L’evoluzione del personaggio Elon Musk narrata dai documentari di Netflix ci dice molto di come funziona la diffusione di un’ideologia dominante
uando ascolto gente come Elon Musk, Bezos o Marchionne, ho come l’impressione di trovarmi di fronte a personaggi dei fumetti o dei romanzi di narrativa per ragazzi. Sono talmente prevedibili, lineari e perfettamente sovrapponibili, che sembrano quasi fare tutti capo a una “penna”, a un autore occulto capace di manovrarne i discorsi e i pensieri. In effetti, dato che siamo tutti il prodotto del contesto sociale e culturale che ci cresce, forse non sono così lontano dalla realtà: la mano che regge questa penna, per quanto appaia tremante e “invisibile”, potrebbe benissimo essere la stessa per tutti questi personaggi. Ecco perché la visione di non uno, ma ben due documentari su Elon Musk, ha spezzato per qualche giorno la mia voglia di vivere.
I due documentari si sono però dimostrati molto interessanti, una volta visti come strumenti per comprendere come si concepisce, diffonde e cementa l’ideologia che domina la nostra cultura. Più che elencarne i contenuti, abbastanza banali e scontati, cercherò di spiegare come, nelle loro macro-differenze, sia Elon Musk: the Real Life Iron Man che Ritorno allo Spazio rappresentino in modo estremamente efficace la stessa funzione discorsiva, differenziandosi solo per il tipo di pubblico a cui si rivolgono. A mutare, infatti, sono solo le forme, l’estetica, la regia, i dettagli: didascalico e da “real tv” il primo, prodotto da una casa britannica che annovera numerosi omaggi alla famiglia reale tra le sue produzioni; più curato e furbo il secondo, che lascia sullo sfondo (ma sempre presente) il suo messaggio, rendendolo l’invadente contorno di un piatto di emozioni, tensione, speranza, umanità. Alla fine, però, il perno delle due pellicole è sempre lo stesso: abbiate fede nella visione del genio, che ci traghetterà alla conquista dello spazio, una nuova frontiera piena di risorse da accumulare.
In Elon Musk: the Real Life Iron Man, c’è una scena nella quale una PR fortemente legata all’imprenditore sudafricano dichiara di avergli chiesto: “perché lo spazio?”. E lui le rispose, candidamente: “perché lo spazio è figo”. Il documentario pare non rendersi conto proprio di questo: Musk sembra legittimare le sue “imprese” perché è un “genio”, ma non dimostra mai di saper veramente cogliere la situazione reale dei campi che intende “rivoluzionare”. Ad esempio, sarà pure un miracolo del tech, ma su spazio e mobilità sostenibile non sembra averne mai capito molto. Come racconta Andrea Coccia nello splendido Realismo Automobilista, “La comunicazione è una guerra, e in questa guerra i produttori di auto hanno una potenza di fuoco pazzesca. In qualsiasi quotidiano o rivista del mondo, non è difficile trovare pubblicità di automobili. È normale, gli investimenti dell’automotive nel giornalismo e nella comunicazione sono tanto immensi da rappresentare per molti la fetta maggiore dei propri introiti pubblicitari. La dipendenza è pressoché totale.” Musk, tanto genio del tech quanto persona normale nel resto delle miriadi di campi che ci circondano, non è riuscito a immaginare, nonostante la sua clamorosa visione extrasensoriale da imprenditore di successo, un mondo senza macchine.
C’è poi un pezzo dedicato al “miracolo” dell’esplorazione spaziale privata, ma mi chiedo come si possa definire “straordinaria” una cosa fatta decenni prima da altre nazioni, solo perché fatta da un privato che ha ricevuto 1,6 miliardi di fondi statali statunitensi, nonostante numerosi fallimenti e milioni investiti nel progetto? Non lo so, ma il documentario lo fa comunque. Il film arriva persino ad affermare in maniera solare che è vero, Tesla non genera profitti, ma è valutata 6 volte più di Honda perché la percezione del valore del brand è data da Musk e dal “fan club” (termine del documentario The Real Life Iron Man) costruito intorno a lui. Lo stadio finale (o forse solo quello attuale) del capitalismo: il prodotto non ha un valore reale, ma lo si compra per pura e assoluta fede in qualcosa. Altro che mercato che si autoregola: sono sogni che confermano sé stessi, pregiudizi che spingono miliardari a fare questa o quella scelta solo perché ci credono, e che (come nel 2008) costringono sul lastrico milioni di persone.
C’è un tizio, nello stesso documentario, che tutto commosso spiega che Musk ha fatto scrivere su una placca in metallo tutti e 6000 i nomi dei dipendenti che hanno lavorato al lancio del razzo, e che questo “mostra quanto valore riconosce a tutto il team”. Sarà, però vorrei capire se i dipendenti costretti al crunch a causa del rischio di bancarotta la pensano allo stesso modo, dato che i soldi che possiede (a oggi, è l’uomo più ricco del mondo) li ha fatti anche (soprattutto) grazie a loro. Dopo la pandemia di Covid-19, che ha incontrovertibilmente dimostrato che, al di là dell’estrema “genialità” e “fiuto d’investimento” dei padroni, se chi lavora sta a casa nessuno cava niente dal buco, sentir ancora parlare di “datori di lavoro” e “individui che cambiano il mondo” mi genera dei conati difficilmente contenibili.
Non è solo nelle evidenti bugie che si nascondono i germi della costruzione di un’ideologia: sono anzi le suggestioni implicite e celate a racchiudere i più pericolosi, avvolgenti e melliflui dei dei germogli. Si pensi a uno dei frammenti del documentario The Real Life Iron Man dedicati al tema SpaceX: la sovrapposizione visiva tra i lanci di Elon Musk e quelli dell’Apollo 11, corredati dalle iconiche frasi legate all’allunaggio (“un grande passo per l’umanità”, ecc.) e da pacchiane banalità del tipo “è quasi una continuazione di quel sogno”, servono a cementare anche nella formazione dei grandi eventi storici il passaggio dalla dimensione pubblica e statale a quella individuale e privata. Il fatto che abbia chiamato Tesla una delle sue compagnie è davvero un’amara ironia.
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Ed è proprio con queste tecniche che la produzione Netflix Ritorno allo Spazio (che intelligentemente non cita Elon Musk nel nome) confermai valori già citati senza però renderli troppo evidenti. Se il primo formato ha la funzione di accompagnare in modo didascalico l’utenza più analfabeta (in termini di linguaggio visivo), il secondo deve solo suggerire, sfumare, riconfermare l’idea che il mondo del passato è, appunto, il passato, è che il futuro non può che essere privato, affidato a un uomo con visioni e pensieri che possiamo solo ammirare dal nostro schermo, in attesa di ciò che sceglierà di fare col nostro mondo (letteralmente). E così Musk finisce per essere solo una connessione tra le storie di astronauti, operaie, ingegneri e impiegate che hanno contribuito ai fallimenti e ai successi di SpaceX: una frase lì, una pacca sulla spalla qui, una sorta di voce narrante che guida con la sua visione il senso di lettura che dobbiamo dare al susseguirsi degli eventi narrati. Non un documentario, ma vera e proprio propaganda, priva di alcun tipo di opinione alternativa, di posizione osteggiante, di ostinati e contrari.
Forse, c’è solo una cosa vera nell’asfissiante marasma di mezze verità e cristalline bugie che compongono i documentari: “non lo fa per i soldi”. Nessuno lo fa per i soldi, quando si ha da mangiare, da vivere, da godere. Superato un certo limite, il denaro si trasforma rapidamente in qualcos’altro: potere. È sempre una risorsa, ma mentre per il povero è metafora del pane, per il ricco equivale alla capacità di controllare, comandare, governare. “Sono lo strumento di cui ha bisogno per eseguire i suoi sogni”, dice uno degli intervistati: il denaro è invece lo strumento tramite il quale esercita il potere di controllo su coloro che, per vivere, sono obbligati a credere nei suoi sogni, o almeno a costruirli. Quello che emerge dal primo documentario, The real life Iron Man, è che in effetti Elon Musk sembra proprio essere la versione reale di Tony Stark: un genio del tech che nel perseguire i suoi egocentrici ed adolescenziali sogni asfalta vite, stati, diritti.
“Credo che la ribellione delle IA sia il pericolo più grave che l’umanità correrà nei prossimi decenni, e per batterla dobbiamo diventare superumani”, “penso che dobbiamo diventare, come civiltà, una specie di livello spaziale, e popolare altri pianeti”: un uomo che parla come un cosplayer di Star Trek possiede il potere d’influenzare la vita di miliardi di persone. Se questo non vi terrorizza, vi invidio molto. Vi lascio con l’Epic Rap Battle of History di Musk contro Zuckerberg, che riesce clamorosamente a essere un documentario più puntuale di quelli citati.