In attesa del prossimo progetto di Vanillaware, viene riproposto su PS4 uno dei più bei giochi in 2D della scorsa generazione
Non sempre i titoli migliori sono quelli dai valori produttivi più alti in assoluto. A volte basta l’amore per un’idea semplice e la nostalgia per esperienze videoludiche d’altri tempi cariche di fascino. Vanillaware si muove in questa direzione da sempre. Con Odin Sphere, riproposto su PS4 qualche tempo fa (ecco la nostra recensione) e Muramasa, sotto la guida del designer George Kamitani, lo hanno già dimostrato. Dragon’s Crown sicuramente rappresenta la vetta più alta di questa filosofia.
Il titolo del 2013 per PS3 sbarca oggi su PS4 in una versione leggermente aggiornata. Facile che molti di voi non conoscano l’opera originale, e quindi vogliamo sapere di che gioco si tratti. Ma per una volta, diamo la precedenza a chi conosce benissimo l’argomento e voglia semplicemente sapere cosa c’è di nuovo in questa versione PRO. In cosa consistono queste modifiche quindi? Poco, veramente poco, siamo quasi dalle parti del porting puro, ma c’è da dire che in effetti non c’era molto da migliorare. La cosa più evidente è la nuova risoluzione capace ora di supportare bene lo standard 4K, ma ovviamente solo per chi è dotato di pannello in ultra HD, per tutti gli altri, la resa sarà la medesima della versione PS3 che già sfruttava il full hd. Un vantaggio ben più “universale” è l’ottimizzazione del framerate. Non che fosse male prima, ma in situazioni un po’ caotiche (e ce ne sono) traballava un po’, ovviamente con il passaggio al nuovo hardware, questi problemi non si presentano più e vi cuccherete 60 fps belli testardi e costanti. Sul piano sonoro segnaliamo un’aggiunta piuttosto carina, ovvero la possibilità di scegliere la colonna sonora in versione orchestrata, che rappresenta una degnissima alternativa a quella originale. Infine, Dragon’s Crown Pro prevede il multiplayer cross-platform, e potete quindi giocare con tutti i possessori della versione PS3 e Vita che ancora bazzicano online.
Ma andiamo a parlare del gioco di Kamitani più nello specifico. Lo sviluppatore, che titolo dopo titolo ha assunto un ruolo artistico sempre più importante all’interno della software house, con questo gioco rende omaggio in maniera nemmeno troppo velata, ad un vecchio titolo Capcom (a cui non a caso, lavorò direttamente all’epoca) che molti giocatori attempati ricorderanno: il picchiaduro a scorrimento Dungeons & Dragons. Dalla schermata di selezione del personaggio alla locanda, passando per il concept del gameplay fino all’immaginario generale del gioco, tutto richiama il titolo action fantasy ispirato al famoso gioco da tavolo. Nonostante queste premesse, Dragon’s Crown è estremamente profondo e assolutamente unico. Oggi giorno sappiamo che fare un gioco in 2D è spesso un esercizio di stile “forzato” per produzioni, magari indie, dal basso budget che cercano di distinguersi dalla massa studiando quindi attraverso l’arte dello sprite un look per il gioco che sia accattivante e ricercato. Per Kamitani la direzione artistica invece non è un espediente produttivo, ma l’anima stessa del valore dei suoi titoli, DC in prima linea. Probabilmente ci troviamo di fronte al miglior utilizzo di grafica 2D in alta risoluzione da quando questa è diventato lo standard tecnologico del nostro media preferito. I paesaggi sono veri e propri dipinti: colorati, sfumati, dettagliati.
I protagonisti (che coincidono con i personaggi utilizzabili) nonostante ripropongano archetipi largamente generalizzati nella storia dei videogiochi come l’elfo, il nano, il guerriero, il mago ecc. sono disegnati in modo eccezionale e originale, con linee e connotati forti, marcati, a volte esagerati (soprattutto nel caso delle generose forme femminili), che tradiscono le origini giapponesi del design ma allo stesso tempo ne rappresentano un evoluzione unica. Il contrappunto che questo stile eccentrico (riscontrabile anche nei fantastici ritratti dei personaggi che incontreremo nell’avventura) crea con la solennità delle musiche e dell’universo di gioco, mitologico e leggendario, fatto di dragoni, nobili reali e città medievali, è notevole e definisce con merito Vanillaware come una delle software house più coraggiose e artisticamente estrose del panorama odierno. Scelto il vostro eroe, tra una rosa di sei classiche figure (guerriero, elfo, nano, sacerdotessa, stregone, amazzone) farete subito conoscenza con la voce narrante del gioco, che sulla falsariga del ruolo del dungeon master in D&D, accompagnerà il nostro camino sottolineando la situazione in ogni momento, i nostri obiettivi e descrivendo le aree dei gioco.
Queste sono in effetti stage veri e propri, accessibili partendo dalla città di Hideland in cui incontrerete gli abitanti principali che forniranno assistenza durante la ricerca della corona del Dragone. Sarà questa l’Hub location dove reperire nuove missioni, comprare oggetti ed equipaggiamenti, andare in chiesa e servirsi dei poteri spirituali delle preghiere per resuscitare guerrieri, ottenere bonus in game e quant’altro. Prima ancora che nei vari livelli, i quali attraverso una mappa interattiva verranno scelti a discrezione del giocatore e rappresentano la parte più movimentata del gameplay, è proprio in questa città che si capisce che Dragon’s Crown è molto più che un hack and slash 2D. Entrando in contatto con gli abitanti della città e con il proprio inventario, è palese come la preparazione tattica condizioni tantissimo le prestazioni che daremo nelle terre ostili che visiteremo. Non solo ogni personaggio può crescere di livello da 1 a 99 acquisendo a ogni upgrade dei punti esperienza per sbloccare abilità peculiari alla propria classe o generiche a tutti, ma man mano che le vostre statistiche cresceranno avrete bisogno di metter mano costantemente alla vostra borsa, premurandovi di utilizzare ogni slot disponibile con armi e accessori adeguati al vostro livello (ognuno di essi infatti richiede un certo grado di esperienza per essere utilizzato). Una volta preparati, vi aspettano una dozzina di evocativi livelli a scorrimento laterale, ognuno con il proprio tema di fondo e la propria fauna e flora appropriata.
Dalle spettrali catacombe infestate da spiriti e zombie a fortezze nemiche presidiate da gladiatori in armatura, o classici orchi e troll. Fare incetta di uccisioni nemiche sarà fondamentale per ricevere oro ed exp e vi renderete presto conto che solo al livello di difficoltà più basso dei tre presenti (e da sbloccare), sarà una pratica facilmente archiviabile mediante la ripetuta pressione del tasto di attacco. Il gioco infatti per essere completato nella sua interezza vi richiederà di affrontare gli stessi stage almeno 3 volte (o più considerando che ognuno di essi presenta 2 strade alternative con tanto di boss personale per ogni bivio) a tutte le difficoltà disponibili. Ecco quindi che l’esperienza accumulata viene valorizzata da una sfida sempre più alta, in cui affinare la conoscenza del proprio personaggio sarà fondamentale, soprattutto nel caso di personaggi meno intuitivi e di più cervellotico utilizzo come la sacerdotessa e lo stregone, effettivamente sconsigliabili a un primo approccio con il gioco. Le sessioni pad alla mano filano lisce e piacevoli, grazie a comandi sempre precisi e al perpetuo ammaliamento che ogni frame di animazione suscita in qualsiasi giocatore che abbia un minimo di sensibilità artistica.
Malgrado ciò, una certa ripetitività mina l’esperienza di gioco dopo un tot di ore cominciando a far pesare la brevità degli stage e il loro numero non eccessivo. Questo avviene soprattutto a causa della natura gdr del titolo, che trattiene il giocatore per decine di ore dentro una struttura di gioco solitamente pensata per un’esperienza arcade più contenuta. C’è da dire che il comparto multiplayer come sempre e ancor di più in questo caso è un’autentica mana dal cielo: giocare accompagnati da uno più compagni (fino a 4) può creare su schermo combinazioni di personaggi completamente diversi tra loro che donano un brio sempre diverso all’ennesima scorribanda nella foresta incantata di turno. Se siete un guerriero in un team di nerboruti nani e amazzoni potrete dar sfogo alla vostra forza bruta in mezzo alla mischia, ma se tra le vostre fila dovrete pensare a proteggere un debole stregone mentre si concentra per lanciare un potente incantesimo o una sacerdotessa intenta ad animare ossa a terra o ceppi di legno per trasformarli in un magico mini esercito di supporto, la strategia risulterà ovviamente ben diversa.
Verdetto
Potremmo parlare per ore di questo titolo, cosi pieno di attenzione ai dettagli e con mille segreti e particolarità da scoprire, ma questi non sono che la ciliegina sulla torta di un prodotto unico e dalla qualità indiscussa, appartenente a un filone e a un modo di sviluppare che oggi è sinonimo di nicchia, di autorialità. Non fate l’errore però di considerare Dragon’s Crown solo come un gymmick stilistico dal sapore vintage. DC incuriosisce, affascina ma soprattutto convince. C’è molto mestiere dietro il gioco, molta ponderatezza oltre gli eccessi, che riempie di sostanza un titolo tanto bello da vedere, quanto da giocare, sia in maniera spensierata che più approfondita. Le differenze con la versione originali, sono tutto sommato marginali, ma se non avete mai giocato DC su PS3, è tutt’oggi un titolo meritevole di essere provato. E anche se lo avete giocato all’epoca ma ormai la vostra vecchia PlayStation 3 è in soffitta e ci fareste volentieri un altro giro, beh, considerate il fatto che potete sempre importare i vostri vecchi salvataggi in cloud. Peccato per il prezzo leggermente troppo alto per questo tipo di operazione, unico difetto in una edizione altrimenti da promuovere quasi a pieni voti.