Il successo di Christopher Paolini: come Eragon ha cambiato l’editoria fantasy
La storia di Eragon di Christopher Paolini e il suo impatto sul fantasy ci appaiono come una contraddizione incarnata in un romanzo con un drago in copertina. Questo perché si può pensare a questo massiccio libro blu, pubblicato per la prima volta nel 2002, come un piccolo spartiacque nel fantastico di stampo tolkieniano. Così dicendo si rischia tuttavia di dare eccessiva importanza a un’opera che, nel migliore dei casi, porta con sé tutte le tare di un romanzo scritto da un ragazzino ed editato (forse…) in fretta e furia.
In queste ultime settimane lo stesso Paolini, ormai lanciato verso i lidi della fantascienza, è tornato a far parlare della sua opera d’esordio. Sostenuto da alcuni fan ha infatti cercato di far entrare il romanzo nelle grazie della Disney (che ne detiene attualmente i diritti) per tentare una nuova trasposizione, dopo il disastroso film del 2005.
Eppure Eragon non è un romanzo capace di lasciare indifferenti. O, meglio ancora, la storia editoriale di questo libro, il suo successo e tutto ciò che ha comportato, sono in grado di suscitare enormi emozioni, positive e negative. Chi vi scrive non intende nascondersi dietro un dito: ha letto l’opera di Paolini in tre diverse occasioni nel corso della sua vita, apprezzandolo poco e sempre meno con l’avanzare dell’età. L’opera ha difetti strutturali, di caratterizzazione dei personaggi e di resa stilistica. A questo si aggiunge anche una tendenza a prendere di peso tantissimi elementi da altri franchise fantasy (Star Wars, sì). Eppure riesce nel suo intento. Intrattiene. E, qualche volta, riesce pure a trasmettere un po’ di sense of wonder.
Ma non sarà questa la sede per parlarne. Se desiderate un editoriale che smantelli pezzo per pezzo Eragon e ne metta a nudo ogni difetto avete sbagliato posto. Quello che ci preme è cercare di capire come possa un’opera, a conti fatti dimenticabile, scatenare ancora emozioni tanto forti nei lettori a circa vent’anni dalla sua pubblicazione. Ma, soprattutto, quale impatto quel libro blu di un ragazzo del Montana abbia avuto sull’editoria del fantastico. Perché nell’high fantasy, lo si voglia o no, esiste un prima e un dopo Eragon.
Il mercato del fantasy: vende meglio Eragon o il personaggio Paolini?
La prima cosa che ci viene in mente pensando a Eragon è, molto spesso, la giovane età del suo autore: Christopher Paolini concepì il suo fantasy quando era poco più che quindicenne. L’opera fu poi data alle stampe dai genitori nel 2002 e, successivamente, finì nelle mani del figlio di Carl Hiaasen, giallista che la propose al proprio editore. Ma questa storia è conosciuta da tutti. Ed è proprio questa storia ad aver contribuito al successo di Eragon.
In effetti, prima ancora che vendere il romanzo, l’editoria contemporanea ha una necessità: vendere l’autore. Un concetto che ormai è noto, fortemente criticato e spesso poco apprezzato da alcuni puristi della letteratura, ma che vanta precedenti di vecchia data. In fondo gran parte della fama di Charles Dickens era dovuta anche alla sua storia personale, quella di un’infanzia traumatica senza la quale non sarebbero mai nate opere come Oliver Twist e David Copperfield. E non è certo una caratteristica solo del mercato anglosassone. Gran parte del successo di Gabriele D’Annunzio si deve al suo personaggio piuttosto che alla qualità delle sue opere. La sua fama di ardimentoso amante del rischio, pioniere dell’aviazione e della velocità quando le prime auto fecero la propria comparsa, erano la benzina che alimentava l’aura di gloria attorno alla sua figura e, quindi, le vendite dei suoi libri.
La storia di Christopher Paolini e di come Eragon sia entrato nell’editoria fantasy è fatta per incantare. Che sia vera o meno ha poca importanza. La storia di Paolini funziona e il suo personaggio di enfant prodige è, a tutti gli effetti, capace di smuovere le vendite. Il fatto che fosse così giovane al momento di concepire il romanzo è tuttavia un altro punto a favore per il successo sul mercato. Basta leggere le citazioni sulla quarta di copertina. La giovane età dell’autore è spesso sottolineata nelle recensioni e negli endorsment degli altri autori.
La fonte della giovinezza
Proprio la giovane età dell’autore è stata uno degli impatti maggiori sull’editoria da parte dell’opera. Il fenomeno Eragon ebbe la significativa conseguenza di spingere molti adolescenti a scrivere nuovi fantasy: incoraggiati dalla tenera età di Paolini, torme di giovani iniziarono a battere sulla tastiera. Tra questi, alcuni emersero e riuscirono a farsi pubblicare. E questo fenomeno non è assolutamente negativo. Anzi, è possibile rubricarlo come un merito di Paolini e del suo romanzo. O, almeno, sarebbe un pregio se l’editoria fosse interessata più alla qualità che al guadagno.
Ne abbiamo un forte esempio in Italia. L’inizio degli anni Duemila, gli anni in cui Eragon si affermò nelle librerie e scalò la classifica dei best-seller, coincisero con l’avvio del “baby boom” degli autori. Licia Troisi, l’autrice fantasy di maggior successo nel Belpaese, venne pubblicata appena ventitreenne in quel periodo di tempo. A lei seguirono scrittori ancor più giovani. Chiara Strazzulla, Federico Ghirardi, Elisa Rosso per citarne alcuni: nessuno di loro aveva compiuto ancora vent’anni quando venne pubblicato.
Può sembrare poco, ma il concetto che degli autori fantasy fossero così giovani fu un sasso lanciato in uno specchio d’acqua cheta. La maggior parte degli scrittori di fantastico che si erano affermati fino a quel momento erano figure mature, con una carriera che spesso andava ben al di là del solo romanzo a cui era dovuto il loro successo. Tolkien e Lewis erano accademici. Moorcock un redattore presso diverse riviste di narrativa. Peake un illustratore. Ma la maggior parte di loro arrivò a pubblicare e farsi un nome dopo una lunga gavetta, costellata anche di rifiuti. Ursula Kroeber Le Guin, universalmente riconosciuta come una delle migliori penne fantasy della storia, iniziò a scrivere sì a undici anni, ma pubblicò i primi romanzi dopo numerosi rifiuti. Banalmente era considerata troppo in anticipo sui tempi.
E questo era valido anche in Italia. Gianluigi Zuddas aveva trentacinque anni quando diede alle stampe Amazon, vincitore l’anno successivo del Premio Italia. Mariangela Cerrino, pur pubblicando giovanissima i suoi primi romanzi storici, arrivò al fantasy solo dopo una carriera lunga e costellata di successi. Italo Calvino pubblicò il suo Visconte Dimezzato nel 1952, avendo alle spalle già due importanti volumi come Il Sentiero dei nidi di ragno e Ultimo viene il corvo. Si può quindi capire come vedere ragazzi di una ventina d’anni, se non più giovani, dedicarsi a un genere di solito considerato destinato ad autori maturi, abbia cambiato la percezione del fantastico in Italia. Se lo abbia fatto in bene o in male è un giudizio del lettore.
Perché giovane è meglio?
Ci si può chiedere perché questa scelta. Cosa spinge una casa editrice affermata a pubblicare il libro di un giovane esordiente? La risposta non è una sola. Il fenomeno dell’editoria giovanile è complesso e presenta al suo interno diverse ramificazioni e più motivazioni.
L’aspetto più banale, come detto, è quello pubblicitario. L’idea che un’opera, compiuta da un’adolescente, sia di per sé un’impresa meritoria, al netto di possibili difetti. In fondo anche Alberto Moravia iniziò la stesura del suo Gli Indifferenti ancora adolescente (anche se, a onor di cronaca, esso fu dato alle stampe solo nel 1929, dopo accurata revisione). Si torna quindi al discorso fatto qui sopra: vendere un personaggio. E, considerato il target giovanile di molti di questi prodotti, l’idea si mostrava ancor più valida. Libri per ragazzi scritti da ragazzi: cosa potrebbe mai andare storto?
Se avete familiarità con quell’epoca di internet vi sarete già dati una risposta. In quel periodo di “baby boom” fioccarono recensioni contro lo spaghetti fantasy (ve ne parlammo qui). Ed è proprio qui che si consuma, paradossalmente, un altro possibile vantaggio del pubblicare dei giovani autori. Se l’opera scritta da un ragazzo ottiene successo per la grande casa editrice che ha deciso di puntare su di lui il problema non sussiste. Anzi, onore a lei…
Ma nel caso di critiche eccessive esiste sempre la via di fuga: quella di dare la “colpa” alla giovane età dell’autore. Una tendenza spesso vista in quegli anni. In fondo si tratta di uno scrittore esordiente, giovanissimo. È giusto aspettare che maturi. Un concetto che forse vi sembrerà più consono alla Primavera di una squadra di calcio, ma che conserva una validità di fondo. Una casa editrice può decidere di puntare su un autore esordiente in giovane età, affidarlo alle cure di un editor capace e far sì che cresca dopo un percorso di maturazione. Peccato che ciò sia avvenuto di rado. E proprio nel romanzo d’esordio di Paolini possiamo trovarci di fronte a una mancanza in questo senso.
In pasto ai draghi da tastiera
Come detto in precedenza non è nostro compito analizzare i difetti del Ciclo dell’Eredità. Già altri hanno sottolineato i tanti (troppi) rimandi alla trilogia classica di Star Wars, agli archetipi tolkieniani, all’uso del linguaggio presente in Le Guin, alla figura del drago di Anne McCafrey. Ma questa miscela di ispirazioni, che spesso ha fatto gridare al plagio, si traduce in una concreta mancanza di mitopoiesi o, se preferite l’inglese, world building.
Paolini iniziò a concepire Eragon nel 1998, poco dopo la fine dei suoi studi superiori (conclusi in anticipo). Aveva perciò quindici anni quando iniziò il romanzo e l’intero mondo alle sue spalle. Si può quindi calcolare che abbia concluso la stesura attorno al 2001, per poi dare alle stampe il libro nel 2002 a spese dei genitori. Nel corso dell’anno successivo il volume fu “scoperto” e pubblicato dalla Alfred A. Knopf, Inc. Quello che si nota è un periodo breve tra la pubblicazione compiuta dalla famiglia Paolini e quella successiva da parte di una grande casa editrice.
Nel suo libro autobiografico On Writing, sua maestà Stephen King spiega quanto sia delicato il processo di editing. Il tutto si raccoglie nella massima “scrivere è umano, editare è divino“. Delicato e, ovviamente, lungo. Eragon fu prima pubblicato nell’estate 2002 e poi ripubblicato nell’Agosto 2003. Considerati i tempi tecnici di stampa e la mole del romanzo, quelli dedicati a un nuovo editing del libro non poterono essere lunghi. E qui si scontrano due scuole di pensiero per quanti hanno familiarità con la pratica dell’editing. Chi ritiene le scelte dell’autore sacre e intoccabili, e chi invece preferisce intervenire per correggere la trama laddove opportuno. Nel breve tempo trascorso tra le due pubblicazioni di Eragon è impossibile che un editor sia intervenuto a livello strutturale.
E questo va a discapito della casa editrice, non certo dell’autore, perché i difetti imputabili a Eragon sono frutto della giovane età di Paolini quando concepì e scrisse il romanzo, ora più, ora meno.
Eragon vent’anni dopo: cosa resta del fantasy di Paolini?
Mentre su Twitter Paolini cerca di spingere l’hashtag destinato a dare una nuova possibilità all’Alagaësia di celluloide, l’editoria fantasy può guardarsi indietro e chiedersi cosa sia rimasto dell’onda lunga di Eragon. Quali sono gli effetti di quel libro blu a quasi vent’anni di distanza dalla sua pubblicazione?
Come detto Eragon ha senza dubbio avuto un pregio: spingere molti giovani a cimentarsi col fantasy. Il romanzo di Paolini ha contribuito a un fenomeno nell’editoria che, di per sé, potremmo considerare benefico. Ha reso più aperto il mercato agli esordienti, diversi autori che pochi anni prima non sarebbero riusciti a pubblicare hanno ottenuto almeno il beneficio del dubbio da parte di editori e lettori. Ma ha anche gettato nella mischia molti scrittori inesperti, senza le competenze adeguate per scrivere un fantasy. Oggi ci troviamo così di fronte a un fenomeno che sembra del tutto rientrato. Il boom del fantasy è apparentemente terminato e sono altri i generi che stanno tornando alla ribalta.
Se ci limitiamo al Belpaese notiamo un drastico calo degli esordienti nelle grandi case editrici. Mondadori, Newton Compton e soci hanno deciso di puntare soprattutto su scrittori affermati nell’ultimo periodo, specie per quanto riguarda il fantastico. Per contro la tendenza a puntare sui giovani sembra essersi spostata nella piccola e media editoria. A questo si aggiunge anche un altro effetto collaterale del “baby boom”: il fantasy italiano del 2021 fatica ancora a scrollarsi di dosso l’etichetta “per ragazzi” che gli è stata imposta.
La tendenza a non curare la crescita di molti giovani e sottoporre a severi processi di editing strutturale le loro opere ha creato sfiducia verso il genere. E, soprattutto, ha lasciato molti autori a se stessi. Al di là di Troisi e pochi altri la maggioranza dei giovani scrittori più noti di quel periodo sembrano aver rinunciato alla vita editoriale, dedicandosi a nuove attività. Ma chissà che tra qualche anno, maturate nuove capacità, anche loro non possano tornare a pubblicare qualcosa. Magari ammaestrati dalla vecchia esperienza e ben decisi a non compiere più gli stessi errori.