La duplice natura dell’eclettico Jake Gyllenhaal
Non sarà Keanu Reeves, ma sicuramente Jake Gyllenhaal rientra nella lista degli attori più amati di Hollywood.
Del resto il cinema ce l’ha nel DNA, nel vero senso della parola: nasce in una città in tal senso emblematica come Los Angeles, dall’unione di suo padre Stephen Gyllenhaal, un regista di origini svedesi,e sua madre, Naomi Foner, una sceneggiatrice neworkese che nel nel 1988 ha ricevuto anche un Golden Globe e una nomination all’Oscar per la sceneggiatura di Vivere in fuga di Sidney Lumet.
Anche la sorella maggiore, Maggie, è un’attrice affermata che recitato persino al suo fianco nel film Donnie Darko, opera cult che ha reso famoso il giovane Gyllenhaal, introducendolo di fatto nel cinema che conta.
Non vi basti ciò, aggiungiamo il fatto che al suo battesimo Jake Gyllenhaal ha avuto come madrina Jamie Lee Curtis e padrino Paul Newman,che tra l’altro – si dice – gli diede anche le prime lezioni di guida.
Per lui l’esordio sul grande schermo arriva nel ’91, con Scappo dalla città – La vita, l’amore le vacche, di Ron Underwood: un piccolo ruolo nei panni del figlio del protagonista Billy Crystal, ma una partenza col piede giusto e l’inizio di una grande passione del giovane Jake per il cinema. Nei due anni successivi partecipa a parecchie audizioni, ma viene tenuto un po’ sotto la campana di vetro dai genitori, che si vogliono assicurare un’introduzione misurata ed oculata del figlio nello star system, senza troppe pressioni e senza fargli montare la testa.
È così allora che il padre Stephen, per assecondare le volontà del figlio ma anche per testare le sue abilità lo fa recitare in un film tutto realizzato in famiglia, diretto da lui e sceneggiato dalla moglie e madre di Jake: Una donna pericolosa (1993), in cui il giovane Gyllenhaal ha sempre una piccola parte.
Il primo ruolo da protagonista arriva invece nel 2000 con Cielo d’ottobre di Joe Johnston, in cui recita al fianco di Chris Cooper e strappa applausi per via di un’interpretazione davvero convincente. La strada verso il successo è finalmente in discesa, e nel 2001 lo ritroviamo nel film che lo ha consacrato, il già menzionato Donnie Darko. Il successo pazzesco ottenuto al box office ha fatto dell’opera di Richard Cully un cult mondiale e la critica è impazzita per la perfomance del giovane Jake Gyllenhaal, in grado di trasmettere le emozioni travagliate e complesse del personaggio di Donnie come un attore navigato.
Il lato emozionale di Jake Gyllenhaal
La strada per il successo è ora spianata e l’attore californiano viene scritturato per parecchi film nei 3-4 anni successivi, lavorando quasi senza sosta e molto spesso anche nelle vesti di protagonista, come in Moolight Mile o The Day after tomorrow. Il lungometraggio che lo incorona definitivamente però è anche quello per cui gli viene anche concessa l’unica (finora) nomination agli Oscar della sua carriera: I segreti di Brokeback Mountain, di Ang Lee (2005).
Recita al fianco del suo grande amico Heath Ledger, conosciuto qualche anno prima ai provini per Moulin Rouge (entrambi vennero scartati per il ruolo che andò ad Ewan McGregor), e i due attori devono fare i conti con dei ruoli niente affatto semplici, peraltro rifiutati da grandi interpreti del calibro di Leonardo DiCaprio e Brad Pitt. Non è un problema invece per Jake Gyllenhaal, che anzi si dimostra entusiasta di indossare i panni di quel cowboy omossessuale, una contraddizione in termini nell’immaginario comune. “È una delle sceneggiature più belle che abbia mai letto”, dichiarò Gyllenhaal, dopo aver accettato la parte.
Un entusiasmo che si ripercuote positivamente nella performance attoriale, per entrambi, a contatto con dei sentimenti per lori improvvisi e inaspettati, e molto difficili da accettare. Se Ledger è fantastico nel mostrarci un uomo quasi ostaggio delle proprie emozioni, che cerca per quanto possibile di rifiutare e spingere lontano da sé, il personaggio di Gyllenhaal è un po’ più accondiscendente e disposto ad assecondare il proprio istinto e la propria passione, ma l’unione di questi due interpreti e il contatto tra le loro personalità rende il tutto davvero magnifico.
Jake Gyllenhaal e l’amore hanno però ancora dei conti in sospeso e si ritrovano, sotto altre forme e in altri film dove nonostante le nette differenze generali, emerge ugualmente con forza.
È il caso, ad esempio, di Amore e altri rimedi (2010), lungometraggio di Edward Zwick in cui l’attore recita vicino ad Anne Hateway. Qui le complicazioni sentimentali derivano da una natura più cruda, più angosciante, ovvero la malattia. Un uomo abituato ad uno stile di vita per certi versi frivolo e libertino riscopre l’amore ma anche la consapevolezza del fatto che quando ci si affeziona a qualcuno non è sempre tutto rosa e fiori e la vita può metterti di fronte a bivi terribili.
Ma l’amore e i sentimenti, nella loro più completa estensione sono quelli che affiorano in uno dei film più belli degli ultimi anni, ovvero Animali Notturni di quel Re Mida di Tom Ford.
È la massima espressione dell’amore anche se parla di vendetta, di un odio patinato ed innocente, quello di un uomo a cui è stato tolto tutto dalla donna di cui era innamorato. Qui il dolore, quello vero, ti entra nelle viscere e non si stacca mai, in un continuo irradiarsi di pulsazioni e di un incessante nodo in gola.
Dark Gyllenhaal
L’altra faccia di Jake Gyllenhaal invece è forse quella che più si lascia apprezzare e in cui il suo volto e la sua espressione pulita, angelica ne escono positivamente deturpati rivelandoci la capacità dell’attore di calarsi in maniera eccelsa nei panni del personaggio subdolo, come in Nightcrawler – Lo Sciacallo, tra le migliori prove in assoluto di Gyllenhaal.
Un antieroe manipolatore, cinico, schiavo della propria ambizione in un modo quasi incantevole, che viaggia di notte in cerca di vittime e prede da catturare con la propria telecamera, sperando nella tragedia e di essere il primo ad arrivare al banchetto. Come fanno gli sciacalli.
La maniera in cui Gyllenhaal riesce a regalarci un personaggio così viscido e al contempo affascinante è letteralmente incredibile. Un ruolo che sembra cucito su di lui, come nessuno prima di Dan Gilroy aveva fatto. E l’attore utilizzerà quella stessa maschera, senza però abusarne e mantenendo un aspetto più umano e un’etica maggiore nel film I Fratelli Sisters, di Jacques Audiard, una delle sue ultime apparizioni sul grande schermo.
Ma abbiamo anche visto come l’anima dark di questo attore versatile possa anche levarsi via di dosso il viscidume e palesarci una figura più schietta, ma non per questo meno oscura. È il caso di Southpaw (2015) di Antoine Fuqua e del suo folle e tormentato pugile Billy Hope che, come in alcuni dei casi precedentemente accennati, è costretto a vivere un dramma, un distacco e l’amore lo mette ancora una volta alle corde usandolo con un sacco da boxe. Qui Jake Gyllenhaal e il suo personaggio provano a reagire, spesso sbagliando e compiendo gesti troppo istintivi ma evidenziando che l’attore è capace anche di ostentare la rabbia, le urla, di ruggire come un leone e non soltanto agire nell’ombra come uno sciacallo.
Una natura eclettica e una forte ambizione dimostrate nel corso della sua carriera anche tramite la scelta e la selezione piuttosto oculata dei ruoli da interpretare, spesso molto diversi tra loro.
Non ne abbiamo citati molti, che restano comunque importantissimi nella filmografia di Jake Gyllenhaal, come il Robert Graysmith, vignettista nelll’eccezionale thriller di Fincher, Zodiac, oppure il ruolo del detective Loki in Prisoners di Villeneuve.
Tutti ruoli che col tempo hanno fatto di lui uno degli attori più apprezzati di Hollywood e con il quale molti registi vorrebbero lavorare, anche per via della sovracitata versatilità.
Due facce della stessa medaglia che si uniscono dando vita ad un personaggio controverso come Mysterio, in Spider-Man: Far From Home, nelle sale cinematografiche dal 10 luglio.