Elden Ring non rivoluziona un bel niente nel genere Open World, ma chi lo ha detto che sia un difetto?
apete cosa ho scoperto dopo 300 ore passate su Elden Ring? Che si tratta di un gioco stratosferico, voi direte… E in effetti lo è, ma c’è qualcosa che lo rende anche più speciale di così. L’eccellenza del titolo raggiunge livelli tali per i quali tutti parlano di quanto sia bello da giocare, da guardare, da studiare, di quale mole contenutistica senza precedenti proponga. Argomentazioni più che valide che tuttavia vanno ad “insabbiare” totalmente il fatto che sì, Elden Ring è un titolo open world esattamente “come tutti gli altri”. La prima cosa che voglio precisare è che NON si tratta di una connotazione negativa, né preclude alcun potenziale di unicità al titolo di FromSoftware, tuttavia è un dato di fatto. Elden Ring infatti non si emancipa da una struttura formulare fatta di istanze che si ripetono. Pensandoci bene infatti, i pattern riconoscibili nelle dinamiche esplorative dell’avventura non sono pochi: abbiamo le catacombe, le caverne, le miniere, le torri magiche, le torri Divine, gli alberi minori con gli Avatar da sconfiggere, le gallerie Eterne, le chiese di Marika, ecc.
Addirittura svariati incontri/scontri con una tipologia di nemico specifico si perpetuano dall’inizio alla fine senza particolari plot twist delle dinamiche che li innescano, e parlo dei vari cavalieri notturni, degli uccelli della morte, dei cacciatori di globi cinerei. Dulcis in fundo, non possiamo negare che esiste anche un certo riciclo di mob e boss, più che evidente dalla seconda metà del gioco. Insomma, diciamoci la verità, Elden Ring, allunga il brodo con gli stessi metodi di qualunque altro open world. E allora quale è la differenza che lo eleva a quel grado di magnificenza che gli si riconosce e che io per primo -nonostante queste mie poco lusinghiere premesse- gli attribuisco? È in realtà molto semplice: Elden Ring è un open world intelligente, laddove ogni reiterazione sistemica di dinamiche e meccaniche, rafforza e impreziosisce il vero core ludico dell’opera, non come fanno molti altri titoli che invece usano la scusa della “libertà” come specchietto per le allodole in modo da nascondere una sostanza interattiva di poco conto.
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Cosa voglio dire con questo? Che esplorare in Elden Ring è sempre funzionale ai 2 macro obiettivi che tengono salde le fondamenta del gioco: combattere e scoprire la lore. Perché siamo sinceri, questo fa Elden Ring: ci svela una bellissima storia mentre ci fa massacrare ogni cosa si muova nell’Interregno. Non è poco se si considera la complessità incredibile in cui si articolano queste due componenti. Ma non sono qui per recensire il gioco, lo abbiamo già fatto sul nostro sito, quello che mi preme puntualizzare è la mia prospettiva sula grandezza del lavoro di FromSoftware, che non si basa su nulla di miracoloso o mai visto prima. Hanno “semplicemente” realizzato uno degli open world più belli degli ultimi anni. Il sistema di combattimento, l’archeologia narrativa, queste cose sono realizzate in maniera grandiosa in Elden Ring e NON la struttura di progressione, che intendiamoci, si evolve ora dopo ora, area dopo area, sulle rocciose basi dello strabiliante level design tipico di Miyazaki, che di certo è un valore aggiunto incredibile. Ma siccome questa struttura è comunque fatta di attività principale (legacy dungeon) incorniciate da una serie puntuale e prevedibile di eventi “sempre uguali a se stessi” per ognuna delle singole macro location, potremmo chiederci: perché il 90% dei giochi che seguono la stessa formula rompe le scatole dopo 60 ore, e invece Elden Ring rimane fresco come una rosa anche dopo 300? Semplicemente perché la ricompensa per ognuno di questi eventi, anche il più ripetitivo è SEMPRE un oggetto unico e importante per perseguire i 2 obiettivi mantra citati prima.
Che sia la fine dell’esplorazione di un castello secondario, di una catacomba, o la vittoria in un incontro notturno, casuale ma ciclico, avremmo sempre come premio qualcosa che a prescindere dalla sua natura (arma, cenere, stregoneria, talismano, ecc.) avrà una reale utilità sia nel gameplay, fornendovi uno stimolo a sperimentare, variare, ottimizzare il vostro combat style, sia nel fornire un incentivo a speculare, ragionare, inserire un nuovo tassello nel complesso arazzo narrativo che compone il vasto background di Elden Ring. La fuffa non esiste. O meglio, è relegata al crafting, che il gioco molto sapientemente infatti tiene ai margini estremi delle meccaniche ludiche: esiste ma se lo ignorate non vi cambia nulla, in buona sostanza.
Per il resto Elden Ring non fa nient’altro che usare lo stesso sistema dei suoi giochi precedenti che per astuzia o per fortuna, funziona benissimo inserito in un open world. In quanti altri titoli aperti le sub quest fanno venire il latte alle ginocchia non solo perché sono scarsamente divertenti ma anche perché la voglia di completismo è l’unica cosa che ci spinge a portarle a termine, con la consapevolezza che quella manciata di EXP in più come ricompensa non ci farà alcuna differenza? Miyazaki ha sviluppato l’esplorazione dell’Interregno senza infilare questa roba, ma ben conscio che i suoi mondi continuano a raccontarsi sempre, anche in quelle sezioni che pare non abbiano nulla da dire di nuovo. I giocatori questo vogliono e questo ricevono anche quando si decide di alzare l’asticella in termini di vastità ambientale.
Non c’è pentimento a portare a termine la ventesima catacomba, perché quello che vi aspetta alla fine dell’ennesimo tunnel è comunque qualcosa che vorrete possedere. Che sia per la storia o per il gameplay, ci starete dentro con tutte le scarpe nel mondo che si sviluppa intorno all’albero ancestrale. Se sembra un motivo banale, va detto che non tutti i giochi si possono permettere questo. Se non crei un gameplay e una storia in cui nuovi elementi con cui giocare sono veramente qualcosa di stimolante, l’incentivo non sussiste.
Furbizia e genialità senza sovvertire le regole del genere. Potremmo citare mille motivi per cui Elden Ring fa quello che fa meglio della concorrenza; come infilare level design di alto rango dentro un genere in cui è solitamente inesistente; come creare una varietà estetica e paesaggistica senza precedenti, in cui gli asset ripetuti sono solo appannaggio della sua sfera da dungeon crawler; come fornire una varietà di mob e boss che sfiora i 150 modelli completamente diversi quando normalmente un open world medio arriva con fatica 30 o 40, alla faccia di chi si lamenta del riciclo dei nemici (ma lo sapete che i videogiochi sono fatti da esseri umani? Si?). Insomma potremmo dirne tante, e avremmo sempre ragione, ma la verità è che la cosa veramente importante che fa Elden Ring è una e una sola: dà uno scopo concreto al nostro tempo, sempre, a prescindere da tutto. E non c’è niente di più prezioso e difficile che un open world possa offrire.