Ron Howard dirige il film Netflix Elegia americana, ma lo fa con uno stile appartenente al passato
Elegia americana, il nuovo film di Ron Howard targato Netflix, è ambientato nel 2011. Ha radici anteriori, che riportano il protagonista costantemente ai fatti e agli eventi perpetrati dal 1997 in avanti. È infatti su di un libro di memorie che si basa la sceneggiatura di Vanessa Taylor, autobiografia dell’ex marine J.D. Vance, andato poi a Yale per laurearsi e intraprendere la sua carriera da avvocato.
È del rapporto con i suoi famigliari che Vance tratta, riportando nel lavoro letterario le faide personali e intime che intercorrevano tra i parenti di sangue, concentrandosi sul ruolo fondamentale che due donne della sua vita hanno avuto ai fini della sua formazione.
Da una parte c’è una madre con tendenze auto-distruttive che finisce per trovare nella dipendenza un modo per cercare di sfuggire alla miseria della propria realtà, dall’altro una nonna irreprensibile, dura anche quando non c’è bisogno d’esserlo, intransigente in ogni caso tanto da instaurare disciplina e via di riuscita per il nipote adorato.
Quello che Elegia americana inquadra sul finire degli anni Novanta è il rapporto che intercorre tra una famiglia apparentemente impossibilitata dall’uscire dai propri sbagli, che va contrapponendosi all’opportunità di perseguire il proprio sogno da parte di un giovane ragazzo che, insieme alla sorella, è stato in grado a suo modo di fare della propria esistenza non solo un groviglio di rimpianti, ma un modo per perdonare e andare avanti.
Che anche Elegia americana fosse un film del 2011? O ancora prima?
Quello che diviene rilevante, però, in Elegia americana non è solo la differenza temporale che divide il racconto degli avvenimenti di quel 2011 con il più distante 1997, bensì l’ulteriore lontananza che va creandosi tra periodo in cui il film è fabbricato e il proprio rilascio sulla piattaforma Netflix.
Un assetto, quello dell’opera, che se è fedele alla messinscena congegnata, sembra riproporlo anche dal punto di vista della fattura e della ricezione da parte del proprio pubblico, che non troverà così un film che rispecchia le atmosfere e i parametri inerenti al momento in cui il film viene narrato, ma avrà davanti un’impacchettatura che fa di Elegia americana un film già vecchio, appartenente al passato.
Come proveniente da quel periodo storico citato all’interno della trama, la pellicola non giova dell’apprezzabile valore di voler trasportare lo spettatore per coinvolgerlo maggiormente nella storia, facendogli piuttosto fare un indesiderato viaggio indietro nello stile e nel gusto cinematografico, come di fronte a un’opera già largamente datata, attinente direttamente a un altro momento e a un altro spazio.
Un senso di senilità filmica che influenza l’intero ensemble del film di Ron Howard, che ormai da diversi anni cerca la sua “nuova chance” nell’ambito delle opere di finzione, la stessa che persegue con tutte le proprie forze il protagonista di Elegia americana.
Amy Adams e Glenn Close: un altro “arrivederci Oscar”?
Volendosi discostare dalle scelte sbagliate ripetutamente commesse dalla propria famiglia, J.D. sceglie un’altra vita e sceglie di intraprenderla per cambiare la rotta che genitori e nonni hanno fino a quell’istante intrapreso, dirottando le sorti funeste che sembrano aver colpito i suoi parenti, rappresentando quel barlume di possibilità per dare un’inedita direzione ai suoi cari.
Lo stesso che, probabilmente, sperava di poter fare Ron Howard rispetto alla sua recente filmografia, che se discostata dalla fortuna dei documentari The Beatles: Eight Days a Week – The Touring Years e Pavarotti, non ha saputo racimolare il medesimo plauso dal punto di vista della finzione.
Una “chance” in cui è stato alquanto nullo il contributo di due artiste della recitazione come Amy Adams e Glenn Close, probabilmente proiettate già verso la coppietta della nomination agli Oscar e in cui forse entrambe speravano, viste le continue sottrazioni che alle attrici sono state effettuate durante le ultime serate degli Academy.
Nonostante però un’incontestabile bravura, e il contributo di un reparto di trucco e costumi che hanno completamente rivoluzionato l’aspetto delle interpreti, sia Amy Adams che Glenn Close rimangono incastrate nella mediocrità di una pellicola esageratamente simile a tante altre, senza alcun guizzo della benché minima intuizione registica o narrativa, dove l’unico modo in cui sembra esprimersi è un incoerente nonché infruttuoso modo di muovere la camera da presa.
Elegia americana e l’impossibilità di una seconda chance
Se la cara nonna di Elegia americana intima al nipote di sapersi distinguere e non diventare mai come tanti altri, è il film medesimo a deludere le aspettative del personaggio e, di conseguenza, dello spettatore, che da una tripletta di nomi come quella offerta da regista e interpreti sperava in un risultato migliore, che potesse indagare il trauma delle radici parentali e restituirlo con la potenza con cui il cinema sa trasformalo.
E se alla famiglia è facile giustificare anche i più terribili degli errori, ai film non sempre è concessa la stessa opportunità, finendo per rimanere intrappolati nell’insufficienza che a loro si aderisce, senza occasione di riscatto o redenzione. Senza poter aspirare a una seconda chance.