea senza appello, un’ora di gioco buttata e un po’ di amaro in bocca perché non mi aspettavo di incontrare un avversario così difficile in città dopo tre ore di gioco.
Bando alle ciance
Dal precedente paragrafo si potrebbe desumere che Divinity è un titolo nel quale si va in giro (lentamente) a parlare con delle persone, leggere una quantità di testo che neanche in un libro e spaccarsi il cervello a capire come risolvere delle quest che nessuno ci ha spiegato. E’ esattamente così, ma non solo. Infatti, accanto a tutto questo, vive un sistema di combattimento davvero appagante che mixa una struttura a turni con interazione ambientale e classico approccio ruolistico. Ogni qual volta ci troveremo ad affrontare un nemico dovremo strategicamente muovere i personaggi del nostro party per affrontare la minaccia nel modo più efficace possibile. I nostri eroi hanno un numero finito di action point da spendere attaccando, spostandosi o utilizzando abilità. I controlli sono piuttosto semplici: lo stick sinistro muove un cursore che permette di indicare la posizione nella quale si vuole spostare il personaggio e quando il cursore viene posto su un nemico si trasforma in un icona d’attacco; l’utilizzo delle abilità viene gestito grazie ad una barra di scelta veloce richiamabile con un tasto (triangolo su Playstation 4). Degna di nota l’introduzione del dual wielding presente solo nella enhanced che rende le armi di supporto un nuovo devastante strumento di morte.
Ogni sfida è resa estremamente fluida dallo schema di controlli piuttosto reattivo e dalla possibilità di concatenare magie per creare degli effetti molto simili a quanto visto in titoli come Magicka: per esempio se vi trovate ad affrontare nemici in grado di coprire grandi distanze potrete chiedere al vostro mago di invocare la pioggia, ghiacciare la pozza creata da quest’ultimo in modo che gli avversari scivolino, infine evocare del gas sui poveri accasciati e dare fuoco al gas come colpo di grazia. Un sistema sicuramente appagante e divertente da giocare che purtroppo riusciranno a godersi a pieno solo i giocatori armati di pazienza. Infatti, il sistema di progressione personaggio è piuttosto lento e ci vorranno diverse ore prima che i nostri eroi arrivino a mettere le mani su succose abilità. Proprio quest’ultimo aspetto va annoverato tra i punti deboli del gioco, insieme ad una gestione dell’inventario non propriamente intuitiva: ogni personaggi ha il proprio bottino che si accresce man mano che si raccolgono oggetti durante l’avventura. Ben presto la quantità di cianfrusaglie possedute raggiunge un limite insopportabile, creando una confusione disastrosa e poco leggibile. Inoltre la divisione degli oggetti tra i vari eroi richiede un’attenta ricerca nei vari inventari per ritrovare qualcosa che sappiamo di possedere, ma non ricordiamo a chi è stata affidata. Per fortuna la presenza di alcuni filtri si rivela una salvezza in alcuni frangenti, sopratutto nelle fasi avanzate di gioco.
Multiplayer
Inaspettatamente Larian è riuscita ad aggiungere una modalità multiplayer co-op senza snaturare assolutamente l’esperienza di gioco. Anche qui Magicka sembra aver fatto da antecedente e il focus di questa modalità è sfruttare il particolare e gratificante combat system per creare sinergie dall’effetto devastante. E’, infatti, sempre possibile, grazie ad un sistema opt-in/opt-out, invitare un amico a giocare e affidargli uno dei due eroi con lo scopo di spazzare via i nemici grazie a tattiche coordinate.
Coinvolgimento
Come ogni RPG che si rispetti, anche Divinity punta molto sull’immersività, grazie ad un comparto grafico di tutto rispetto nel quale spicca più la direzione artistica che la muscolarità poligonale e al sonoro sempre puntuale con colonne sonore di forte impatto. Tutto punta ad esaltare le atmosfere squisitamente fantasy con ambientazioni piuttosto varie e ben orchestrate: si passa dalla soleggiata e quasi tranquilla Cyseal a cupe catacombe illuminate solo da torce con delle transizioni graduali e ben bilanciate che mai distruggono la sospensione del giudizio nel giocatore. Una menzione a parte merita il doppiaggio che in questa enhanced edition raggiunge vette qualitative davvero invidiabili.
Degno di analisi è il porting su console dell’interfaccia grafica: non deve essere stato affatto facile trasferire una siffatta quantità d’interazioni su un sistema di controllo piuttosto limitato. Larian ha optato per due menu radiali: uno che controlla la scelta del personaggio e uno che da accesso invece all’inventario, quest log e scheda personaggio. Ogni schermata è chiara e facilmente accessibile, rendendo la navigazione mai frustrante eccezion fatta per i problemi nel succitato inventario.