“Ciascuno deve impostare la propria strategia di vita sul presupposto dell’ostilità altrui”
All’anagrafe Ėduard Veniaminovič Savenko, divenuto famoso come Eduard Limonov in onore della limonka, la bomba a mano poi riproposta anche nel suo secondo movimento L’Altra Russia, è stato tutto, sempre all’opposto, corrosivo, distruttivo. Letale tanto con la penna, quanto con un AK-47 tra le mani. Un uomo che si è fatto amare follemente e odiare strenuamente, tanto da venir scolpito nella memoria grazie anche a Emmanuel Carrère, uno dei più importanti saggisti, scrittori e sceneggiatori viventi, che nella sua omonima biografia l’ha descritto dicendo: “Ho pensato che la sua vita romanzesca e spericolata raccontasse qualcosa, non solamente di lui, Limonov, non solamente della Russia, ma della storia di noi tutti dopo la fine della Seconda guerra mondiale”.
Fascista, comunista, punk, letterato, barbone, guerrigliero. Eduard Limonov è stato tutto questo e di più.
Influenzato, sul piano artistico e filosofico, da Yukio Mishima, Hegel e Julius Evola, e con idoli politici come Lenin, Che Guevara, Lao Tzu, Mussolini e Rosa Luxemburg.
In apparenza potrebbe sembrare un grosso calderone provocatorio, atto a far storcere il naso dei più fini intellettuali, e a far ingrossare la vena dei borghesi che infestavano le pagine dei giornali ieri, e i salotti televisivi oggi, ma non è così.
Limonov ha preso da tutti un po’, ha provocato è vero, tanto da iniziare a scrivere, durante il suo continuo peregrinare lontano dalla tanto odiata Unione Sovietica, per la rivista francese L’idiot International, il nonno di Charlie Hebdo, sino ad arrivare a un movimento che va oltre l’utopia. Basandosi sulle teorie socio politiche volte alla creazione di una nazione sovrana euroasiatica con la Russia a farne da padrona, ha dato origine all’NBP (Partito Nazional Bolscevico) assieme ad Aleksandr Dugin, altra figura vulcanica del panorama politico internazionale.
Con Dugin più orientato ad una visione fascista e Eduard Limonov più ad una comunista, l’NBP è diventato uno dei fenomeni politici più affascinanti del secolo. La quintessenza dell’ideologia rosso-bruna (termine che, in questo caso, prende una connotazione reale e tangibile).
Ma come è arrivato Eduard a fondare questo movimento politico nel 1993, per poi essere dichiarato fuorilegge?
Con il padre membro dell’ NKVD, il giovane Ėduard cresce tra le strade di Charkiv, in Ucraina, e tra diversi crimini, riesce a trovare la pace solamente attraverso la poesia. La sua vena artistica lo porta, momentaneamente, a Mosca, dove trova linfa vitale, ma anche uno scontro con il regime, costringendolo a fuggire negli Stati Uniti nel 1975. A New York, terra di opportunità, la vita del giovane letterato prende un’insospettabile e beffarda piega, tanto da mettere in dubbio la teoria secondo la quale Dio non gioca a dadi.
Si lascia con il suo grande amore, Tanja, inizia a vagabondare, fino a diventare il maggiordomo di un ricco imprenditore statunitense.
Un’esperienza che, seppur in maniera del tutto improbabile, lo forma ancora di più, temprando quell’animo magmatico rivestito di acciaio. Poco dopo, infatti, riesce a pubblicare due suoi romanzi, il primo dal titolo “Ja Edicka“, divenuto famoso anche come “Il poeta russo preferisce i grandi negri”, e il secondo “Diario di un fallito”. Il primo, come si evince dal titolo, fu un testo scandaloso, formato dagli ambienti avanguardisti e punk americani e plasmato anche da alcune esperienze amorose omosessuali volte unicamente a ritrovare un’espressività edonistica sopita, sino a dichiarare la propria aperta bisessualità. Il secondo rappresentava tutta la rabbia di un bohémien soldato, incapace di vivere in una realtà stretta come la società dell’epoca, seppur, probabilmente, persino l’oceano l’avrebbe fatto sentire rinchiuso.
L’ambiente americano risulta troppo stantio per il suo ultradinamismo ed è così che fugge nuovamente, beffandosi del destino, in Francia, dove lo ritroviamo, come già detto, a collaborare con ambienti dissacranti, provocatori, adatti al suo stile e alle sue ideologie politiche fluide ed impossibili da etichettare, ma anche con realtà più autorevoli, come L’Humanité (affiliato al partito comunista francese) o gli estremisti di destra de Le Choc Du Mois. L’esplosività di Eduard Limonov rinasce negli ambienti parigini dove “si cominciava a bere vodka alle dieci del mattino”. Scrive, produce, pubblica, provoca costantemente la società “per bene” diventando lo scrittore russo più tradotto in Europa.
“Il socialismo integrale non è un attacco a determinate storture del capitalismo ma alla realtà stessa”
Il richiamo della madre patria è forte però, nonostante all’epoca fosse apolide.
Nel 1989 torna in Russia e studia un paese nel pieno della perestrojka; il caos, la conflittualità politica e sociale lo affascinano. Gli ambienti decadenti pronti a risorgere dalle proprie ceneri lo formano, lo plasmano, come afferma nella sua opera del 2002, Libro dell’acqua :”Di persona ne ho viste parecchie di città bombardate e crivellate: c’è in loro una qualche grandezza, un’estrema saggezza. Erano belle le città malate, la New York degli anni Settanta, la Parigi dei primi anni Ottanta. La cosa più disgustosa è una città in piena salute, che trabocca grasso e merda. È questo l’effetto che mi ha fatto New York nel 1990”.
La realtà russa è pronta per il suo partito, ma non prima di aver fatto ulteriormente le ossa nel conflitto balcanico, dove scende in strada a combattere per Milosevic prima e Arkan dopo (senza mai scendere al fianco di quest’ultimo).
Tornato in patria fonda l’NBP, il cui simbolo è l’unione della bandiera comunista e dei colori ultranazionalisti, si schiera contro il governo, odia il retaggio filo URSS e l’apertura verso l’Occidente malato che andava ripudiato. Eduard Limonov vuole il conflitto, vuole ridestare il popolo russo dal suo torpore, dal suo totale asservimento alla Patria. Vuole creare un socialismo nazionalista nuovo, senza appoggiare né il comunismo, né il fascismo. Una creatura meticcia interamente russa, nata sulle ceneri delle ideologie leniniane, ma perseguita da un animo dannunziano. Il sogno però svanisce, perché il partito diventa fuorilegge e Eduard viene incarcerato dal 2001 al 2003 per terrorismo e atti sovversivi contro la nazione (famose furono le sue posizioni contro Putin). Il carcere tuttavia è per lui, come detto da Carrère prima e riportato da Arrigo dopo, “accogliente come il convento per un monaco. I tre appelli quotidiani erano le sue funzioni, la meditazione la sua preghiera, e il cielo, una volta, si è aperto per lui […] una liberazione autentica, eterna”.
Un uomo odiato da molti e amato da altrettanti, alla ricerca costante di un avversario da sfidare nei più disparati terreni di lotta. All’età di 77 anni il suo viaggio si è fermato, ma non la sua voglia di guerriglia, perché state pur certi che l’ animo incandescente di Eduard Limonov, capace di ardere anche nel gelo siberiano, non si spegnerà mai. La morte, per uomini come lui, è solamente l’inizio.