Death Stranding potrebbe essere l’opera più grande e amibiziosa di Hideo Kojima!
Ad essere onesti, il trailer di Death Stranding è stato una grossa delusione. Ma il problema non è il trailer, che più lo guardi e più te ne innamori. Il problema siamo noi, quello che vogliamo, e per certi versi quello che “pretendiamo” ci venga dato. Forse la questione stava tutto nell’aspettativa riposta nel debutto del gameplay, mai promessoci, ma largamente chiacchierato, sul palco di Sony; o forse sarà la nostra voglia di un nuovo gioco di Kojima, ormai lontano dalle nostre console dai tempi della rottura con Konami. Come sia sia, è stata una delusione, che tuttavia è più figlia della rabbia che di un’oggettiva “mancanza” da parte del buon Hideo, che anzi si è sempre divertito nel mantenersi volutamente criptico nella presentazione dei suoi titoli, anche quando questi erano ovviamente figli del suo brand più famoso ed apprezzato: Metal Gear Solid.
Ciò detto, che cosa abbiamo capito di Death Stranding?
Poco, molto poco in verità. In rete avrete notato l’impazzire di meme a tema fattorini e corrieri vari, ed in effetti gli stralci silenziosi e solitari di Death Stranding non ci hanno dato altra idea che di un titolo in cui ci immedesimeremo in un Norman Reedus (Sam) nei panni di un improbabile portapacchi post-apocalittico. Cosa porti, dove lo porti, e soprattutto perché non ci è dato saperlo. Quel che sappiamo è che in questo mondo di domani è rimasta comunque una certa umanità, che cerca con tutte le forze di sopravvivere, e nel cui mezzo ci sono diverse “compagnie” che si occupano di trasportare beni tramite i propri fattorini.
Il trailer, sin dalle primissime battute, ci ha inoltre presentato due nuovi personaggi femminili, il primo modellato sulle fattezze dell’attrice Léa Seydoux, prima fugacemente notata da Tarantino per il suo Bastardi senza gloria (era una delle figlie del contadino La Paditte), poi definitivamente conclamata in 007: Spectre nelle vesti di Madeleine Swann; il secondo sulle fattezze di Lindsay Wagner, ovvero la leggendaria “Donna Bionica” della TV anni ’70.
Se la figura della Wagner è ancora avvolta dal mistero, nella misura in cui è stata mostrata veramente per pochissimi secondi, quella della Seydoux è stata invece a dir poco centrale nella presentazione E3, permettendoci peraltro di partire con nuove divagazioni su quella che potrebbe essere la lore del gioco. Proprio come Sam, anche la donna è un cosiddetto “porter”, ovvero un vero e proprio fattorino che si barcamena nella desolazione contaminata dell’apocalisse di Kojima. La compagnia per cui lavora è la Fragile, mentre quella di Sam è la Bridges che, peraltro, è di certo in qualche modo connessa al personaggio di Guillermo del Toro, che pure mostrava il logo della compagnia sulla sua giacca. L’incontro con la donna è interessante, per quanto criptico, ma ci ha chiarito i due personaggi sono in qualche modo connessi da una comune abilità, ovvero quella di poter percepire le creature extradimensionali (?) che minacciano il mondo, e questo grazie ai “dooms”, ed ai “fattori” che questi donano a chi li possiede. Sappiamo che Sam possiede il “fattore di estinzione”, che a quanto pare non è di livello sufficiente a poter vedere i nemici, ma solo di percepirli. A differenza della Syeydoux, che pare possa effettivamente vedere le creature. Ovviamente, cosa siano i dooms e cosa significhi “fattore di estinzione” non è ancora dato saperlo.
Quel che ci ha incuriositi, in ogni caso, è la dinamica del trasporto delle risorse, a dir poco centrale all’interno del gameplay, come ben evidenziato da praticamente ogni scena di giocato. Sam potrà infatti portare con sé diversi carichi, divisi tra sacche, contenitori, e persino piccoli droni autonomi che lo seguiranno presumibilmente ovunque. Interessante sarebbe capire se il peso portato sulle spalle del personaggio influirà (ma siamo certi di sì) sulla sua capacità di muoversi, e la sua abilità nell’affrontare i terreni più accidentati, come ad esempio le scoscese pareti di roccia che il personaggio sembrerebbe in grado di scalare. Quel che è certo è che il carico potrò essere perso, forse persino definitivamente smarrito, come evidenziato da un momento del trailer in cui, in balia di un fiume, Sam viene divelto perdendo parte dei pacchi dalle sue spalle (la qual cosa, noterete, è stata accompagnata anche da un preciso effetto acustico).
Altre due meccaniche interessanti appena accennate dal trailer sono quella della connessione al feto in bottiglia, che parrebbe l’unico modo di ottenere l’energia sufficiente ad attivare il rilevatore che permette di vedere i nemici, prima invisibili, e il meccanismo connesso alla morte del personaggio che, ci pare di capire, potrebbe persino tornare in vita. Il dubbio scaturisce proprio dall’incontro con le figure invisibili e svolazzanti che attorniano il personaggio di Reedus. Questi ci comunica che i nemici si avvicinano, e che la nostra morte potrebbe causare un “void in”, che qualunque cosa sia sembra suonare molto male data l’espressione preoccupata del personaggio.
L’idea che ci siamo fatti, pensando anche al passato dei trailer del gioco, è che Sam possa effettivamente morire nel suo mondo, salvo poi tornare in vita, e che la sua particolare condizione data dai “doom” (o magari la sua “sovrapposizione molecolare con i nemici”) possa scatenare un’esplosione tale da causare uno dei numerosi crateri visti nei primi trailer del gioco.
Ritornando quindi in vita nel nostro mondo (o in un altro visto che si è parlato di gioco online?) lo troveremo irrimediabilmente cambiato, forse addirittura peggiorato. Molto si è discusso in merito alla possibilità che l’apocalisse di Kojima sia infatti figlia di una sovrapposizione della realtà, e che dunque le creature siano provenienti da una dimensione parallela, ma sovrapposta alla nostra. Senza perderci in divagazioni quantistiche, ci pare indubbio che la morte per soverchiamento da parte dei nemici, per altro mostrata proprio in chiusura del trailer, possa essere una delle meccaniche più importanti del gioco, e che questa vada – più che per ovvi motivi – scongiurata ad ogni costo, salvo eventualmente creare un cataclisma che potrebbe influire sugli eventi futuri.
Dal punto di vista tecnico, Death Stranding si è mostrato con una ricchezza di dettagli, e soprattutto un orizzonte visivo, davvero da capogiro. Il gioco si muove sull’ormai arcinoto Decima Engine, che il team di Kojima ha ovviamente rimesso a lustro per l’occasione. C’è da dire che proprio i paesaggi ci hanno sorpreso non poco, complice il mood con cui il progetto era stato originariamente proposto. Ci aspettavamo infatti una desolazione per lo più smunta, morta, contaminata dal viscoso liquido petrolifero che spesso abbiamo visto nei trailer passati, al più spezzettata dai rimasugli di una civiltà ormai agli sgoccioli.
Death Stranding ci ha invece offerto una natura rigogliosa e lussureggiante, in cui i toni accesi del verde risaltano in modo prepotente ai piedi di montagne e catene rocciose immense. L’effetto è stato tutto sommato piacevole, e quel che traspare dal trailer è la ricerca di Kojima di un nuovo punto di vista per il single player, fatto di ricerca, solitudine e, in una qualche forma, di pace interiore.
Non sono però mancati momenti più sinceramente dark, specie in corrispondenza della presenza sul campo del personaggio della Seydeoux, capace – come detto – di percepire come Sam la presenza delle bieche ed oscure creature invisibili che vigilano sul mondo. In questi frangenti, in verità molto brevi, Death Stranding ha mostrato di nuovo i leitmotiv estetici a cui ci aveva già abituatati: morte, desolazione, un senso di terrore accompagnato da una sensazione di morte imminente. Tutto raccontato di fretta, volutamente, ma non per questo in modo scalcagnato. Sam si connette al feto, il sistema di rilevazione sulla sua spalla gli permette di vedere i nemici. Il gioco in queste fasi sembra più “tipicamente” stealth, mentre possiamo notare come la presenza delle creature che aleggiano sul mondo influisca sulla natura che, letteralmente, pare impazzire. Sam cerca di passare indenne, ma i nemici lo notano. L’accerchiamento è rapido, la morte apparentemente inevitabile. Il personaggio viene circondato da una pozza catramosa fatta di figure nere dall’aspetto infernale. Schermo nero. La morte. Void-in, qualunque diamine di cosa significhi.
Death Stranding si è insomma mostrato con un tono del tutto diverso da quanto ci aspettassimo, e se siete arrabbiati per questo un po’ vi capisco. Dopo tre anni di annunci, attesa, e presentazioni di attori in carne ed ossa, ci saremmo forse aspettati di più da Kojima, che in questo modo conferma, peraltro, di essere ancora in uno stato piuttosto acerbo dei lavori, tale da non giustificare neanche la più vaga finestra d’uscita. A questo punto tocca vivere di speranze; vero è che al netto di ogni delusione, parliamo di Kojima e dunque, quando questi sarà pronto, ci sono praticamente pochissime possibilità che questa sua opera, trionfale ed ambiziosa, si riveli una delusione.