The Elder Scrolls Online dice addio al Cuore Oscuro di Skryrim con Markarth
Che in una delle annate più tetri della storia recente The Elder Scrolls Online ci abbia proposto un arco narrativo dalla tinte gotiche come il Cuore Oscuro di Skyrim è senza dubbio una coincidenza particolare. Già in Stonethorn abbiamo affrontato vampiri, licantropi, scienziati (pardon, alchimisti) pazzi, e ora questa parte della nostra storia sembra finalmente portarci alla degna conclusione, l’ultimo capitolo del Cuore Oscuro, destinata a essere l’anello di congiunzione tra l’oscurità passata e il futuro di The Elder Scrolls Online: Markarth.
Se questo nome non vi è nuovo probabilmente è perché siete giocatori di vecchia data della saga di The Elder Scrolls. Markarth, la città di Skyrim costruita sulle rovine naniche, era ed è ancora oggi una delle ambientazioni più affascinanti della lore di The Elder Scrolls. Il luogo dove Ulfric Manto della Tempesta ha posto le basi per la sua saga. Una città dove scorrono sangue e argento. Difficile immaginare un contesto più adatto per il trapasso dal vecchio al nuovo, dal sangue delle tinte horror all’argento del fantasy predominante nell’ambientazione.
Insomma, il ritorno in questa ambientazione di Skyrim, una delle meglio riuscite nella storia di The Elder Scrolls, ci appare azzeccato. E la sensazione di familiarità dovuta al nostro ritorno nel Reach non può che renderci felici. Nuove missioni, nuovi dungeon da esplorare, nuovi boss da sconfiggere che tuttavia ripropongono un bel momento del nostro passato videoludico. Ma siamo di fronte alla degna conclusione di ciò che è stato il Cuore Oscuro di Skyrim? Questa è una domanda più complessa a cui rispondere.
Perché gli addii sono difficili, indipendentemente dal contesto. E quelli videoludici non fanno eccezione. In un certo senso è da lodare l’astuzia della narrazione di questo finale del Cuore Oscuro. Markarth è un ritorno a casa. Ma tutto ciò che fa da corollario a questo ritorno potrebbe non essere apprezzato da tutti i giocatori.
Sul ghiaccio sottile
Quando si legge il terzo capitolo di una trilogia fantasy c’è un fatto da tenere in considerazione: il lettore, ormai, conosce a menadito l’ambientazione. Il sense of wonder, termine ormai affermatosi anche in Italia, scompare. E per lo scrittore nasce la sfida di riuscire a rendere interessante qualcosa di già visto. Questo succede anche in ambito videoludico. E, spiace dirlo, questo terzo capitolo del Cuore Oscuro di Skyrim ha tutti i problemi riscontrabili in un finale di trilogia.
Per il giocatore la sensazione è quella di essere di fronte a qualcosa di già visto. Le quest, i dungeon e i nemici affrontati, arrivati a questa conclusione, ci appaiono un po’ ripetitivi, volti noti che non costituiranno una sfida per i giocatori più forti e navigati, seppure con una grande eccezione di cui parleremo in seguito. Nasce quindi la difficoltà registrata in letteratura così come nei videogiochi: rendere piacevole qualcosa di molto (troppo) noto.
La scelta per sopperire a questo stato di cose non sembra essere tuttavia quella di bilanciare l’eccessiva familiarità del gioco con qualche novità. Anzi, l’esatto contrario. Zenimax e Bethesda aggiungono carico al carico, sfruttando al massimo un’ambientazione cara ai giocatori. Markarth è un po’ come una sterzata sul ghiaccio: frenare potrebbe essere dannoso, perciò è meglio accompagnare il movimento. Non è facile combattere la sensazione di aver già visto qualcosa. Ma si può comunque sfruttare la nostalgia del giocatori per un revival. E funziona. Funziona così bene che Markarth si rivela un’ottimo capitolo di The Elder Scrolls Online.
Giocare a Markarth vuol dire tornare a casa. Rivedere il Reach, affrontare di nuovo i Rinnegati e gli Hagraven, inoltrarsi di nuovo nelle città perdute dei nani e nelle profondità nascoste del Blackreach è esattamente il punto di forza di questa nuova espansione di The Elder Scrolls Online. Ed è in questo che l’ultimo capitolo del Cuore Oscuro mostra di assolvere bene il suo dovere, facendo tornare la storia a una dimensione più simile a quella delle espansioni precedenti Greymoor. Siamo tornati al fantasy. Siamo tornati alla “normalità”.
“Devi essere skillato così per entrare”
Se osserviamo bene la componente relativa al gameplay la situazione non sembra migliorare. Certo, qualche piccolo bilanciamento ci permetterà di avere una migliore esperienza di gioco. Inoltre avremo l’introduzione (o reintroduzione, se consideriamo anche la saga principale di The Elder Scrolls) dei portali, che diverranno parte fondamentale del percorso che ci porterà al boss finale di questo DLC.
Le quest che ci troveremo ad affrontare giacciono in una zona grigia. Convivono, da un lato, con le ottime ambientazioni del Reach e del Blackreach, davvero spettacolari e ben riuscite, in grado di rievocare alcune delle parti migliori di Skyrim. Dall’altro però abbiamo da affrontare un problema non da poco legato all’incapacità delle singole quest di brillare di luce propria. L’environment non sembra dare ai giocatori, specie a quelli più esperti, le emozioni che cercano. Almeno non nelle quest regolari.
A questo si aggiunge anche una certa insoddisfazione nelle ricompense che potremo ottenere. Markarth inserisce al suo interno sia set e oggetti capaci di far gola ai giocatori, che ninnoli di poco conto. Insomma, completare una quest finisce per essere una sorta di lotteria: otterremo un bell’oggetto di gioco, capace di non farci rimpiangere il tempo speso in un dungeon nanico, oppure avremo tra le mani qualcosa che finirà per essere solo uno spreco di spazio per l’inventario? Un deterrente non da poco, che spesso ci farà pensare che il gioco (letteralmente!) non valga la candela.
Di fronte all’assenza di significative novità di PvP non resta che chiedersi quali sfide possa nascondere il Reach per i giocatori più esperti. Per nostra fortuna ci viene introdotta l’arena di Vateshran Hollows, dove Zenimax sembra aver concentrato i propri sforzi maggiori.
Andando nella pare sud-orientale del Reach ci troveremo di fronte a questa serie di tre prove, ognuna delle quali include nel finale lo scontro con un potente boss. Proprio quei abbiamo visto di nuovo quella fantasia, quella capacità di rendere unico e personalizzato lo scontro che tanto avevamo lodato con il precedente DLC. Il livello di sfida si fa molto più interessante. I giocatori con maggiore esperienza avranno finalmente la possibilità ci affrontare un’azione più interessante, capace di dare un po’ di adrenalina a questa avventura.
Sangue e Argento: dare e ricevere
Le conclusioni sono sempre difficili, lo abbiamo detto. E quella del Cuore Oscuro di Skyrim appare più dolorosa che mai. Markarth si trova a essere un buon DLC, ma costretto a convivere con due terribili convitati di pietra, quelle due espansioni che l’hanno preceduta e che tanto hanno colpito l’immaginario dei giocatori.
Quando il paragone nasce con due ottime esperienze come quelle vissute in Greymoor e Stonethorn non può che essere difficile. Eppure non siamo affatto di fronte a un brutto prodotto, anzi. Siamo, più semplicemente, arrivati alla fine del viaggio, sopra un sentiero di cui ormai conosciamo ogni sasso, ogni curva, ogni albero. Questo non toglie che la camminata sia gradevole. Specie perché c’è un po’ di nostalgia nel vedere qualcosa che si è molto amato.
Insomma, Markarth è una buona conclusione per il Cuore Oscuro. E, soprattutto, un ottimo modo per lasciarci alle spalle una lunga avventura. In fondo la cosa importante è il viaggio, non la destinazione. E il sapere che presto, davanti a noi, si aprirà un nuovo sentiero per The Elder Scrolls non può che proiettarci verso il futuro.