El practicante: su Netflix arriva dalla Spagna un nuovo thriller che parla di vendetta, ma il risultato non esalta
Dal 16 settembre nel catalogo Netflix c’è un nuovo thriller proveniente dalla Spagna, per la direzione di Carles Torras: El practicante (The paramedic), e già dalle prime battute è piuttosto chiaro dove il regista catalano voglia andare a parare.
Angel (Mario Casas) è un paramedico che lavora sulle ambulanze e vive insieme alla sua compagna Vane (Déborah François), un’aspirante veterinaria. La situazione economica della coppia non è delle migliori e Angel prova a sbarcare il lunario “aiutandosi” con piccoli illeciti, rubacchiando qua e là oggetti di valore alle vittime che è chiamato a soccorrere. Questo ci lascia intuire molto della personalità dell’uomo, a cui aggiungiamo un comportamento da subito paranoico e un atteggiamento in parte aggressivo, o comunque passivo-aggressivo, verso Vane e poco tollerante verso l’anziano vicino di casa e più in generale verso il prossimo.
La situazione ovviamente precipita quando, a causa di un terribile incidente con l’ambulanza, Angel finisce sulla sedia a rotelle, paralizzato dalla vita in giù.
Ossessione e vendetta
La gelosia del protagonista si trasforma in vera ossessione, così come le intolleranze verso il vicino e il suo cane che abbaia continuamente mutano in odio. Tutti gli aspetti negativi di Angel, fino a quel momento sopiti o tenuti sotto controllo, finiscono in sostanza per esplodere, e quando Vane decide di lasciarlo darà il via a una serie di dissennate ma lucide azioni con lo scopo di riprendersela, ma soprattutto ottenere vendetta.
In questo thriller psicologico è perfetta la scelta di Mario Casas nei panni del protagonista, e per gli utenti Netflix si tratta di una conoscenza ormai consolidata, dopo film come Contratiempo o il più recente Dov’è la tua casa. Il suo ruolo qui però è diverso da entrambe le pellicole citate e la sua performance è senza dubbio tra gli aspetti più riusciti di El practicante, abile a lavorare con lo sguardo e con le espressioni, abbinando a tutto ciò comportamenti subdoli che prefiguravano un’indole passivo-aggressiva già prima dell’incidente. Carles Torres punta molto su questi dettagli, perché vuole mostrare che l’animo oscuro del suo protagonista prescinde dalle nuove condizioni e si accende e deflagra in seguito soltanto perché non vuole stare solo e non accetta di perdere la sua compagna.
Cliché e poco più
Delle discrete basi, quindi, a cui purtroppo fa seguito una seconda parte del film non all’altezza. Torres esplora la vendetta del suo protagonista, ma paradossalmente è proprio qui che El practicante perde la sua intensità, assumendo risvolti visti e rivisti centinaia di volte e perdendosi tra cliché e personaggi piatti e incredibilmente ingenui con i quali non riusciamo nemmeno a empatizzare, e che con i loro atteggiamenti folli ci strappano perfino un sorriso, mentre non fanno altro che aiutare Angel nel suo diabolico piano.
Quasi tutto il film si svolge all’interno delle mura domestiche o comunque in spazi chiusi, ma fallisce il tentativo di dare un’atmosfera angusta e claustrofobica a El practicante, anche per la mancanza di elementi secondari che ne supportino la tensione, come ad esempio musiche in grado di donare quelle sensazioni di soffocante oppressione fondamentali in opere del genere.
Non c’è poi molto, in sostanza da salvare in un film mediocre di cui riusciamo a prevedere quasi ogni passaggio e che purtroppo – come detto – al netto di una prima parte più stimolante, che ci lascia scoprire la natura infida del protagonista, perde tutto il suo vigore in quello che dovrebbe essere il piatto forte, ovvero la vendetta.
El practicante non ci impressiona e non ci entusiasma, e va a infoltire ulteriormente il catalogo Netflix con l’ennesimo dimenticabile thriller. Magari meno peggio di altri, ma di certo ugualmente trascurabile e di cui senza dubbio avremmo fatto a meno senza grossi problemi.