Dread Delusion ci fa muovere in un mondo oscuro e violento popolato di funghi verdi e coperto da cieli magenta

Non conoscevo la distinzione tra weird e eerie prima di leggere The weird and the eerie di Mark Fisher. Il significato di eerie, che in italiano tradurremmo con inquietante, che suggerisce Fisher passa attraverso il suo funzionamento, il modo in cui suscita qualcosa nel fruitore dell’opera: è quel senso di inquietudine che passa attraverso l’assenza, sia che questo significhi presenza laddove non dovrebbe esserci nulla, sia che questo significhi assenza laddove ci aspetteremmo qualcosa.

Se volete leggere di più su The weird and the eerie potete farlo con questo bell’articolo su N3rdcore.

Ho voluto iniziare dal concetto di eerie secondo Fisher perché credo sia un ottimo terreno di partenza per comprendere le scelte artistiche e narrative di Dread Delusion, ma anche tecniche data la particolare scelta di proporre Dread Delusion in un low poly reminiscente della prima Playstation.

A prima vista Dread Delusion può ricordare The Elder Scrolls, in particolare Morrowind data la presenza di enormi funghi che puntellano la mappa. In realtà le similitudini con la serie high fantasy di Bethesda finiscono qui, perché Dread Delusion va in tutt’altra direzione e ha tutt’altri obiettivi.

Il gioco di Lovely Hellplace ha infatti un’identità molto forte e ha chiaramente lo scopo di costruire un mondo alieno, facendo della scoperta di questo mondo il core del gioco. Si parlava dell’eerie perché il concetto di assenza, e quindi di presenza, è costante nel gioco.

Il pretesto narrativo è semplice: siamo dei prigionieri che vengono inviati a uccidere una piratessa, dopo tanti nostri omologhi morti nel tentare la stessa impresa. Siamo male armati – tutto ciò che abbiamo è una spada spuntata – e l’obiettivo sembra invalicabile. Ce la facciamo, ovviamente, ma il nostro bersaglio fugge. Così l’avventura della nostra protagonista continua, sempre con lo stesso obiettivo.

La cosa più complessa in Dread Delusion è capire: le meccaniche, innanzitutto, non vengono spiegate, e quindi dovremo capire come potenziare le armi, come utilizzare le magie e come relazionarci all’ambiente. Non avremo una mappa da principio, e quindi dovremo fare in modo di compilarcela man mano che esploriamo.

Il mondo di gioco è molto dettagliato, e scopriremo che esistono organizzazioni, che c’è stata una guerra contro gli dèi, e che questi dèi sono morti. O forse no?

Figure mostruose svettano nel cielo sopra a dei forti mentre nemici che non riusciamo a incasellare in quelle che sono le “razze” del fantasy cercano di impedirci di proseguire.

È interessantissimo come la scelta di un’estetica lo-fi aggiunga valore alla scoperta all’interno del gioco, valorizzando i dialoghi e obbligandoci a carpire dai testi quello che non riusciamo a definire bene con la vista.

A questo si sommano personaggi sopra le righe che sembrano scollattissimi da una realtà brutale in cui corpi si sono deformati e persone vivono dentro bare di metallo fluttuanti. Una realtà in cui il traino economico di una città può essere un fungo allucinogeno, che permette di prevedere il futuro con i trip che provoca. Però non funziona sempre, a volte sono solo trip.

E poi ci sono gruppi che cercando di riportare in vita gli dei antichi, un’accademia prestigiosa che fluttua nel cielo, galeoni volanti e interruttori nascosti che possiamo vedere solo se abbiamo un alto valore numerico in saggezza.

Dread Delusion è un gioco in cui i diversi elementi non sembrano avere raccordo tra loro, ma che quando si riesce a ricostruire il quadro generale mostrano un world building intelligente, complesso e interessante. Un modo che si vuole scoprire, per capire perché in quel posto manca qualcosa che dovrebbe esserci e perché in quella frase manca un elemento che pensavamo fondamentale, oppure capire perché ci sono cose che non dovrebbero appartenere a questo mondo.

Certo, il sistema di combattimento è piuttosto semplificato e non c’è la libertà di interpretazione di un The Elder Scrolls, ma che importa quando c’è così tanto da scoprire?

Luca Marinelli Brambilla
Nato a Roma nel 1989, dal 2018 riveste la carica di Direttore Editoriale di Stay Nerd. Laureato in Editoria e Scrittura dopo la triennale in Relazioni Internazionali, decide di preferire i videogiochi e gli anime alla politica. Da questa strana unione nasce il suo interesse per l'analisi di questo tipo di opere in una prospettiva storico-politica. Tra i suoi interessi principali, oltre a quelli già citati, si possono trovare i Gunpla, il tech, la musica progressive, gli orsi e le lontre. Forse gli orsi sono effettivamente il suo interesse principale.