Dolemite is my name: Eddie Murphy tra blaxploitation e commedia
Eddie Murphy è tornato, e lo ha fatto in grande stile.
Per un’icona degli anni ’80 e ’90, al centro di pellicole cult come Beverly Hills Coop, Il principe cerca moglie o l’intramontabile classico di Natale, Una poltrona per due, non c’è niente di più affascinante di un ritorno sugli schermi con un’opera che della nostalgia si nutre.
Eddie Murphy infatti approda su Netflix (dal 25 ottobre 2019) nelle vesti di protagonista del film Dolemite is my name, e ci racconta la storia vera di Rudy Ray Moore, comico americano che negli anni ’70 creò un proprio alter ego, un eccentrico magnaccia del film – appunto – Dolemite e dei suoi sequel, The Human Tornado e The Return of Dolemite.
Il film è diretto da Craig Brewer, ma soprattutto ci preme far notare che è stato sceneggiato da Scott Alexander e Larry Karaszewski, due nomi illustri dello star system che, casualmente o meno, avevano realizzato lo script di un film oniricamente collegato a Dolomite is my name: Ed Wood, vecchio racconto di Tim Burton, che come questo faceva un bel salto nel passato e ci raccontava la storia di un ragazzo squattrinato che voleva debuttare nel cinema e cercava in tutti i modi di produrre film a basso costo, circondato da personaggi altrettanto bislacchi e stravaganti (come anche quelli della pellicola di Brewer).
Costruirsi la strada verso il successo
Siamo negli anni ’70 e anche qui abbiamo un artista, Ray Moore, con pochi soldi nelle tasche ma tanti sogni e una determinazione da far spavento. Ray ce la vuole mettere tutta per diventare famoso e crea il personaggio di Dolemite, incastrando continuamente rime divertenti che prendono immediatamente piede tra i fratelli neri, ed ha un picco di notorietà. Non basta però, perché il successo è circoscritto e con pochi margini di miglioramento, così Ray tenta il tutto per tutto e prova a realizzare un suo film.
La cosa bella di tutta questa storia – come abbiamo detto all’inizio – è che è vera. Così come per Ed Wood.
Dolemite è un pioniere a tutti gli effetti e un personaggio che merita di essere raccontato. Si tratta dell’antesignano del rap e di un certo tipo di commedia, che affonda le sue radici nella blaxploitation, sfumandola e dando in sostanza alla gente quello che vuole vedere. Il pubblico non vuole soltanto Shaft, ma anche ridere, e vedere un po’ di sesso e parolacce in TV. Rudy Ray Moore lo capisce, o forse è semplicemente un colpo di fortuna. In ogni caso va bene così.
Dolemite is my name è una bellissima esperienza da godersi su Netflix, assaporando le citate atmosfere della blaxploitation avvalorate da un comparto visivo eccezionale, con una scenografia super curata e una fotografia vivida sotto la direzione di Eric Steelberg, fedelissimo di Reitman che vedremo tra poco anche in Ghostbuster 2020.
Unica nota stonata è un ritmo non sempre dinamico, con qualche eccessivo momento di stanca nella fase centrale nelle quasi due ore complessive, ma il modo di stare sulla scena di un Eddie Murphy onnipresente ci fa chiudere un occhio e a volte pure tutti e due, donandoci un’esperienza metacinematografica che, a distanza di poco più di un mese da C’era una volta a… Hollywood, già ci mancava.
L’opera di Brewer riesce a farci vivere la nostalgia di un periodo che non abbiamo nemmeno vissuto, peraltro aumentata dal rivedere sullo schermo (seppur sul piccolo) Eddie Murphy e Wesley Snipes, che ci regalano delle performance attoriali sorprendenti, così come il gruppo dei comprimari in cui figurano nomi illustri, tipo quello di Snoop Dogg.
Alla fine del film possiamo assistere ad una simpatica carrellata con alcune delle scene del Dolemite originale, e pure chi non l’ha visto si può rendere conto di quanto la parentesi metacinematografica sia una riproposizione assolutamente fedele, e anche un sentito omaggio.
Probabilmente vivere Dolemite is my name da americano ha tutto un altro sapore, ma anche da italiani ce lo gustiamo alla grande e ringraziamo Netflix per questa piccola perla.