Tanto, troppo
Esistono numerosi tipi di distopie, ma solitamente identifichiamo con essa una società futura ed immaginaria governata da regole tiranniche, con i cittadini sottoposti a cessazioni del libero arbitrio o a rigide costrizioni e privazioni, in una delle tante realtà narrateci dai vari 1984, Blade Runner, Equilibrium o i più recenti Hunger Games.
Quella che ci racconta Alexander Payne nel suo Downsizing, in uscita nelle sale italiane il 25 gennaio, non è nulla di tutto questo ed anzi mette la società di fronte ad una libera scelta. Vediamo insieme di che si tratta.
L’America, così come il resto del mondo, è stata colpita da una grossa crisi finanziaria e molte famiglie sono costrette a fare quotidianamente i conti con un ammontare delle spese che supera il guadagno. Parte di questo problema è visto nella sovrappopolazione, e così un centro di ricerca scientifica trova quella che pare essere la soluzione definitiva: dopo una serie di esperimenti sugli animali di ogni specie, e con la constatazione dell’assenza di effetti collaterali o decesso, salvo un caso ogni circa 300mila unità, scopre come rimpicciolire anche l’essere umano, portando un uomo alto circa 1,80 m. ad un altezza di 12 cm.
Nasce così la prima colonia di persone rimpicciolite, che darà poi l’imput per tantissime altre città di questo tipo in tutto il mondo. In questa nuova realtà le persone minuscole vivono all’interno di una sorta di bolla protettiva, dove tutto è a loro misura, compresi i soldi, e chi aveva qualche difficoltà economica nel mondo dei giganti si trova ora benestante in quello dei piccolini. Ma cosa più importante, così facendo – dicono – si può salvare il pianeta.
Una decisione molto complessa, di fronte alla quale i governi di ogni paese lasciano piena libertà di scelta agli individui, e sebbene il numero delle persone rimpicciolite con tale procedura sia elevato, non supera nei fatti il 3% della popolazione mondiale.
Chi prende questa decisione, dopo aver riscontrato delle difficoltà economiche, è Paul Safranek (Matt Damon), che ha parlato col suo grande amico Dave (Jason Sudeikis), il quale si è fatto rimpicciolire e l’ha invitato a trasferirsi in quel minuscolo paradiso quale è Leisureland.
Paul convince così sua moglie Audrey ad effettuare questo grande, piccolo passo, ma qualcosa va storto nei piani dell’uomo.
Non vi diremo cosa, per non spoilerare un punto nodale del film, ma ciò che è importante segnalare è senza dubbia l’idea alla base di tutto.
L’opera di Alexander Payne è un racconto geniale, che pone l’essere umano nella stessa condizione in cui nei film eravamo abituati a vedere i giocattoli, e i vari small soldiers ora sono piccoli esseri con le fattezze di uomini, donne e bambini chiusi in una bolla dorata.
Un mondo magico all’interno del quale tutto sembra vero, ma dove puoi trovare all’improvviso un dettaglio che ti ricorda che non lo è, ed allora si deve fare i conti con la propria natura, con i propri trascorsi e soprattutto con le reali motivazioni che ti hanno spinto ad essere lì.
Come sottolinea uno stravagante e sempre fantastico Christoph Waltz nei panni di Dusan, nessuno si è fatto rimpicciolire per salvare il pianeta, ma solo per salvare se stesso.
Nel racconto di Payne c’è spazio per un’infinità di quesiti che il regista spalanca dinanzi ai nostri occhi, lasciando a noi risposte e riflessioni, con i personaggi che reagiscono in maniera differente – come è insito nella natura umana – ad una serie di eventi che le due realtà (dei grandi e dei piccini) si trovano a dover affrontare. E ci viene da chiederci: io cosa farei?
Dietro a questo fantastico dipinto però c’è la rappresentazione in fondo un po’ trita della nostra società, e lo stesso Payne si perde come molti dei suoi protagonisti in un viaggio allo sbando e senza una meta ben definita se non quella di un ozio effimero in una prigione dorata.
La vita del piccolo Paul cambia costantemente piega e direzione, e se all’inizio questo tiene in qualche modo incollato lo spettatore allo schermo, desideroso di scoprire dove andrà a parare la storia, col tempo si ha un po’ la sensazione di navigare a vista, nonostante Payne abbia poi le idee chiare in merito alla soluzione finale.
Il racconto ed il dipanarsi degli eventi non annoiano mai, anche per via di un discreto flusso narrativo, ma è logico che la maggiore curiosità dello spettatore verta sulle differenze dei due mondi e su tutto ciò che possa fare o non fare un minuscolo all’interno del suo nuovo mondo. Questo invece non avviene quasi mai, e ci dobbiamo accontentare delle incantevoli e suggestive visioni architettoniche di questa sorta di parco tematico, con lo sfondo che nei fatti diventa – ahinoi – un po’ il protagonista silente di tutto il racconto.
Il problema climatico e della sovrappopolazione, due dei tanti aspetti presi in esame dal regista e sceneggiatore, che in realtà sembravano concepiti come un elemento chiave, restano in disparte per buona parte del film, dove assistiamo invece alle vicende senz’altro divertenti della vita di Paul, a cui ci appassioniamo, arrivando persino a ridere o dispiacerci con lui, ma tutto questo non fa che confonderci quando poi Payne ci ripropone, quasi senza preavviso e fuori contesto, i problemi sopra enunciati.
Downsizing non è un brutto film, anzi. È divertente, e il suo essere multiforme riesce a donare una marcia in più al racconto in diverse occasioni. Inoltre alcuni dei suoi personaggi sono davvero interessanti, così come lo è la loro evoluzione: su tutti il già citato Dusan di Christoph Waltz, che dona brio all’opera nel momento più appropriato, ma anche la sorprendente Hong Chau nei panni di Gong Jiang, una donna bislacca ma dal cuore d’oro, che a volte è di una dolcezza infinita. E poi c’è Matt Damon, che con la sua espressione e il suo muoversi sulla scena come fosse sempre un pesce fuor d’acqua è l’uomo giusto nel film giusto.
L’amaro in bocca, quello che caratterizza anche il tono un po’ contrito, seccato e quasi infastidito di questa analisi è dovuto a ciò che Downsizing poteva dare e alla prospettiva di fronte a cui Payne ci aveva posto.
La scorrevolezza e la sensazione generale di essersi divertiti, a fronte di circa 2 ore e 20 di proiezione (che non sono affatto poche), si scontra inevitabilmente con molteplicità di situazioni aperte e lasciate poi tali, e quelle rimaste chiuse che invece ci sarebbe piaciuto vedere aperte.
Tutte risposte che Alexander Payne non ci ha dato, e che forse non ci resta che trovare dentro di noi, chiedendoci: ma io cosa farei?
Verdetto:
Downsizing è un film nato con ottime premesse, da una base apparentemente solida che avrebbe potuto dar vita ad un racconto geniale e ricco di colpi scena.
L’opera di Payne in realtà qualche colpo scena in serbo per noi ce l’ha, ma non quelli che ci aspettavamo, e dobbiamo fare i conti con una storia dalle mille sfaccettature, divertente e con un buon ritmo che tuttavia si perde navigando a vista, aprendo mille quesiti e situazioni senza poi chiuderne quasi nessuno. A conti fatti un discreto film, che aveva però le potenzialità per essere molto di più anziché disattendere, un po’ amaramente, le nostre aspettative.