Cosa significa fare divulgazione scientifica oggi? E cosa succederebbe Se tutte le stelle venissero giù? Viaggio nella storia della scienza raccontata
In Italia, negli ultimi anni, se dici divulgazione dici Alberto Angela e il primo tipo di divulgazione che viene in mente è quella artistica-storica. Del resto, l’Italia è lo stato con il maggior numero di siti culturali riconosciuti dall’UNESCO (che ammontano però al 5% del totale, e non – come si legge spesso in comunicazioni condite con una certa retorica politica e istituzionale – il 50, o addirittura il 60%) e diventa facile celebrare la bellezza delle nostre città e dei nostri luoghi, così come lo è scavare a fondo nel passato della nostra terra fino a trasformare la storia in un argomento pop e al passo coi tempi, esperimento perfettamente riuscito al professor Alessandro Barbero, le cui lezioni sono fruibili online, su youtube e come podcast.
La divulgazione scientifica, invece, sembra restare nel nostro paese un fenomeno di nicchia e il grande pubblico difficilmente si spinge oltre l’iconico Superquark di Piero Angela se interrogato sull’argomento. Un vero peccato che l’Italia non abbia ancora trovato la sua superstar delle STEM (acronimo inglese che sta per Science, Technology, Engineering and Mathematics), perché una chiara e coinvolgente divulgazione scientifica potrebbe aiutare a far crescere una cittadinanza veramente informata, che abbia gli strumenti per capire il suo presente, non più facile preda di teorie ai confini della realtà. Nonostante la difficoltà del progetto, però, anche nel nostro paese gli esempi di buona divulgazione scientifica esistono, ne è un esempio Se tutte le stelle venissero giù, passaggio alla carta stampata del trio di astrofisici dietro la pagina Facebook Chi ha paura del buio?.
Ma per capire che cosa sia la buona divulgazione scientifica, dobbiamo fare un passo indietro di qualche secolo, per incontrare il primo divulgatore scientifico della storia: Friedrich Heinrich Alexander Freiherr von Humboldt.
La prima infografica della storia
Alexander von Humboldt è uno di quei nomi che difficilmente si incontrano sui banchi di scuola, eppure è stato un personaggio senza eguali: amico intimo di Goethe, esploratore instancabile e incarnazione umana del senso di Fernweh – il desiderio ardente di luoghi lontani – il fratello minore dell’altrettanto dimenticato linguista e filosofo Wilhelm von Humboldt ha forse perso importanza agli occhi dei contemporanei perché non si può collegare la sua figura a una singola scoperta rivoluzionaria. Come scrive Francesco Guglieri in Leggere la terra e il cielo – letteratura scientifica per non scienziati, nel capitolo dedicato alla biografia del naturalista tedesco scritta da Andrea Wulf, Alexander von Humboldt è l’uomo che ha inventato la natura. Stop.
Nel 1802, infatti, dopo aver scalato il Chimborazo senza riuscire a raggiungerne la vetta, Humboldt si mette all’opera sulla sua Naturgemälde, un’infografica ante-litteram in cui illustra il monte in sezione, con le diverse varietà di piante presenti a ogni altitudine, completando la tavola con colonne di dettagli come temperatura, umidità, pressione atmosferica e informazioni sulla flora e la fauna.
Coniugando rigore scientifico e semplicità, Humboldt presenta dei dati in un modo mai sperimentato prima, tratteggiando un microcosmo in una pagina. Ciò che Humboldt vedeva – scrive Andrea Wulf ne L’invenzione della natura – era “l’unità nella varietà”. Invece di disporre le piante secondo le categorie tassonomiche di appartenenza, guardava la vegetazione attraverso le lenti del clima e dell’ubicazione: un’idea radicalmente nuova che tutt’oggi influenza il nostro concetto di ecosistema. Così come Humboldt è un tuttologo che non si ferma al suo campo di studio – la geologia – ma si avventura con entusiasmo e dedizione nella biologia, nella botanica e nella geografia, così anche la natura viene considerata come un sistema interconnesso, dai fragili equilibri, una visione del nostro pianeta ripresa e sviluppata un secolo e mezzo dopo da un altro studioso polisettoriale: James Lovelock con la sua Ipotesi di Gaia.
Dopo aver girato il mondo e sovvertito la visione per comparti chiusi dei colleghi dell’epoca, Humboldt dedicò gli ultimi anni di vita a un progetto di divulgazione scientifica destinato a un grande successo: Kosmos, Entwurf einer physischen Weltbeschreibung (Il cosmo, saggio di una descrizione fisica del mondo) è un’opera in cinque volumi che occupò gli ultimi venticinque anni della vita dello studioso e che possiamo considerare una delle prime opere divulgative in grado di unire una stile letterario sofisticato a un forte desiderio di condividere le conoscenze acquisite negli anni. Kosmos si occupa, nelle parole di Humboldt stesso, dell’insieme di tutte le cose in cielo e in terra, dell’universalità delle cose create che sostituiscono il mondo che percepiamo. Un tipo di visione che ispirerà un altro grande divulgatore scientifico, americano questa volta, che un secolo dopo prenderà in prestito lo stesso nome dell’opera di Humboldt per portare l’universo in televisione.
L’universo a portata di telecomando
L’anno è il 1980, il pianeta è la Terra, emisfero boreale, Stati Uniti d’America, California, Los Angeles. Carl Sagan è un affermato astrofisico e astrobiologo che ha già lavorato all’invio di due messaggi nello spazio infinito; ha collaborato infatti alla creazione della placca del Pioneer 10 e del Voyager Golden Record, oltre ad aver studiato le alte temperature dei pianeta Venere e ed essere stato tra i primi a ipotizzare la presenza di acqua sulle lune di Saturno. Sagan ha già pubblicato alcuni saggi pensati per un pubblico non specializzato, come The Cosmic Connection (Contatto cosmico in italiano) e I draghi dell’Eden: considerazioni sull’evoluzione dell’intelligenza umana, con cui ha vinto il Premio Pulitzer nel 1978. Ma adesso è arrivato il momento di fare il salto dalla carta stampata al tubo catodico. Il 28 settembre 1980 la prima puntata di Cosmos, programma di divulgazione scientifica senza precedenti in tv, porta nei salotti statunitensi l’universo. La scienza è finalmente a portata di telecomando.
Il Cosmos di Carl Sagan dura solo tredici puntate ma presenta al pubblico un viaggio tra astronomia, biologia, filosofia e fisica. Dal Big Bang ai dinosauri su Venere, accompagnato da una splendida colonna sonora di Vangelis Sagan riprende la visione olistica della scienza presentata più di un secolo prima da Alexander von Humboldt e ispira una nuova generazione di appassionati. Tra questi appassionati, uno decide di perseguire la carriera astrofisica proprio grazie a lui: Neil deGrasse Tyson incontra di persona Carl Sagan nel 1975 quando, diciassettenne, viene invitato dallo scienziato a trascorrere una giornata a casa sua: Sapevo già di voler diventare uno scienziato. Ma quel pomeriggio, ho imparato da Carl che tipo di persona avrei voluto diventare dirà infatti nel primo episodio del reboot del 2014 di Cosmos, affidato alla sua conduzione. Neil deGrasse Tyson diventa infatti un divulgatore scientifico tra i migliori della sua generazione: prima di approdare in tv al posto di Sagan, scrive saggi scientifici in cui espone con semplicità e con una voce in grado di strappare risate nello spazio profondo l’Astrofisica per chi va di fretta.
La divulgazione scientifica che verrà
Ma che succede quando le nuove generazioni non guardano più la tv? Cosmos si sposta su Disney+, rendendosi disponibile in streaming; i nuovi divulgatori scientifici, invece, nascono tra le pagine digitali dei social network e approdano poi in seguito alle pagine analogiche delle pubblicazioni cartacee.
È il caso, questo, di Filippo Bonaventura, Lorenzo Colombo e Matteo Miluzio, tre giovani astrofisici che curano la pagina Facebook Chi ha paura del buio?, una community attiva di appassionati di fisica e astronomia. La divulgazione scientifica dei social è necessariamente diversa da quella che finora abbiamo visto sugli altri medium: immagini che attirino l’attenzione dell’utente, una scrittura accattivante e una grande capacità di sintesi sono elementi essenziali della comunicazione 2.0 e Bonaventura, Colombo e Miluzio riescono a mantenere intatto il loro stile divulgativo anche nel passaggio da un supporto all’altro.
I tre sono infatti appena atterrati in libreria con Se tutte le stelle venissero giù, una raccolta di domande che non ci fanno dormire la notte come: cosa succederebbe se la Terra avesse due soli o due lune, o se avesse la forma di una ciambella?
Attraverso ipotesi che non stonerebbero in qualche romanzo, gli autori ci presentano scenari più o meno plausibili, ma di certo non auspicabili: la cosa forse più sorprendente che abbiamo imparato, scrivono proprio nell’introduzione, è quanto sia facile descrivere scenari apocalittici, in cui la nostra stessa esistenza diventa impossibile. Oltre a essere un libro di divulgazione scientifica in grado di spiegare concetti complessi con un linguaggio accessibile ed esempi dal mondo cinematografico, perfetto anche per gli studenti e i semplici curiosi, Se tutte le stelle venissero giù ha anche il merito di spingere il lettore a una riflessione profonda sui molteplici aspetti che hanno reso possibile la nascita e la crescita del genere umano su questo nostro piccolo pianeta, circondato dal giusto numero di satelliti e situato non troppo lontano né troppo vicino alla sua stella, in un sistema non troppo vicino né troppo distante dal centro della sua galassia.
Informare e far riflettere sono i due pilastri della divulgazione scientifica, due presupposti imprescindibili per piantare nel cuore del pubblico la curiosità saperne di più, di acquisire conoscenze che non siano meramente nozionistiche ma che mettano in moto il cervello. Gli autori di Se tutte le stelle venissero giù ci sono riusciti proponendo al lettore una divulgazione scientifica che sembra un gioco, che stuzzica il bambino pieno di domande che è in noi e che ancora non ne ha abbastanza di chiedersi e se…? Un bel salto nel buio, quello da Facebook agli scaffali delle librerie, che ci auguriamo sia un grande successo in grado di far nascere, in Italia, un’attenzione ancora maggiore nei confronti di tutti quegli sciencefluencer preparati e appassionati che usano strumenti nuovi per fare quello che fanno gli scienziati dai tempi di Humboldt: divulgare. Forte.