Il vecchio dovrà cedere al nuovo, e non tutti lo accettano.
(Bern Doppler, 1953)
In questi giorni il colosso dell’e-commerce Amazon ha aperto un negozio fisico a Seattle, cosa che di per sé è già una notizia interessante se si pensa che è la prima volta che l’azienda di Jeff Bezos si avvicina al mondo senza utilizzare reti Internet. E infatti non parliamo di un negozio normale: si tratta di una sorta di supermercato senza personale. Nessun cassiere, nessun inserviente, nessun manager, al massimo il dottor Carpi pronto ad effettuare un parto d’urgenza al reparto salumi. Battute a parte, la popolazione di questo negozio è costituita da persone come noi che entrano, vanno a fare la spesa ed escono liberamente. Fantascienza? Un pochino, ma andiamo con ordine.
Amazon Go è un supermercato che sembra uscito da un episodio di Black Mirror: si entra passando il proprio telefono all’ingresso, si prende ciò che serve a casa e si esce senza nemmeno tirare fuori il portafogli. Una magia tecnologica che sembra proiettarci in un futuro che desta ben più di una preoccupazione, leggendo i vari commenti su Internet. C’è chi parla di persone che perderanno il posto di lavoro, chi millanta una perdita della privacy e chi vede in questo sistema solo un altro modo di spillare soldi ai consumatori e, quest’ultima, è l’unica cosa sensata che si possa dire sull’argomento.
Amazon Go non è infatti privo di supervisione: l’intero luogo è controllato da centinaia di telecamere posizionate ad hoc all’interno del punto vendita e gestite da un’intelligenza artificiale. Il loro compito non è però legato alla sicurezza, bensì monitorano la movimentazione dei prodotti sugli scaffali. Avete adocchiato un’invitante porzione di New York Cheesecake con topping alla fragola? Una volta che la prenderete il sistema rileverà la cosa mettendola sul vostro conto. Anche se per caso vi ricordaste della vostra promessa di fine anno di cominciare quella benedetta dieta, però, potrete tranquillamente posare il vostro dolce e l’IA rimetterà automaticamente in esposizione il prodotto, togliendolo dal vostro carrello virtuale.
Se a questa equazione aggiungete il fatto che tutto si muove attraverso un’app dedicata e collegata al vostro account Amazon, potete cominciare a tirare le vostre somme e il risultato è sì, tutta una grande ricerca di mercato e di analisi del consumatore. L’intero esperimento è un vero e proprio brainstorming non dissimile da quelli visti su Mad Men, dove si testa la propensione di un consumatore di fronte ad un nuovo prodotto o, in questo caso, idea. Parliamoci chiaro, se siete videogiocatori dovreste ormai essere abituati al fatto che spesso le case produttrici utilizzino il consumatore come beta tester e che, ai nostri tempi (vi parla un quasi trentenne), quando usciva un gioco non c’era bisogno di attendere patch correttive per errori e problemi: funzionava tutto e basta. Ciò avviene anche perché è ormai d’uso comune preordinare giochi sui quali a volte non si sa nulla, dando per scontato un livello qualitativo spesso disatteso e, per quanto possa essere brutto e diretto come pensiero, è anche e soprattutto colpa nostra.
Una volta esisteva il baratto: mi dai due pecore e in cambio hai una mucca. Poi è arrivato il denaro, le banche, il WWW e adesso i negozi senza personale. Ha senso, se ci pensate, ma qualcosa vi dice che il meccanismo non va dove vorreste voi e comunque finite per ignorare questo segnalino d’allarme. Sì perché nel momento in cui decidete di entrare in un supermercato alle 3 di notte, non fate altro che dare ragione ad aziende che si allineano alla concorrenza. Quando una nota catena di videogiochi valuta i vostri titoli due lire e voi glieli lasciate in permuta, non è l’azienda ad essere cattiva, semmai siete voi ad essere un po’ scemi.
Feuerbach nell’800 diceva che siamo quello che mangiamo, ed io invece dico che siamo il modo in cui consumiamo: infiliamo nel calderone anche Elle Darby, influencer inglese che ha proposto una collaborazione ad un hotel e quest’ultimo ha deciso di “sputtanare” la ragazza su Facebook. Vi immagino perplessi, eppure è il mondo che abbiamo creato attraverso le nostre ricerche su Google, attraverso gli hashtag alla moda che usiamo per diventare virali su Instagram (a proposito, seguitemi!) e con i video che scegliamo di vedere e condividere su YouTube. La visibilità ormai paga e non possiamo inorridire di fronte ai tempi che cambiano e che assecondano il nostro modo di fare.
E poi Amazon Go ha comunque il suo personale all’interno: quelli che una volta erano cassieri diventano assistenti alla vendita, incaricati magari di tenere tutto in ordine e di controllare i documenti nel caso in cui un minorenne decidesse di prendere una bottiglia di whiskey tutta per sé. Il concetto di base è che la tecnologia non farà comunque sparire il lavoro umano, così come la digitalizzazione non ha fatto sparire la carta negli uffici, semplicemente se ne consuma di meno ma meglio (o almeno così dovrebbe essere). Per un benzinaio che non ha più lavoro in virtù del self-service, si aprono nuovi sbocchi lavorativi ma soprattutto lavori qualificati: la tecnologia sta offrendo a molte persone la possibilità di reinventarsi, il che non può che essere considerato un bene con i tempi che viviamo.
Amazon GO è solo la punta dell’iceberg della rivoluzione smart che stiamo vivendo, ma il suo impatto va ancora verificato a dovere. Di certo, se l’obiettivo primario era quello di ridurre le code, siamo ancora lontani dalla quadratura del cerchio quindi, nel frattempo, facciamo un passo indietro e ragioniamo sulle cause, piuttosto che sulle conseguenze.