A vent’anni dal suo esordio, la guerriera cinese continua a darci molto onore.
Il 19 giugno 1998, in coda al periodo d’oro delle produzioni Disney conosciuto come Rinascimento, esce nelle sale cinematografiche americane il 36° classico dello studio: Mulan.
Ispirato alla leggenda cinese del VI secolo di Hua Mulan, fanciulla che si finge uomo per essere arruolata nell’esercito al posto dell’anziano padre, questo lungometraggio ha il merito di portare una ventata di novità nella caratterizzazione delle Principesse Disney e resta ancora oggi, a distanza di vent’anni e con un live action alle porte, un vero e proprio pilastro per la formazione di una generazione di ragazzine.
Di cosa parliamo quando parliamo di principesse
Prima di analizzare il personaggio di Mulan, però, dobbiamo fermarci per una doverosa precisazione: quando usiamo la definizione Principesse Disney, ci rifacciamo all’omonimo franchise in cui la combattente cinese è inclusa, pur non avendo sangue nobile di discendenza o per matrimonio, come esempio positivo in grado di aiutare le bambine a trovare la guerriera dentro di sé. Mulan è quindi l’unica delle principesse del franchise a essersi conquistata il titolo “sul campo”, nonché la prima (e unica, insieme a Merida) a non baciare nessun uomo per l’intera durata del film. Usando un’odiosa definizione che vuol dire tutto e niente, possiamo dunque affermare che Mulan sia un’eroina forte e indipendente; ma siamo davvero tutti d’accordo?
Poiché l’internet è bello perché è vario, è possibile trovare in rete argomentazioni a sostegno di qualsiasi tesi, compresa quella che vede in Mulan un prodotto di propaganda sessista: Juliane Fung, nella sua Feminist and Queer Analysis of Disney’s Mulan, sostiene che il film non faccia altro che rafforzare il binarismo degli stereotipi di genere. Secondo questa visione, canzoni come Farò Di Te Un Uomo ricalcano gli atteggiamenti tipici del machismo, che vogliono l’uomo vero senza timore e potente come un vulcano attivo (il testo originale della canzone si spinge oltre, con il Capitano Shang che si domanda did they send me daughters when I asked for sons?), sottolineando come i comportamenti tipicamente maschili siano superiori a quelli femminili.
Usando lo stesso schema, le canzoni Molto Onore Ci Darai (gli uomini vogliono donne obbedienti, ma che volino / educate e con il fisico) e Per Lei Mi Batterò (lei così ricca di virtù, lei splendida e anche più) trasmettono il messaggio che il valore di una donna risieda nelle qualità dell’uomo che è riuscita ad accalappiare mostrandosi sempre silenziosa, educata e compiacente. Il fatto stesso che Mulan perda qualsiasi credibilità nel momento in cui viene scoperto il suo vero sesso, sminuirebbe ancora di più agli occhi dello spettatore la figura femminile.
Non è tutta critica quel che luccica
Nonostante le argomentazioni qua sopra esposte però, non dobbiamo dimenticarci che la struttura narrativa di Mulan non è farina del sacco della Disney, ma risale a mille e cinquecento anni fa: il sentimento che spinge Mulan ad arruolarsi non è la terza ondata femminista in atto negli USA alla fine del ventesimo secolo, ma l’amore per la propria famiglia, il desiderio di proteggere una persona amata; le motivazioni di Mulan travalicano qualsiasi motivazione femminista e rientrano nella sfera di quei comportamenti che rendono una persona – indipendentemente dal sesso – umana.
Ma, se proprio vogliamo tirare in ballo il femminismo, Mulan è stato per i cartoni Disney quello che la Buffy di Joss Whedon è stata per la serialità: temi complessi come le aspettative degli altri, il desiderio di trovare il proprio posto nel mondo, il senso di dovere nei confronti dei propri cari sono affrontati anche solo nel tempo di una canzone (non fingete di non sapere tutto a memoria il testo di Riflesso), tra una gag e l’altra di uno degli animaletti comprimari più riuscito di tutta la filmografia Disney (complice forse anche il doppiaggio di Enrico Papi): Mushu.
Certo, è vero, Mulan passa buona parte del film vestita da uomo, e sono gli unici momenti in cui gli altri sembrano darle la considerazione che merita, ma è anche vero che il momento in cui viene riconosciuto davvero il suo valore (oh, avete presente quando l’imperatore della Cina si inchina davanti a lei?) Mulan è finalmente se stessa, senza trucco e senza trucchi. Del resto le critiche ai testi delle canzoni sembrano un mero pretesto che finge di non saper leggere l’ironia dietro a Farò Di Te Un Uomo.
Il fiore più raro e più bello di tutti
La chiave di lettura necessaria per riconoscere la grandezza di Mulan risiede, in ultima istanza, nella differenza tra promuovere il sessismo ed esibirlo: non dimentichiamoci che i cartoni animati hanno pur sempre un target costituito da bambini, che hanno spesso bisogno di vedere ciò che è sbagliato per riconoscerlo, ma ciò non significa che non siano in grado di comprendere gli atteggiamenti sbagliati quando si trovano davanti a essi. Se un lungometraggio della Disney non è il mezzo appropriato per fare sottile critica sociale, è invece il medium perfetto per lanciare messaggi di rispetto e accettazione di sé e degli altri, se necessario, anche evidenziando con forza quali sono i comportamenti sbagliati.
E se non siete d’accordo, ne riparliamo dopo che avete salvato la Cina da un’invasione di Unni.