Quando Dylan Dog va al cinema comincia il grande orrore
La notizia ormai non è più così fresca, ma non perde in sensazionalità: Sergio Bonelli Editore, culla e trampolino del fumetto italiano degli ultimi ottant’anni (fu fondata esattamente nel 1940), si lancia in una nuova avventura transmediatica e fonda la Bonelli Entertainment.
Oltre alle diverse serie originali che faranno parte di questa prima tornata produttiva, l’attenzione ricade anche e soprattutto su un prodotto, un riscatto, una promessa: la prima serie TV ispirata a Dylan Dog autorizzata dai suoi creatori e curatori.
Cavalcando il successo – ormai più che consolidato – del cinema seriale distribuito sul piccolo schermo, la casa editrice ha disposto sulla scacchiera il suo pezzo più forte. Inutile dire che l’aspettativa sulla nuova versione delle storie dell’Indagatore dell’Incubo è notevole, anche perché andrebbe a colmare una lacuna scavata negli anni e il tradimento reiterato dello spirito di DYD al cinema.
Non è un mistero che i tentativi messi in piedi fino ad ora a stento navigano al di sopra della mediocrità, arrivando spesso e volentieri a toccare picchi di profondo imbarazzo.
Sembrerebbe una sorta di maledizione, per parlare il linguaggio bonelliano, quella che colpisce l’Old Boy di Craven Road e i suoi film. Eppure, come ogni avventura che si rispetti, è arrivato anche per DYD l’atteso momento del riscatto: è il primo luglio 2017 quando la notizia della riacquisizione dei diritti cinematografici sul personaggio creato da Tiziano Sclavi si è diffusa tra la stampa di settore e non, gettando le basi per la creazione della Bonelli Entertainment.
Ma cosa è successo nel frattempo?
La prima apparizione di un prodotto somigliante a Dylan Dog avvenne nel 1994 per mano di Michele Soavi che firma quella perla grottesca (che è un modo carino per dire trash) di Dellamorte Dellamore. A dirla tutta, il film non si basa esplicitamente sul personaggio dei fumetti – nato comunque otto anni prima – ma sull’omonimo romanzo di Sclavi pubblicato nel 1991 dalla Camunia Editrice. Analogamente al suo corrispettivo fumettaro, Francesco Dellamorte è un personaggio intriso di orrore, che sguazza tra i mostri più volentieri che tra gli esseri umani e con un gran debole per il (gentil) sesso. A interpretare il protagonista è Rupert Everett, da sempre dichiarato come reference principale per la fisionomia di Dylan: per questo, e non solo, la performance dell’attore inglese resta tutt’oggi imbattuta. Oltre alla somiglianza fisica, Dellamorte ha in comune con Dylan un senso dell’umorismo oscuro e sornione e una capacità di essere allo stesso tempo fragile e spaccone e di non scomporsi neanche davanti alle immagini più raccapriccianti.
La storia e l’ambientazione, però, spostano l’atmosfera della Londra dell’Incubo in un paesino del Centro Italia dove il nostro eroe non è un investigatore privato, ma un becchino. Il tono del racconto, poi, supera notevolmente il limite tutto sommato piuttosto sobrio delle storie bonelliane, presentando una mattanza di zombie, erotismo e mutilazioni. Il film non ebbe molto successo, tant’è che Soavi smise per diversi anni di fare cinema, tornando a lavorare solo nel 2006 con Arrivederci Amore Ciao. Ah, un dettaglio che non c’entra molto, ma non si può omettere: in Dellamorte Dellamore abbiamo una scream queen di tutto rispetto, Anna Falchi.
Facciamo un salto in avanti di pochi anni: alla fine degli anni Novanta la Dark Horse pubblica Dylan Dog anche in America. Nel 1997 la Platinum acquista i diritti cinematografici del personaggio (con sommo disappunto di Sclavi). Nel 2011 il mondo accoglie Dylan Dog – Dead of Night di Kevin Munroe, primo lungometraggio dichiaratamente ispirato al fumetto. Tra la versione originale e quella americana ci sono alcune differenze: prima di tutto nell’ambientazione, che non è a Londra ma a New Orleans (per motivi di budget) e in secondo luogo circa la spalla di Dylan che non è Groucho, ma Marcus (Sam Huntington) che nulla ha che vedere con il sosia del Fratello Marx che tutti amiamo e conosciamo. Il motivo? Anche qui una questione di soldi: la famiglia Marx ha preteso una cifra che la produzione ha preferito investire diversamente.
Il protagonista è Brandon Routh, che abbiamo già visto nel 2006 nei panni di Superman (in Superman Returns di Bryan Singer), che con l’Indagatore dell’Incubo ha in comune quasi esclusivamente la camicia rossa sotto la giacca nera, abbinata ai jeans.
Al di là dell’iconica divisa, infatti, l’attore non riesce a rendere in alcun modo il personaggio che – lui stesso ha dichiarato – ha amato sulla carta. Tutto il film è un fallimento mostruoso (letteralmente), gli effetti speciali decisamente inadeguati all’anno di produzione (sembra una lunga puntata di Buffy svuotata di tutti gli elementi positivi della serie) e la storia banale e pretenziosa. L’accoglienza di pubblico e critica è stata adeguatamente catastrofica e Dylan Dog – Dead of Night è ricordato come uno dei maggiori flop del suo anno.
Torniamo negli anni Novanta, periodo d’oro della testata bonelliana, anni in cui il personaggio travalica i confini della tavola e entra a far parte dell’immaginario nerd attraverso una serie di gadget e trasposizioni videoludiche. In particolare, la presenza di Dylan Dog nel mondo dei giochi e videogiochi è più prolifica di quanto ci si potesse aspettare: sono ben 23 i titoli che vedono DYD come protagonista. I primi risalgono al 1988 e sono stati pubblicati dalla Systems Editoriale per Commodore 64 con i titoli di Le notti della luna piena e Dylan Dog e il castello delle illusioni. Il primo era un’avventura testuale, ovvero una sorta di versione informatica di un gioco da tavolo alla D&D in cui il personaggio era guidato da istruzioni scritte dal giocatore (davvero molto old style). Il secondo, invece, era un più basilare sparatutto.
A questi due titoli seguirono, nel 1991, quattro giochi in floppy disk pubblicati dalla Simulmondo (a ognuno dei quali era allegato un albo) e altri diciannove, di cui due uscirono nei negozi (Gli Uccisori e Attraverso lo specchio) e gli altri in edicola. Il 1991 è anche l’anno della pubblicazione de Il gioco di ruolo di Dylan Dog, un boardgame basato – ça va sans dire – sul personaggio Sclavi e progettato da Roberto Chiavini, Alessandro Ivanoff, Michele Gianni, Jacopo Garuglieri e Fabrizio Biasiolo, a cui sono seguite, negli anni, diverse espansioni. Infine, nel 1999 la Rizzoli New Media mette in circolazione Dylan Dog Horror Luna Park, su soggetto originale di Tiziano Sclavi e sviluppato dalle genovesi Bedroom Studio Entertainment e NewMediaAround. Il gioco per Pc è un’evoluzione di quelle avventure testuali in voga negli anni Ottanta e vede l’Indagatore dell’Incubo districarsi in una serie di enigmi all’interno di un parco divertimenti (ovviamente) da brivido, dove interagisce con alcuni personaggi ricorrenti dei fumetti quali Groucho, Bloch, Hamlin, Lord Wells, Lady Trelkovsky, Morgana e Marina.
La forte presenza dell’Indagatore dell’Incubo nell’immaginario collettivo italiano ha fatto sì che il personaggio venisse citato nei contesti più vari: è il 1995 quando gli 883 di Max Pezzali pubblicano l’album La donna, il sogno & il grande incubo, la cui copertina non lascia spazio a fraintendimenti.
Anche il videoclip di uno dei brani principali dell’album, Il grande incubo, richiama le atmosfere del fumetto, dal maggiolone che Pezzali guida mentre canta, alla presenza di mostri di varia natura, fino all’animazione – un po’ naif a dire la verità – di vignette realizzate in perfetto stile bonelliano.
Altre citazioni che rimandano al personaggio le possiamo ritrovare anche in Spirale Ovale (Non mi emoziono sugli yatch/Io colleziono Dylan Dog) e in Vai bello (Il nostro show ha visto più città che mostri Dylan Dog) degli Articolo 31. Sempre in radio, ma non come hit, DYD è arrivato nel 2002, grazie a un programma di Radio 2 in cui la voce di Francesco Prando ha portato in vita – per così dire – il personaggio di Sclavi. In questo ciclo di letture ad alta voce sono stati proposti alcuni degli albi più amati dal pubblico, in una versione drammatizzata, in pieno stile RAI. Un nuovo ciclo di puntate è stato trasmesso sempre da Radio 2 nel 2004, mentre nel 2016 Radio24 ha pubblicato una sua versione, scegliendo doppiatori differenti.
Ma torniamo al mondo del cinema e delle serie televisive. Oltre ai due lungometraggi già citati, mai davvero fedeli alla figura di Dylan, troviamo altri prodotti, di fattura – per così dire – minore. Si tratta di Vittima degli eventi del 2014, diretto dallo youtuber Claudio Di Biagio e interpretato da Valerio Di Benedetto (Dylan Dog), Luca Vecchi (Groucho, per la prima e unica volta sullo schermo), Sara Lazzaro (Adele). Nonostante sia un mediometraggio distribuito su YouTube e finanziato da crowfunding, annovera nel cast tre attori storici del panorama italiano: Alessandro Haber (Ispettore Bloch), Milena Vukotich (Madame Trelkowski) e Massimo Bonetti (Hamlin). Essendo un prodotto di fan (comunque esperti del settore), il film si sforza sinceramente di restare fedele alle atmosfere del fumetto. L’approccio affettivo è evidente e restituisce un po’ di dignità al personaggio tanto bistrattato dagli americani, nonostante la performance attoriale del protagonista non spicchi particolarmente e tecnicamente il film sia ancora molto legato a un linguaggio più adatto a YouTube che al cinema.
Un altro omaggio da fan, che porta – come Vittima degli eventi – l’Indagatore dell’Incubo a Roma è Il cane russo di Paolo Congi e Claudio Fratticci. Anche questo film (trattasi di un vero e proprio lungometraggio, in questo caso) è disponibile su YouTube e si basa su Incubus, pubblicato nell’albo L’ultimo uomo sulla terra. I registi prendono alcuni elementi fondamentali del personaggio, cambiando i nomi e concentrandosi sull’aspetto più cupo e malinconico della saga, quello che racconta la storia di un uomo solo, alle prese coi suoi fantasmi e le sue dipendenze.
Infine, in anticipo di pochi mesi sull’annuncio dei futuri prodotti della Bonelli Entertainment, c’è la serie TV austriaca Dylan – Dram of the Living Dead, il cui pilot è sempre fruibile su YouTube.
Il regista della serie, Kevin Kopacka, si dichiara grande fan del fumetto e i suoi omaggi all’originale sono chiari e disseminati in tutto il primo episodio (e vi invitiamo a riconoscerli tutti). Il risultato fa storcere ancora il naso, il protagonista (Ford Everett) è sempre meno credibile (se la gioca con Brandon Routh), quello che dovrebbe essere Groucho è un caratterista vietnamita che probabilmente vi lascerà molto perplessi.
La faccenda si fa dunque interessante: se da un lato si evidenzia una notevole difficoltà nel portare l’Indagatore dell’Incubo da un media all’altro (specialmente tra la Nona e la Settima arte), dall’altro il campo per la nascente Bonelli Enterteinment è pressoché vergine.
L’hype, allora, non potrà che aumentare mese dopo mese. Restiamo in attesa.