“Fantastico… Moriremo di citazioni post-moderne!”
Dunque ci siamo. Al termine di un lungo Rilancio durato cinque anni, 63 numeri delle serie regolare (senza considerare le testate parallele), due Fasi (su quattro), imprevedibili sperimentazioni, inattesi ritorni, festeggiamenti indimenticabili, novità editoriali, rivoluzioni copernicane e stravolgimenti pantagruelici, adesso per Dylan Dog comincia il momento decisivo: quello degli albi in stretta continuità. Saranno bene 13 e faranno parte del cosiddetto “Ciclo della Meteora“, destinato a sconvolgere per sempre la vita dell’Inquilino di Craven Road. Quello che sarà dopo, lo sa solo Roberto Recchioni. Non a caso, è lui l’autore del numero iniziale della “svolta seriale”: Che regni il caos!, presentato in anteprima al Lucca Comics and Games (con tanto di variant cover lenticolare firmata da Giuseppe Camuncoli), insieme a Leomacs e Marco Nizzoli.
Spazio profondo. In un’epoca lontana di eoni, il nulla regna sovrano. All’improvviso, quel nulla si frantuma in miliardi di pezzi e diventa qualcosa. Nasce l’universo. E, con esso, viene alla luce anche… Il caos! Stacco. Londra, tempo presente. Nella sede della Ghost Enterprises, in un grattacielo che svetta imperturbabile sulla città, John Ghost si gode il suo impero finanziario dall’alto del suo ufficio all’ultimo piano. Com’è sua abitudine, si lancia in un celere soliloquio che tira in ballo concetti come entropia, ordine, disordine, futuro, società e forze primordiali. Sembra solo, preso nei suoi consueti discorsi da megalomane che ne dimostrano la spiccata ed esageratissima personalità. Però, qualcuno lo sta ascoltando. Di fronte a lui c’è Axel Neil, il serial killer ossessionato dal rock and roll alto due metri e passa. Tra i due c’è un sincero scambio di opinioni e Neil, al termine del dialogo, riceve dall’imprenditore un’ascia. Un’ascia con cui scatenerà il panico per le strade uccidendo decine di persone. Toccherà a Dylan fermarlo, prima che scoppi il caos!
L’attesa per questo numero era moltissima, non giriamoci intorno. Inoltre, è cominciata molto prima che fosse stampato, messo in produzione e partorito dalla mente di Recchioni sotto forma di sceneggiatura. No, l’aspettativa viene direttamente da quel numero, il 337: Spazio Profondo, che inaugurava la Fase 2 del Rilancio e la partenza della “nuova vita” di Dylan Dog dopo il periodo di studio della Fase 1. Fin da allora si menzionava di un domani dove il nostro Indagatore preferito avrebbe vissuto avventure legate tra loro in un grande arazzo dalla trama orizzontale, seguendo le orme delle moderne opere televisive e l’intenzione di tante altre testate Bonelli, da molto tempo votate alla serialità su larga scala, come Morgan Lost, Dragonero e Orfani. E proprio su Orfani forse c’è stata la migliore prova in questo senso, anche perché si trattava di una pubblicazione pensata fin da subito per accompagnare il lettore mese dopo mese verso un finale definito.
Più difficile farlo con Dylan Dog, che che ha avuto elementi di continuity estremamente blandi e, a volte, disconosciuti dallo stesso Tiziano Sclavi. Ragion per cui il compito di Roberto Recchioni era fin da subito complicato e lui (che proprio di Orfani è uno degli artefici e massimo demiurgo), aveva scelto ben altro approccio. Fin da quel famoso albo 337, sarebbe partita infatti una costruzione lenta e compassata di trame e sottotrame con l’obiettivo di tirarne le fila nel momento in cui sarebbero state abbastanza mature. Decisione comprensibile, proprio per le difficoltà che abbiamo sottolineato, ma i risultati sono stati purtroppo in diverse occasioni al sotto delle previsioni. I fattori inseriti non sono stati sfruttati al meglio, spesso sono stati lasciati a loro stessi e agli umori dello sceneggiatore di turno, con la conseguenza che molti fan si sono sentiti spaesati e anche un po’ presi in giro. Che ciò sia dovuto al necessario “periodo di rodaggio” per metabolizzare certi cambiamenti, oppure ad una sbagliata strategia iniziale corretta in corso d’opera, non è dato sapere.
Tuttavia, è arrivato il momento di dimostrare che l’affresco dipinto in questi anni è stato portato avanti con solerzia e determinazione. Da ora si fa sul serio.
Era dunque scontato che l’onore e l’onere di questo passo epocale spettasse all’uomo che di questo Rilancio è l’assoluto artefice: Roberto Recchioni. E non è un caso che lo faccia riportando sulla scena John Ghost, un personaggio di cui si è sentito un certo bisogno e che ha ben figurato in ogni sua comparsa, fungendo da motore immobile degli eventi. In fondo, anche se l’abbiamo di fatto visto poche (ma sentite) volte, Ghost ha proiettato la sua ombra su tante delle vicende degli ultimi mesi e si è scoperto che è stato lui a salvare Dylan da Dora e suo padre (in Il cuore degli uomini), a regalargli l’appartamento di Craven Road (… E cenere tornerai) e a tenere i Maestri della Notte il più possibile lontano da Londra (Arriva il Dampyr). Era dunque scontato che John Ghost sarebbe tornato e avrebbe giocato un ruolo ancora più centrale di quello che ha avuto nella Fase 2.
Forse si trattava di una mossa fin troppo scontata, tant’è che Recchioni ha deciso di sparigliare le carte in tavola facendo incontrare il magnate della Ghost Enterprises ad un altro personaggio, meno atteso: Axel Neil, il maniaco capellone ossessionato dalle hit del rock and roll. In realtà anche questo non è un caso: Neil è stato il villain creato da Recchioni in occasione della sua prima storia di Dylan, nel primissimo Color Fest del 2007. Si tratta di un’autocitazione programmatica e indicativa, che ha il sapore dello sliding doors: Ghost e Neil che si incontrano sono il prima e il dopo del curatore che si incrociano e segnano lo scarto, il cambiamento avvenuto in questi anni. Se vi sembra una trovata un po’ troppo referenziale, aspettate: non è finita qui. Questi due personaggi rappresentano anche due fasi (è sempre una questione di fasi) diverse della vita dell’Indagatore dell’Incubo: un “passato” dove il male era personificato da un killer assetato di sangue che simbolizzava gli aspetti più malati della società (in cui ci si poteva dunque riconoscere), ad un “presente” dove il male è invece incarnato da un miliardario senza scrupoli che fa i soldi vendendo telefonini e manipola l’attenzione delle persone con i video sui cuccioli di orso. Il salto può apparire banale, ma non lo è. Prima i “mostri” eravamo noi, adesso i “mostri” stanno sopra di noi. E se pensate che questo sia consolatorio perché si sono allontanati, sono usciti fuori dalla massa, ricredetevi. Perché se i mostri sono sopra di noi e ci controllano, noi cosa siamo?
Viene quasi da dire non siamo più niente, ma forse non è corretto. Qualcosa siamo ancora: passivi consumatori pieni di niente, spettatori onnivori talmente ingozzati di stimoli culturali sterili e inconcludenti da rasentare la bulimia esistenziale. Facciamo cose spinti da stimoli inconsistenti, citiamo film e serie tv senza comprenderle, acquistiamo oggetti perché guidati dalle mode che tentano di appiopparci l’ennesimo prodotto inutile a “prezzi imperdibili”. E nel frattempo abbiamo smarrito la Ragione (e Recchioni ce l’aveva già detto, nella sua ultima graphic novel) e anche ciò che ci rende umani: il desiderio di comprendere. Viviamo di Black Friday e moriamo di morbillo. Siamo insofferenti al male degli altri e ci facciamo i selfie durante le stragi, pubblichiamo per ricevere l’approvazione di profili digitali e like. Se Dylan Dog riusciva ad evidenziare gli orrori della società trent’anni fa, figuratevi ora che la società è tutta un orrore. Sono cambiati i paradigmi, non la sostanza. E Dylan doveva solo aggiornarsi, sintonizzarsi su quello che è il sentire comune per indagare in prima persona l’Incubo della Modernità, mettendoci la faccia, il cuore e l’anima (com’è nel suo stile).
Questo è quello che ha fatto Recchioni col Rilancio, in fondo: ha traghettato la creatura di Tiziano Sclavi ai giorni nostri, consapevole che poteva essere ancora attuale con una bella rispolverata. Che regni il caos! ne è la prova, visto che riprende i vecchi classici, come lo splatter ironico-grottesco del Tiz prima maniera, mentre aggiorna l’elenco degli orrori da combattere tirando dentro tutto il repertorio più aberrante della risacca culturale post-moderna in cui viviamo. E se pensate di poter sfuggire dicendo che voi non vi fate i selfie, postate poche cose sui social (che comunque usate solo per lavoro), che comprate tanti libri (perfino i fumetti, guarda un po’!) e siete diversi, vi sbagliate. Ci siamo dentro tutti, consapevoli o meno. Perfino Dylan, che cerca di starne lontano il più possibile, ne viene risucchiato e non può fare altro che accettarlo. Perfino Recchioni, che questa storia l’ha scritta. Perfino voi, che la state leggendo. Meditate, gente! Meditate!
Questo discorso, imbastito dallo sceneggiatore, si carica di molteplici livelli di lettura, spunti e strizzate d’occhio metanarrative che contribuiscono a renderlo forte pagina dopo pagina. Recchioni sfotte, maltratta e punta il dito sull’inconsistenza morale e intellettuale della società moderna che vive di riferimenti pop, condivisioni e like. Nel frattempo, cita a profusione come se avesse un fucile mitragliatore al posto della tastiera e lo fa proprio su Dylan Dog, che di questa particolare corrente è stato un precursore, perlomeno in Italia. La storia arriva quasi presto ad un cortocircuito che, di rimbalzo, si esalta nelle sequenze più normali e plausibili. Così, le scene piene di sangue, cadaveri e battute ci sembrano assolutamente consuete, mentre quelle più lente, di decompressione e intime ci appaiono stranianti nella loro semplicità. Recchioni ci sta dicendo che ormai non sappiamo più qual è la realtà e che ci siamo abituati a talmente tante cose assurde che la banalità ci pare surreale.
Si fa presto a individuare in questa dialettica la rappresentazione del rapporto morboso che lega la vita “in carne e ossa” a quella della “rete”, specialmente nei social. Un dualismo mai nascosto dalla storia, che viene accentuato dalla presenza di due artisti come Leomacs e Marco Nizzoli, che si spartiscono le parti più concitate e quelle più calme, andando a sottolineare così la differenza tra l’ordine e il caos, tra il reale e l’irreale, tra il normale e il paradossale. Entrambi risultano perfetti nel loro compito: Leomacs crea delle sequenze al fulmicotone, estremamente dinamiche e inquietanti, mentre Nizzoli è un magnifico rappresentante della “linea chiara” adeguata al contesto italiano (e bonelliano in particolare). Una scelta, questa di affidare le tavole a due artisti così diversi, che aggiunge ulteriori sfumature ad un albo che appare molto più ricco di quello che potrebbe sembrare dopo una prima lettura superficiale.
Verdetto
Dylan Dog #387: Che regni il caos! è il primo atto della svolta seriale del personaggio, che ci condurrà fino al numero 400 attraverso storie in forte continuità tra loro. Si tratta del punto di arrivo delle varie fasi del Rilancio, una fase di fondamentale importanza per il futuro dell’Indagatore dell’Incubo che ne rivoluzionerà i paradigmi favorendo un (probabile) ritorno alle origini. Roberto Recchioni firma una delle sceneggiature più pazze e critiche della sua carriera, dove dimostra che la creatura di Tiziano Sclavi, nonostante abbia superato i trent’anni d’età, può (e deve) parlare degli orrori della nostra modernità.
Tra tutte le storie importanti uscite in grande formato di recente, se volete sapere com’è andato l’incontro tra Dylan Dog e Dario Argento, non potete perdervi Profondo Nero. Invece, se vi siete a digiuno di Dylan da un po’ e volete rimettervi in pari, l’edizione ultra lusso di Mater Dolorosa è quello che va per voi. Sennò, se vi è piaciuto Che regni il caos! provate ad accaparrarvi la variant lenticolare uscita in occasione del Lucca Comics and Games.