L’universo di Watchmen si fonde con quello DC Comics. Sarà la strada giusta?
Dopo quasi un anno e mezzo arriva finalmente in Italia la miniserie Doomsday Clock, l’evento più atteso e controverso di tutti che unirà l’universo narrativo del Watchmen di Alan Moore e Dave Gibbons a quello dei supereroi DC Comics. La miniserie conterà dodici numeri e sarà ambientata subito dopo gli eventi dell’opera di Moore, anche se – come dichiarato dal suo autore Geoff Johns – non si tratterà di un seguito diretto.
Vedremo personaggi come Rorschach e Ozymandias interagire con eroi e villain come Batman, Lex Lutor o il Joker, ma il ruolo centrale sarà destinato a Superman e al Dr. Manhattan. Quest’ultimo infatti, come sappiamo, c’entra qualcosa con la riscrittura del Multiverso, che ha visto la cancellazione di quello del New 52 per ritornare dentro quello per-Flashpoint, ed è in Doomsday Clock che tutti i nodi verranno al pettine. Questa iniziativa, come sempre del resto, ha diviso in due i lettori, una domanda però se la pongono tutti: ce n’era davvero bisogno?
Torniamo un po’ indietro e facciamo un brevissimo riassunto delle vicende che ruotano intorno ad Alan Moore, Watchmen e la DC Comics: Nel 1984, Alan Moore, sceneggiatore già conosciuto nel mondo del fumetto, ebbe l’idea di Watchmen e coinvolse Dave Gibbons in questo progetto. Si rivolse quindi alla DC, nello specifico al direttore Dick Giordano, che accettò l’idea, ma negò a Moore di utilizzare i personaggi della DC per un fumetto in cui si parlava di genocidi, stupri e cose così.
Moore e Gibbons in fase di lavorazione si accorsero che Watchmen era a tutti gli effetti una loro creatura. Quindi concordarono con la DC che ne avrebbero mantenuto la proprietà intellettuale, mentre la casa editrice avrebbe comunque potuto continuare a trarne profitto. La DC ebbe anche un grande ritorno di immagine da questo caso, presentandosi al pubblico come una casa editrice che rispettava i suoi autori. E qui nasce la prima polemica, perché Watchmen fu un gigantesco successo, e nonostante la DC non potesse riutilizzare i personaggi all’interno di altre opere, niente le impediva di vendere merchandising di cui Moore, per colpa di alcune clausole nel contratto, non percepiva nessuna percentuale. A causa di queste politiche contraddittorie, Moore abbandonò la DC nel 1989.
Alan Moore lavorò quindi con la Wildstorm creando un suo marchio, la America’s Best Comics, con cui produsse La Lega degli Straordinari Gentlemen e molte altre opere, per poi ritrovarsi di nuovo in DC quando quest’ultima acquisì la prima. I rapporti tra Alan Moore e la DC si erano però fatti tesi, così il Bardo di Northampton decise di abbandonare definitivamente la casa editrice. In tutta risposta, la DC mise in cantiere Before Watchmen. Non staremo qui a discutere di chi ha ragione o chi ha torto, anche perché quello che avete letto è davvero un riassunto incredibilmente striminzito delle vicende, ma useremo questa storia per parlare del fumetto supereroistico, del ristagno nell’editoria di questo genere e dell’eterno ritorno di certe iniziative.
Come abbiamo visto, Doomsday Clock non è la prima riproposizione dell’universo di Watchmen. Before Watchmen uscì nel 2012: si trattava di una “serie di miniserie” incentrate sul passato dei vari personaggi di Moore, e nonostante le storie non fossero paragonabili all’opera originale, ottenne un buon riscontro. La DC inaugurò con successo questa linea editoriale che riutilizzava personaggi esistenti all’interno di storie originali, che tuttavia non introducevano niente di nuovo e non creavano storie memorabili. Si limitavano, al massimo, a scavare nel passato di quelle figure leggendarie, come il Comico e Ozymandias, ma risultavano comunque spurie, mele cadute lontanissimo rispetto all’albero che le aveva generate. Eppure il progetto vendette molto, a differenza invece del più recente lancio della New Age of Heroes, nata in seguito agli eventi di Dark Nights: Metal.
La New Age of Heroes, infatti, non è stato altro che un tentativo di introdurre una serie di nuovi personaggi all’interno della continuity del DC Universe, portando una ventata di aria fresca in mezzo a quegli eroi che ormai compiono ottanta anni di età come Superman e (tra poco) Batman. Ad oggi però quasi tutte queste nuove testate sono state chiuse, e quelle ancora in corso stanno per terminare a causa dello scarsissimo successo che hanno ottenuto, nonostante al lavoro ci fossero grandi nomi come Scott Snyder, Jeff Lemire o John Romita Jr. Viene quindi naturale fare un confronto tra le idee di Before Watchmen, che prende dal vecchio e lo rimaneggia, senza però creare effettivamente nulla di nuovo, e le nuove idee che invece non riescono ad emergere, anche a causa della scarsa qualità delle storie con cui vengono presentate.
Una pratica simile dopotutto si è vista pure con la Marvel, che ha tentato di portare qualcosa di diverso rinnovando tutta la sua rosa di eroi, da Sam Wilson nei panni di Capitan America a X-23 al posto Wolverine. Anche questo è stato un progetto per certi versi fallimentare, non drastico come la New Age of Heroes certo, ma comunque ampiamente privo di mordente e una vera voglia di cambiamento. Per questo si è deciso di ritornare alla vecchia guardia con il Fresh Start, riportando tutto nelle mani degli eroi originali. Progetto, comunque, assolutamente riuscito sia a livello narrativo che di vendite.
L’obiettivo in comune di Marvel e DC negli ultimi anni è stato quello di riuscire ad ottenere nuovi lettori, tentativi effettuati soprattutto sul versante Marvel, con continui rilanci e numeri 1, cosa che ha un certo punto ha portato alla saturazione del mercato. Ma la verità è che i lettori di oggi sono più interessati agli universi cinematografici e non a personaggi cartacei con ottant’anni di storie sulle spalle che, per quanto vengano “resettate”, sono sempre troppo condizionate dal (glorioso) passato per poter attirare un nuovo lettore. Ecco perché ormai le notizie su nuovi film, nuove serie TV o il recast di alcuni eroi superano di gran lunga, a livello di clamore mediatico, i progetti delle case editrici che teoricamente quei personaggi li hanno creati. Questo è successo, per esempio, ultimamente con Aquaman, Watchmen, Titans, Doom Patrol e Batman.
Si punta quindi tutto sulla nostalgia, sull’eterno ritorno dei soliti noti e dei “vecchi”, perché ormai il mercato è saturo di prodotti sempre uguali. E non è nemmeno una questione di avere poca voglia di innovare, quanto più un andare sul sicuro per poter monetizzare senza rischiare. Dopotutto, perché creare qualcosa di nuovo che resterà invenduto, quando si può puntare tutto su Watchmen che probabilmente sarà sold out? Inoltre, andrebbe spesa qualche parola sulla presunta qualità di questi progetti. Perché c’è qualcosa che non funziona se una serie come Doomsday Clock, nonostante le sue premesse poco entusiasmanti, riesce a dimostrarsi superiore alla maggior parte delle altre trovate della DC Comics. Dov’è il controllo qualitativo da parte degli editor dei prodotto che vengono immessi sul mercato? Spesso si ha la sensazione che certi progetti vengano messi in cantiere “tanto per”, senza una reale programmazione alle spalle.
C’è quindi un problema fondamentale da cui né la DC né la Marvel riescono a uscirne: il dover attirare nuovi lettori senza allontanare i vecchi, che fanno il grosso dei soldi. Purtroppo, finora, un modo per accontentare entrambe le parti ancora non si è trovato. Tuttavia un’eccezione c’è stata, incarnata dall’Universo Ultimate della Marvel, che si è avvicinato moltissimo al raggiungimento di questo obbiettivo nonostante si sia deciso di chiudere l’intera linea editoriale dopo Secret Wars. Eppure è su quelle pagine che sono nati personaggi come Miles Morales, che hanno fatto la storia inseguendo quell’ideale di radunare i vecchi amanti di Spider-Man, fornendogli un nuovo elemento con nuove storie che possa attirare nuovi lettori.
Torniamo quindi alla domanda iniziale di questo discorso: di Doomsday Clock ne sentivamo davvero bisogno? Se fossimo i capi di un’azienda il cui scopo è ovviamente fare soldi, la risposta sarebbe sì. Se invece ci mettiamo nei panni dei lettori, che si ritrovano a leggere sempre gli stessi personaggi con sempre le stesse storie… La risposta è sempre sì, e i numeri parlano chiaro. Non c’è bisogno di innovare se ai lettori non interessa, non c’è bisogno di attirare nuovi lettori se si riesce a fidelizzare ancor di più i vecchi. Al lettore, in parte responsabile di questa tendenza, non interessa leggere una nuova storia, si accontenta dell’illusione del nuovo, non accetta il cambiamento. Perché cambiare quanto si può restare sempre uguali? Non è meglio? Superman non ha più i mutandoni che fanno tanto supereroe anni ’80? Giammai! Superman si dimentica come ci si veste e rimette le mutande sopra la calzamaglia, e i fan sono contenti, felici e appagati.
C’è anche un ulteriore discorso da tirare in mezzo, e qui torniamo sul caso Moore VS DC. Se oggi leggiamo buone storie su testate relative a personaggi preesistenti, mentre quelli nuovi vengono lasciati allo sbando, non è che forse esiste una sorta di sudditanza psicologica?
Mi spiego meglio: gli autori hanno forse paura di creare qualcosa di nuovo, sapendo che quel qualcosa verrebbe strappato dalle loro mani? Non che magari in queste circostanze, anche involontariamente, scrivono senza dare il massimo delle proprie capacità? Viene quasi il dubbio che si sentano, paradossalmente, più sereni quando mettono le mani sopra le icone prodotte dagli altri.
In questo caso, quella di realizzare con impegno buone storie su personaggi ormai famosi e popolari diventa quasi una forma di rispetto verso il creatore dell’idea originale, un modo per omaggiarlo. Peccato però che, in questo modo, non si faccia altro che ripetere sempre le stesse cose senza mai azzardare nulla di diverso. Per ora non abbiamo risposte a queste domande, l’unica cosa certa è che, ormai, il vecchio è diventata la nuova novità.