Tra i Maestri del fumetto italiano, Guido Buzzelli è forse il meno noto. Ma non se lo merita affatto
partire dagli anni Sessanta, il fumetto italiano ha vissuto un periodo di enorme fermento. Sia da un punto di vista tecnico-formale, sia per quel che riguarda i contenuti, una serie di autori si sono distinti fino a essere riconosciuti del ruolo di Maestri. Alcuni fanno parte del bagaglio culturale di ogni lettore di fumetti, altri sono rimasti nella nicchia, pronti a essere riscoperti. Abbiamo già parlato in questo sito del magnifico Sergio Toppi, del sensuale Milo Manara, del sublime Hugo Pratt. E inoltre, grazie a che alla ristampa dell’opera integrale di Coconino, è arrivato il momento di approfondire anche l’arte di Guido Buzzelli.
Guido Buzzelli per principianti
Tra tutti i nomi citati, e tra gli altri che vi possono venire in mente quando si tratta del grande fumetto italiano, quello di Buzzelli è associato a forme e contenuti meno facili della media. Il suo stile, infatti, è la perfetta rappresentazione delle storie che decide di disegnare, entrambi votati al grottesco e al crudo. Spesso, se non sempre, i suoi temi sono a sfondo sociale, ma ben raccontato dal genere. Che sia fantascienza, come nel caso di HP, che sia una un mondo magico come quello di Morganna, in tutti i casi i suoi toni non risparmiano una certa sgradevolezza. E proprio in questo riescono a diventare arte.
Il suo graphic novel d’esordio, quello che ha consacrato Guido Buzzelli come autore è La rivolta dei racchi, notato per caso da Georges Wolinski (uno dei redattori di Charlie Hebdo uccisi nell’attentato del 2015) che l’ha introdotto al mercato francese. In questo primo approccio Buzzelli sintetizza perfettamente quella che sarà la sua poetica. In un mondo irreale, ma molto verosimile per quel che riguarda la violenza nel rapportarsi, coesistono due comunità. I belli, che vivono in superficie, e i racchi che vivono sottoterra. Una parte di umanità esposta, coccolata, mantenuta da chi – per svantaggio di nascita – lavora duramente per permetterle di mantenere il privilegio. Quando poi qualcuno (qualcuna) si discosta dalla media degli schiavi, e passa nella società di sopra, se ne evidenzia la stessa irrecuperabile vacuità.
Una visione del mondo poco rassicurante, che attinge a piene mani da una prospettiva politica radicale molto tipica degli anni Sessanta-Settanta. In un periodo in cui le classi sociali erano ancora parti chiare di una lotta ipotetica, Buzzelli immaginava il modo in cui questa guerra si sarebbe potuta scatenare in tutta la sua sublime orripilanza.
Solidità di pensiero e di forma
Sfogliando la sua vasta opera omnia, non si può fare a meno di notare la straordinaria padronanza tecnica di questo fumettista. Se guardiamo le pagine di HP, un racconto in un futuro distopico tra western e fantascienza, restiamo ammirati dall’esperta rappresentazione di uomini e, soprattutto, animali. In questa importante serie a fumetti, scritta da Alexis Kostandi l’azione si svolge attorno alla fuga forsennata dell’HP del titolo, un cavallo dalla testa nera. Attorno a questo movimento orizzontale, tipico delle grandi narrazioni del Vecchio West, due classi umane si rapportano con apparente incomunicabilità. Da una parte i brutti, sporchi e cattivi che richiamano i cowboy, dall’altra gli asettici ultra-umani fantascientifici con tanto di mascherina igienica sulla bocca. Inutile dirlo, la dicotomia sociale è un concetto imperante anche in questo caso.
Coerentemente, la maniera in cui questi corpi sono rappresentati, oltre che nella loro esattezza anatomica, è impietosa e polarizzata. Le facce grottesche dei personaggi “brutti” hanno un carico espressivo che sorpassa di molto la bellezza canonica di donne e uomini eroici. C’è quasi più gusto, anzi, nel rappresentare questa gamma di deformità e nel farle recitare, che nell’andare incontro al lettore con protagonisti tutto sommato riconoscibili nei canoni del protagonisti del fumetto d’avventura. Anche quando, come nel caso di Morganna (una strega piuttosto frivola e per questo adorabile), l’eroina è “bella”, questa sua perfezione è messa alla prova da un’espressività carica. Perché il gioco di Buzzelli resti credibile nel suo realismo, è servita una solidissima preparazione tecnica, maturata sia nell’Accademia sia negli studi privati di Vittorio Cossio e di Rino Albertarelli. Per intenderci, disegnatori per Il corriere dei piccoli, L’audace, Il Giornalino.
Guido Buzzelli da riscoprire
Se non avete mai sentito parlare di Guido Buzzelli, o non lo avete semplicemente mai letto e questo articolo vi ha fatti sentire un po’ in difetto, ecco qualche consiglio. Non approcciatevi all’opera di questo autore con l’intento di puro intrattenimento che può avere una lettura più disimpegnata. Occorre un certo grado di concentrazione e attenzione per apprezzarne il messaggio e lo storytelling. Non tutti i suoi fumetti hanno lo stesso grado di di difficoltà, e molto dipende anche dalla dimestichezza col genere che di volta in volta Buzzelli sceglie. Quello che colpirà senza i filtri dati dal contesto storico-sociale in cui i fumetti di Buzzelli sono stati concepiti è il tratto crudo e spregiudicato. Quando fu prestato a un Tex, infatti, fu giudicato troppo fuori dagli schemi per rispettarne il canone. Come se ne avesse bisogno, questo gli conferisce ancora più fascino.
La rivolta dei racchi è più semplice di HP, Annalisa e il diavolo rappresenta una parentesi lirico-autobiografica che conferisce ulteriori sfumature a questo autore. L’incompiuto Zasafir (di cui alcune tavole inedite sono contenute nell’ultima raccolta Coconino) è forse la massima espressione estetica del fumettista. Rimasto in sospeso con un’ultima tranche di tavole iniziate nel 1984, Zasafir, anche grazie all’uso di un colore sempre più importante nella tavola, riesce a superarsi. Partendo da una versione sempre molto personale del tema dell’odissea spaziale, Buzzelli si cimenta in corpi e animali, e ibridi tra i due, resi con una maestria sempre più raffinata. Una conferma del nome che i francesi (Michel Grisolia, in un pezzo a lui dedicato) gli hanno dato: Il Michelangelo dei Mostri. E nel vedere la matericità e la possanza del suo canto del cigno, non si può che essere d’accordo.