Di recente, in Marvel, sembra che la quiete sia fuori questione. Come avrete probabilmente notato, se avete letto anche con blanda continuità qualche fumetto della Casa delle Idee negli ultimi anni, è da un po’ in uso la pratica di sostituire o affiancare al roster nutritissimo di eroi tradizionali, dei personaggi nuovi (o vecchi personaggi, in nuove vesti). Miles Morales che sostituisce Peter Parker come Spider-man nell’Universo Ultimate, e ora lo affianca nel nuovo Universo unificato. Jane Foster che diventa la nuova Thor dopo che il figlio di Odino si è dimostrato indegno di maneggiare il martello. Sam Wilson che prende il manto di Captain America dopo che a Steve Rogers è stato prelevato il siero del super-soldato (che ora ha recuperato, ringiovanendo, ma a caro prezzo). La nuovissima Ms. Marvel, il nuovissimo Ghost Rider, la nuovissima Wolverine, il nuovissimo e “fichissimo” (almeno secondo il titolo della testata) Hulk, la nuovissima Iron “Man” e così via. Ma qual è il punto?
La diversità. Ognuno di queste nuove leve fa parte di una minoranza culturale e/o etnica o è cambiato di genere rispetto al cosiddetto eroe originale, impossibile non notarlo. Tale fenomeno, ovviamente, è frutto di una scelta precisa da parte di Marvel, operata allo scopo di favorire la più ampia gamma possibile di valori e storie offerti dai propri fumetti. Non si tratta, almeno a nostro parere, di una mera questione di “immedesimazione garantita per tutti”, quanto di normalizzare la variazione del medium. Anche perché non importa quanto siamo diversi da un personaggio, se la narrazione è buona entreremo in empatia con gli elementi che abbiamo in comune con lui, fossero anche pochissimi, noncuranti di tutto il resto.
Eppure la cosa, in maniera sia naturale che forzata, ha scatenato qui e là nel tempo varie riflessioni e persino polemiche. Alcuni hanno tacciato la linea marveliana di opportunismo economico, altri non hanno gradito proprio la sua natura “politica”. Il punto è che, a dirla tutta, qualsiasi storia contiene in sé un valore politico in senso lato, l’importante è che tale valore non sia mai imposto e inviti piuttosto a una riflessione. Non è un’asserzione, ma una domanda, che ogni lettore risponde a modo proprio.
Si è ipotizzato, comunque, che un’eccessiva operazione di diversificazione potesse alienare i lettori, chiunque essi fossero. C0sì come una completa assenza di diversità in un medium destinato potenzialmente a tutti può risultare alienante, anche un suo eccesso, all’opposto, può fare altrettanto, dove se ne percepisca la forzatura. Ma dove sta il confine del “troppo”? La domanda è priva di risposte universali, pertanto anche la questione da essa derivante se ne rimane lì, sospesa, declinata di volta in volta soggettivamente, da una parte o dall’altra.
Ma le nuvole della tempesta marveliana (no, non parliamo della nota X-Man, ehr…) si addensano notevolmente quando a dire la sua è Axel Alonso, Editor In Chief della Casa delle Idee. Proprio nei giorni scorsi Alonso ha, supponiamo involontariamente, scatenato una polemica proprio attorno alla diversità dei supereroi Marvel, negando che con questi si volesse fare politica e ribadendo che la sola cosa importante, da tenere a mente specialmente nel prossimo futuro, fosse raccontare storie interessanti, che la gente desideri leggere.
A simili affermazioni si è però associata un’analisi commerciale che sottolinea il recente calo di vendite dei fumetti in questione nonché l’arrivo, ormai prossimo, della storia-evento Generations, che ripromette di riportare in primo piano molti degli eroi tradizionali ultimamente passati in secondo piano. A questo punto, le affermazioni di Alonso (nel mirino delle polemiche anche per aver sostenuto un maggiore riscontro nelle vendite degli sceneggiatori rispetto ai disegnatori) sono state viste come un passo indietro nella succitata e sempre virgolettata “politica” marveliana sulla diversità dei supereroi.
Possibile che il calo di vendite sia dovuto a una disaffezione diffusa verso i troppi nuovi eroi? Che non sia dovuto a questioni sempreverdi di qualità? La comunità di rivenditori e lettori (molto meno quella degli artisti) si è spaccata puntualmente in due. Si è ecceduto nell’accelerare su valori quali inclusività e diversità a livello troppo superficiale, causando paradossalmente un difetto di immedesimazione nei contenuti? E, soprattutto, è giusto formare un’opinione sulla questione in base a dati di vendita e di mercato?
Quel che possiamo dirvi, oltre ogni dubbio e parere personale, è che la Marvel ha attirato su di sé una buona dose di pubblicità negativa attorno alla questione, che tocca d’altronde temi extra-delicati dal punto di vista artistico, come politica e sociologia. Assurdo che tale bufera, invece di placarsi, fosse poi destinata a rinvigorirsi, pur casualmente, attraverso un altro piccolo grande incidente.
Negli ultimi giorni è scoppiato un altro “caso”, quello di Ardian Syaf e X-Men: Gold, testata disegnata da quest’ultimo e sceneggiata da Marc Guggenheim. Syaf ha inserito, nel primo numero, dei riferimenti numerici a date e versetti del Corano che alludono a messaggi antisemiti e anticristiani: un versetto del Corano, simboleggiato dalla sigla QS 5:51 sulla maglietta del Ciclope che gioca a baseball (nell’immagine di copertina dell’articolo), e il 212 sullo sfondo della vignetta sottostante, che si rifà al 2 dicembre dell’anno scorso, data di una marcia (e ripetuta peraltro il 21 febbraio di quest’anno) per chiedere l’incarcerazione come bestemmiatore del governatore cristiano di Jakarta, per l’uso fatto del Corano. Il versetto di cui sopra è stato, come testimoniato anche da G. Willow Wilson, acclamata autrice di fumetti e penna dietro la nuova e succitata Ms. Marvel, tradotto nel tempo con svariate interpretazioni e non tutte ugualmente corrette. Quella attribuita al riferimento di Syaf, comunque, è una di quelle più errate, ovvero “I Musulmani non dovrebbero scegliere cristiani o ebrei come i loro leader“, motivo per cui Wilson si schiera ovviamente contro il gesto dell’artista, insieme alla stragrande maggioranza della comunità artistica e non.
La Marvel ci ha subito tenuto a ribadire come tali riferimenti non riflettessero il punto di vista dell’autore né della casa editrice, e che anzi andassero contro lo spirito stesso alla base degli X-Men (Kitty Pryde stessa, che compare nella vignetta incriminata impegnata a parlare ad una folla, ha origini ebraiche). Questo spirito, ancora una volta, è l’inclusività. Non sorprende quindi che appena poche ore dopo, Ardian Syaf sia stato licenziato in tronco. I riferimenti numerici spariranno dalle successive ristampe del fumetto, e l’artista sarà sostituito quanto prima sulla testata (logicamente i suoi disegni rimarranno sugli albi immediatamente seguenti, poiché già andati in stampa).
Qual è la lezione da imparare in tutto questo? L’iniziativa di Syaf è un esempio di ciò che, poco sopra, dicevamo essere a tutti gli effetti un’intrusione politica in un medium artistico. Non perché il medium, in sé, non abbia altrimenti valore politico, ma perché quel valore non è mai qualcosa di imposto unilateralmente, senza invitare alla riflessione. Il gesto è stato pertanto causa di gravi conseguenze, per l’artista stesso, ed ha costituito, inutile girarci attorno, un altro scossone alla “quiete” marveliana, ormai lontano ricordo. Forse, invece di barcamenarsi tra una polemica e l’altra, che puntualmente oltre all’Editor In Chief coinvolge anche tutti quelli che lavorano o gravitano nel settore (da disegnatori a sceneggiatori a rivenditori, fino a opinionisti e consumatori), converrebbe riassestarsi un secondo, forse confermando con convinzione la propria vecchia politica, forse no, ma restituendo un’immagine di maggiore unità e compartecipazione.
Cosa succederà alle vendite e se la polemica iniziata da Alonso porterà effettivamente a qualcosa è difficile da dire. Come già anticipato, non si può stabilire quando la diversità promossa sia troppa o troppo forzata per ognuno di noi se non, anche, provando e sperimentando. Certo è che, in ultima istanza, il discorso più oggettivamente condivisibile è quello della qualità. Dove la qualità di una storia è presente, non importa chi sia il suo protagonista, visto che lo diventiamo tutti. In poche parole, la controversia, una volta slegata dai suoi legacci commerciali ed economici, è di così difficile risoluzione perché, probabilmente, non dovrebbe proprio sussistere in primo luogo. Cosa importa chi veste il manto, chi impugna il martello, chi diventa verde? Noi non abbiamo superpoteri, al di là della nostra umanità, ed è con l’umanità degli eroi che ci immedesimeremo sempre.