Il Maestro e l’Indagatore

Da quando è finito sotto la pirotecnica gestione di Roberto Recchioni, Dylan ha cominciato a sorprendere con un ritmo quasi annuale attraverso storie speciali, albi da collezioni, impensabili ritorni, kit antizombie, grouchini, cross-over, ristampe, remake e operazioni particolarmente brillanti dal punto di vista del marketing.
Si mettano l’anima in pace i puristi: questo è (da sempre) un aspetto fondamentale nella vita editoriale di un eroe a fumetti, la capacità di generare attenzione, attesa, con intriganti iniziative di carattere economico e non solo. Un aspetto che, anche se molti di questi tempi fanno finta di non ricordarselo, è fin dagli esordi la chiave del successo del nostro Indagatore preferito.

Basta far tornare la memoria ai tempi andati, quelli dell’esplosione del fenomeno Dylan Dog, per ricordarsi gli anni delle figurine, degli astucci, dei giochi da tavolo, degli horror fest e di tutte le vulcaniche trovate messe in cantiere da Sergio Bonelli. Tuttavia, nel decennio della decadenza, questo lato del personaggio si era del quasi del tutto spento, finché la nuova guida non l’ha riportato in auge. Si tratta di uno dei meriti maggiori del rilancio (l’unico perfettamente riuscito) che ha risollevato la creatura di Sclavi sul piano della comunicazione, permettendogli di far parlare di sé in ogni direzione, perfino fuori dal mondo del fumetto. E adesso, l’ultima novità è l’arrivo alla penna un maestro dal calibro di Dario Argento, che firma (in collaborazione con Stefano Piani) Profondo Nero, l’albo di questo mese.

In una (insolita) giornata di sole, Dylan si ritrova casualmente ad un vernissage fotografico a tema BDSM. Tra tutte quelle gigantografie con al centro Bondage, Masochismo, Sadismo, Dominazione e Sottomissione, una in particolare sembra stuzzicare il suo quinto senso e mezzo. Si tratta di una splendida donna nuda ripresa di spalle con una maschera, piena di cicatrici sulla schiena. Scambiando due chiacchiere con l’autrice, Elsie Arlington, scopre che la modella è una certa Lais, famosa nell’ambiente ma quasi impossibile da contattare. Seguendo l’istinto, l’Indagatore dell’Incubo si mette sulle sue tracce, scoperchiando un vaso di Pandora che nasconde il lato più oscuro e violento dell’animo umano.

Fa una certa impressione vedere due colonne portanti dell’horror made in italy incrociarsi, un incontro monumentale che si è già ritagliato il suo piccolo pezzo nella trentennale storia di Dylan Dog. Anzi, a pensarci bene è strano che non sia accaduto prima. Perché hanno moltissimo in comune e si vede che, negli anni, si sono sfiorati più volte (narrativamente parlando). Infatti non è difficile notare le somiglianze che sembrano scritte nel loro DNA, come la forte commistione di generi diversi, dal gotico al giallo, la presenza di suggestioni e riferimenti colti, oltre che una dimensione del reale spesso in bilico tra l’incubo e il sogno. I punti di contatto abbondano e, dunque, questa memorabile prima volta non suona più così strana e assume un sapore diverso.

Anche perché, in un certo senso, è già successo. Nel 1973, prima che Sclavi diventasse Sclavi e Dylan prendesse vita, Dario Argento era già un regista conosciuto e apprezzato, sebbene non ancora noto come oggi. Aveva infatti diretto i suoi primi lavori, quelli che poi sarebbero passati alla storia come la Trilogia degli animali e da lì a pochi anni sarebbe uscito quel Profondo Rosso che l’avrebbe portato al successo mondiale. Sclavi, all’epoca appena ventenne, pubblicò dei racconti sul Corriere dei Ragazzi firmandosi con lo pseudonimo di Francesco Argento, unendo e citando quelli che erano i suoi principali idoli: il cantautore Francesco Guccini e, appunto, Dario Argento. Dunque, il filo che unisce Dylan al maestro del brivido è più stretto di quanto sembri e si snoda lungo decenni di avventure, film e di orrori. Un filo, del resto, confermato dalle continue citazioni presenti fin dai primissimi numeri dell’epopea dylandoghiana, come il terzo della serie regolare datato dicembre 1986, Le notti della Luna Piena, dove viene direttamente ripreso Suspiria, quello che può essere considerato il primo horror puro del Maestro.

Ed è proprio a Suspiria che sembra ispirarsi direttamente questo Profondo Nero, oltre che (ovviamente) a Profondo Rosso, altra pietra miliare del regista. In realtà Argento, coadiuvato da quello che da tempo è il suo braccio destro, Stefano Piani, pesca un po’ ovunque da tutta la sua immensa cinematografia, aggiungendo qualcosa di altamente innovativo. Aiutato da Piani, che non a caso è uno sceneggiatore bonelliano di lunga data (ha all’attivo centinaia di storie tra Nathan Never e Dampyr), il Maestro trasporta lo stile narrativo tipico della macchina da presa sulle vignette, avvicinando atmosfere, dialoghi e inquadrature del grande schermo al fumetto. Cosa che, del resto, Sclavi è stato tra i primi a coniare nel nostro paese, proprio sulle pagine di Dylan. Ecco perché l’albo 383 ha un bel gusto classico, di una sensazione ritrovata, un piacevole ricordo, grazie anche alla presenza di un Corrado Roi in forma smagliante che ci riporta subito indietro, all’epoca d’oro del personaggio.

profondo nero

Ma sarebbe sbagliato accusare questa storia di nostalgia bigotta o cercare di sminuirla evidenziandone la sua potenza antica. Quello che ci troviamo davanti è un Dylan Dog che somiglia molto alla sua versione passata, quella della gloria perpetua, però nel frattempo va oltre, esplora nuovi aspetti della complessa personalità dell’Indagatore, mostrandocelo tormentato come mai lo avevamo visto. Inoltre, si ricollega magistralmente all’attuale continuity dylaniata, inserendosi tra tradizione e innovazione con una scioltezza che solo un grande team creativo come questo poteva permettersi. Una scioltezza che è diretta conseguenza del coraggio dimostrato dalla sceneggiatura, che decide di portare sotto una prospettiva inedita e fresca un tema visto solo di sfuggita tra le pagine della testata: quello del Bondage, un argomento sempre più alla ribalta di questi tempi, sia per le colpe e per i meriti di un certo tipo di narrativa che ha deciso di sguazzarci dentro (le 50 sfumature in primis). Ma se malauguratamente avete avuto un assaggio di questi prodotti e temete all’idea di fare un bis, state tranquilli: Profondo Nero non rischia neanche per un momento di scadere in una simile mediocrità. Anzi: analizza senza paura gli aspetti più morbosi, contorti e sanguinosi di quelle particolari pratiche, caricandoli di significati orrifici e mettendo a nudo la coscienza di chi le usa.

Un albo dalla forza inedita e nonostante tutto familiare, un conturbante film su carta che non sfigura per resa visiva, script e ritmo nella cinematografia del grande maestro. Addirittura, si potrebbe dire che ciò avviene con una naturalezza incredibile. Il Dylan di Argento, infatti, non può far a meno di richiamare uno dei suoi leggendari protagonisti, in particolare quel Marc Daly pensieroso e vagabondo di Profondo Rosso, mentre il suo animo tormentato fa pensare anche al Roberto Tobias di 4 Mosche di Velluto Grigio, al Sam Dalmas dellUccello Dalle Piume Di Cristallo e perfino al Peter Neal di Tenebre. La sensazione è che tutto l’intero cast di Argento sia concentrato nel Dylan Dog di Profondo Nero e stupisce come queste personalità, queste figure diverse tra loro eppure simili, si siano amalgamate così bene. Del resto, Dylan è da sempre una maschera che ciascuno autore, se abbastanza capace, può usare al meglio per proiettare la propria sensibilità, le proprie angosce e le proprie inquietudini.

profondo nero

Verdetto

Profondo Nero, scritto da Dario Argento e Stefano Piani per i disegni di Corrado Roi, è un numero convincente che realizza quello che è un piccolo sogno per i fan: l’incontro tra il Maestro del Brivido e l’Indagatore dell’Incubo. Evento degnamente celebrato da una meravigliosa copertina argentata (illustrata da Gigi Cavenago) che impreziosisce la storia, trasformandola in un oggetto da collezione. Era difficile chiedere di meglio e, a questo punto, crescono le attese per il Ciclo della Meteora previsto per il prossimo autunno.

Stay Nerd Consiglia…

Naturalmente, se non li avete mai visti o avete bisogno di una rinfrescata, date un’occhiata a Profondo Rosso e a Suspiria, i capolavori che hanno reso immortale Argento di cui presto uscirà un remake realizzato da Luca Guadagnino.

Elia Munaò
Elia Munaò, nato (ahilui) in un paesino sconosciuto della periferia fiorentina, scrive per indole e maledizione dall'età di dodici anni, ossia dal giorno in cui ha scoperto che le penne non servono solo per grattarsi il naso. Lettore consumato di Topolino dalla prima giovinezza, cresciuto a pane e Pikappa, si autoproclama letterato di professione in mancanza di qualcosa di redditizio. Coltiva il sogno di sfondare nel mondo della parola stampata, ma per ora si limita a quella della carta igienica. Assiduo frequentatore di beceri luoghi come librerie e fumetterie, prega ogni giorno le divinità olimpiche di arrivare a fine giornata senza combinare disastri. Dottore in Lettere Moderne senza poter effettuare delle vere visite a domicilio, ondeggia tra uno stato esistenziale e l'altro manco fosse il gatto di Schrödinger. NIENTE PANICO!