La silenziosa marcia di PlayStation VR verso il consenso universale dei giocatori
Forse la conferenza della Paris Games Week non è stata così sorprendente come i più ottimisti di noi potevano sperare. Nuovi intriganti trailer ci hanno mostrato la bontà dei progetti principali in corso, ma diciamo pure l’onesta verità: niente che non potevamo aspettarci. Ho notato però qualcosa di molto significativo nell’evento, ovvero l’enorme peso dato ai titoli per Playstation VR, soprattutto nella fase pre-show. La conferma di un trend che si poteva cominciare ad intuire, ma che sempre di più trova riscontro in queste occasioni di grossa risonanza mediatica.
PlayStation VR è ufficialmente la periferica che afferra la Realtà Virtuale per toglierla finalmente da quello stallo in cui ristagnava da diverso tempo, e che teneva questa tecnologia in bilico tra lo sbocciare e il fallimento. C’è voluta Sony per questo, che mettesse in atto la più banale delle strategie commerciali per permettere “il miracolo”: occuparsi dell’hardware ma produrre e promuovere adeguatamente anche il software dedicato. HTC Vive e Oculus Rift per quanto molto più performanti di PlayStation VR, non hanno avuto la fortuna di aver rivolte nemmeno la metà di queste attenzioni. Perché la VR per quanto sia una rivoluzione potente e sorprendente del media, rimane ancora troppo straniante nel senso comune con cui si intendono i videogiochi ed è un concetto che ha bisogno di insinuarsi nella familiarità del giocatore delicatamente, e con molto supporto. Il supporto di una base già installata di decine di milioni di console, il supporto di un ottima strategia imprenditoriale, che ha ben ponderato il miglior compromesso tra componentistica e prezzo, e come detto, il supporto del fattore più importante di tutti: una campagna di sviluppo del brand PS VR basata sui giochi. Dopo i primi mesi dal debutto della periferica un po’ freddini, c’è stata una grande rimonta commerciale dovuta ad una inaspettata versatilità della console.
Resident Evil 7 è stato abbastanza determinante nel cambiare la percezione della periferica, affidandosi a quello che quasi sicuramente è il genere che più può beneficiare della VR, ovvero l’horror. Il nuovo titolo Capcom e il caschetto di Sony vivono infatti di un rapporto quasi simbiotico, in cui uno deve per forza servirsi dell’altro per valorizzarsi al massimo. Nonostante questo, la fortuna di PlayStation VR non sono stati canonici titoli tripla A, ma paradossalmente, la tecnologia più avanguardista del settore è diventata la fucina di mille concept sperimentali, la culla di tutta una nuova leva di sviluppatori indie che potessero fornire esperienze nuove e spesso a basso prezzo. Scelte necessarie, per sorvolare e dribblare tanti limiti della VR che ancora non permettono di creare esperienze complesse a tutto tondo molto facilmente, che però in qualche modo hanno pagato, portando la ludoteca di PS VR ad essere ormai ben più che una serie di titoli senza sostanza e puro esercizio di stile per stupire a buon mercato il giocatore; è invece diventata quasi un’evoluzione di formule di gioco old-school più arcade, come lo dimostrano titoli come Super Hot, Until Dawn: Rush of Blood, o lo stesso Farpoint, molto più vicino ai classici sparatutto su binari con light gun che ad un tipico fps. Insomma, piano piano, prendendo i giocatori per mano, evitando strategicamente di spingersi prematuramente verso lidi non consoni all’acerba tecnologia, Sony è riuscita a vendere ad oggi circa 10 milioni di esperienze per VR. Nel loro piccolo (o “meno piccolo”) tutte fatte e finite, pronte all’uso. Al contempo, ha resuscitato e dato un nuovo scopo a periferiche morenti come i Move e la PS camera.
Davanti a PlayStation VR non può che prospettarsi un futuro sicuramente roseo. Il fatto che Sony abbia messo sul mercato una nuova versione del device la dice lunga sullo stato di salute di quest’ultimo. No signori, a questo punto PS VR non sarà mai una “nuova PS Vita”, se ne andiamo a confrontare le sorti commerciali. Basta tornare un po’ al principio del discorso, e analizzare il modo in cui oggi Sony tratta PlayStation VR, ovvero dedicandogli uno spazio importante nelle sue conferenze sempre piuttosto asciutte e prive di chiacchiere inutili. Titoli come Megalith, Bow to blood, Moss, Blood & Truth e Star Child appaiono ancora enigmatici nel loro gameplay ma sicuramente dimostrano la volontà di provare a fare un nuovo passo avanti con questa seconda generazione di videogiochi, e spingere ancora di più i limiti dell’hardware di PS VR. Limiti che a livello strutturale molto difficilmente riescono ancora a conciliare gameplay frenetico ed esplorazione, ritrovandosi a separare in maniera netta progetti più contemplativi, narrativi ed esplorativi come può essere un The Solus Project o, ci scommetto, potenzialmente un Impatient, prossimo gioco di Supermassive Games, da altri titoli come detto prima estremamente “giocosi”, Rush of blood, Super Hot, Sunshine Arizona ecc.
Unire definitivamente queste due nature del videogioco contemporaneo, non è affatto facile, bisogna fare i conti con: interfaccia di movimento, pluricitati limiti hardware, problematicità relative alla risposta “umana” nell’utilizzo del visore, non costruito per permettere sessioni di gioco lunghe senza stancare o disturbare eccessivamente la vista (per quanto il sottoscritto, molto raramente ha di questi problemi). I paletti nello sviluppo su VR sono impliciti ma spesso numerosi quanto le potenzialità. Inoltre, è altrettanto importante constatare come la realtà virtuale sia un surplus all’esperienza ludica non così facilmente applicabile con efficienza a giochi non in prima persona (piuttosto banalmente, il miglior modo per favorire l’immersione nell’esperienza, che fa parte dello scopo concettuale per cui nasce la realtà virtuale). Esperimenti come Theseus e Bound infatti risultano molto meno di impatto rispetto al già citato Resident Evil 7.
Forse non vedremo in questa generazione di console e di dispositivi un approccio a 360 gradi delle potenzialità della VR. Ma questo discorso esula da quantità e qualità, visto che i nuovi progetti in cantiere non sono poi così pochi né quelli già sul mercato così scadenti, laddove la parola “compromesso” e “fiducia nelle potenzialità” risultano per ora gli ingredienti perfetti per piazzare PlayStation VR nel mercato con ottimi e verosimili risultati.
La Realtà Virtuale evidentemente non accetta che si brucino le tappe e PlayStation VR si sta dimostrando l’entry level perfetto per questa tecnologia non solo per l’utenza, ma anche per l’industria e per i creativi, che possono sperimentare, osare ed evolversi in una frangia del settore tutto sommato ancora neonata, con la consapevolezza di poter contare su uno spettro di potenziali fruitori sempre più grande e un collocamento commerciale che può usufruire di una ampia fascia di prezzo, favorendo l’”abbordabilità” di ogni titolo in relazione ai propri valori produttivi.
Inesorabile e in punta di piedi, il più piccolo e modesto dei visori dedicati alla VR pare spianare veramente la strada a questa tecnologia per la prima volta. Ora non ci resta che sperare continui così senza inciampare.