A un anno di distanza dalla scomparsa dello sviluppatore indipendente Dario D’Ambra, ricordiamo la suo opera Don’t Make Love, avventura testuale che mette al centro della relazione amorosa il dolore
Don’t Make Love (Maggese, 2017): un videogioco su due mantidi religiose innamorate, scaricabile gratuitamente da Steam dopo che Dario D’Ambra, il suo creatore, è venuto a mancare il 27 luglio 2020. Un videogioco basato sul sistema dei parser testuali, come le vecchie avventure testuali, nelle quali bisognava digitare quel che si voleva fare (con espressioni come “prendi sasso” e simili). In Don’t Make Love si sceglie se giocare nei panni del maschio o della femmina che compongono questa coppia di mantidi e, attraverso la scrittura libera di risposte, bisogna condurre un dialogo con il proprio partner. L’argomento di cui discutono è di grande rilevanza. Sceglieranno di portare avanti una relazione senza rapporti fisici? Oppure si lasceranno andare alla passione, col rischio che il maschio venga ucciso dalla compagna all’apice dell’estasi amorosa? O, ancora, romperanno la relazione e ciascuno prenderà la sua strada? Questi sono alcuni dei possibili esiti ottenibili, in base a come si condurrà la conversazione.
Dario D’Ambra, che fu frequentatore della scena indipendente italiana e internazionale, ci ha lasciato un ricordo e una speranza, attraverso questo suo videogioco: essere liberi dall’automatismo del matching sentimentale. In tantissimi videogiochi i rapporti amorosi sono ‘costretti’ al successo. Rispettando determinate condizioni, seguendo determinati criteri, la propria relazione sentimentale si svilupperà per forza. Basta avere l’oggetto giusto o selezionare la corretta opzione di dialogo, per raggiungere il traguardo. Non si sta parlando del “vissero per sempre felici e contenti”, si sta parlando di automatismi che soddisfano solo in parte, anche in contesti decisamente meno tradizionali rispetto alle “storie di una volta” (e siamo poi sicuri che, pure quelle, fossero sempre fatte così?).
Un videogioco come HuniePop 2: Double Date (HuniePot, 2021) offre lo stesso, stanco, automatismo in una sequela di rapporti sessuali con differenti ragazze. Sogno erotico adolescenziale che si capovolge e trasforma, nella noia dell’indifferente, del tutto uguale, in cui non è possibile scegliere e non è possibile fallire (se eseguite ciò che il gioco richiede: superare dei puzzle di tipo match 3, in questo caso).
Don’t Make Love ha il pregio di aver reintrodotto il rischio e il dolore negli amori videoludici. Non è una cosa da poco, se si pensa che – nel frattempo – il ‘modello’ di questi amori digitali si è diffuso anche ben oltre i confini dei videogiochi. Come ha sottolineato il filosofo Alain Badiou nel suo saggio In Praise of Love, le app di appuntamenti e i siti di incontri prosperano su questa retorica della sicurezza, che appare particolarmente minacciosa per l’amore. Ciascun corso di seduzione ha le sue regole e si basa sulla promessa che, seguendole passo dopo passo, non ci saranno fallimenti. Le app ti promettono che i loro algoritmi di matching sono perfetti, che se ti affiderai a loro otterrai grandi risultati assicurati.
Sugli amori videoludici puoi ascoltare la puntata podcast: Riflessioni sull’amore nei videogiochi con Luca PapaleÈ una prospettiva allettante perché promette la rimozione del dolore. Ti promette che nessuno ti dirà più un “no”. Ti promette che non ti ritroverai in lacrime perché tu e il tuo partner vi siete lasciati dopo una sequela di reciproche incomprensioni. Ti promette che andrà tutto bene, qualunque sia il tuo progetto, di rapporto occasionale o a lungo termine. Proprio come se tu fossi in un videogioco dating sim, nel quale non puoi fallire, nel momento in cui conosci la risposta giusta da selezionare. Sembrerebbe bellissimo.
La rimozione continua e diffusa delle esperienze dolorose, tuttavia, non è di aiuto. E non solo perché bisogna ‘farsi la scorza’ o cose del genere, ma perché è nel dolore che vive l’intensità di una esperienza e che assume pertanto appieno un senso anche il suo opposto: la felicità. Come ricorda Byung-chul Han nel suo recente libro – La società senza dolore: Perché abbiamo bandito la sofferenza dalle nostre vite – si può e si deve parlare di “felicità dolorosa”. Il dolore può far covare l’attesa. Il dolore può spronare alla (giusta) lotta. Il dolore è il motore della scelta da compiere e il sugello della scelta compiuta.
E noi, probabilmente, avevamo bisogno di due mantidi religiose per ricordarcelo, anche grazie al duplice straniamento che Don’t Make Love propone, mettendo in campo una coppia di animali, all’interno della quale i ruoli sono per di più ribaltati rispetto alle rappresentazioni convenzionali. Con un maschio piccolo, fragile e intimorito al fianco di una femmina grande, potenzialmente pericolosa e pronta a prendere in mano le redini della situazione.
Con loro si esperisce un rapporto doloroso che, con le sue molteplici possibilità, ci pone davanti ad alcuni interrogativi. Dove sta, qui, il fallimento? E dove la vittoria? Non c’è una risposta. O meglio, non c’è una risposta univoca e onnicomprensiva. Ciascuno potrà darsi una risposta in base a quel che è il suo sentire personale. Le conseguenze di questo dialogo, del resto, vengono solo accennate, per cui le possibilità rimangono ulteriormente aperte. Forse le due mantidi riusciranno ad avere un rapporto sessuale senza che il maschio muoia. È una delle possibilità, la più vicina all’amore come atto di fiducia. O magari accetterà egli stesso la sua morte con gioia, come sacrificio in nome di qualcosa di più grande, in nome del mistero ultimo e indicibile dell’amore. O ci saranno altre possibilità ancora, ma mai una vera e piena felicità determinata dalla sicurezza.
Nemmeno le nostre scelte per giungere a un determinato obiettivo, del resto, ci appaiono così sicure in Don’t Make Love. Come si è detto, qui non si selezionano opzioni preimpostate di dialogo. Qui bisogna scrivere attivamente (e in inglese) le risposte che si vogliono fornire. Con tutta l’apertura alla fallibilità e all’erronea interpretazione che ciò comporta. Da un lato è un rischio, ovviamente: apre a tanti modi di ‘rompere’ volutamente il gioco scrivendo cose a caso. Ma anche se ci impegniamo per rimanere nel personaggio, scrivere qualcosa in modo sbagliato e non essere capiti – magari proprio in un momento cruciale – può gettarci in un peculiare imbarazzo che ci riporta subito con la mente al di qua dello schermo. In un istante non siamo più una mantide innamorata in un prato al tramonto, ma siamo noi stessi, davanti al computer, con la vergogna del nostro errore.
D’altra parte, però, è anche quel genere di rischio che può dare sapore e concretezza a un’esperienza. Perché è nella banalità delle conversazioni quotidiane che nascono i malintesi, anche amorosi e sentimentali. Dopo il “non detto”, il “detto ma frainteso” è poco meno potenzialmente devastante, in una relazione. Eppure è quel dolore di cui bisogna tener conto. Un dolore che speriamo di non subire, ma che dobbiamo ricordare è inserito fra le regole del gioco, di quel gioco che sono le relazioni sentimentali fra esseri umani. L’amore non appartiene a chi è scioccamente felice quando tutto funziona per il meglio, quando stiamo imbroccando le risposte giuste nel dating sim della nostra vita. L’amore appartiene a chi desidera tornare a esso anche quando lo vede coperto dalle nubi del dolore, perché sa che il sole tornerà a splendere e sarà ancor più luminoso.
Ringrazio con affetto Dario D’Ambra, che ho avuto modo di conoscere, seppur in poche occasioni, per averci lasciato quella palestra emotiva che è il suo Don’t Make Love.
Articolo scritto da Francesco Toniolo