Il nuovo film Netflix Eravamo canzoni (Sounds Like Love) prova ad essere coinvolgente, ma per funzionare dovrebbe essere assai meno prevedibile
Quando un capolavoro viene donato ai comuni mortali, le conseguenze possono essere molteplici e pronosticabili. C’è chi gioirà dell’aver avuto modo di entrare in contatto attraverso le loro opere con penne sopraffine, registi visionari, interpreti in grado di dare vita e sostanza ai personaggi più indimenticabili. Al contempo, però, anche ciò che ha portato del gran bene deve prendersi la responsabilità di aver generato emulatori e alimentato false speranze in coloro che hanno cercato di imitare o prendere ispirazione dal loro operato.
È il caso di Fleabag e di una visione come quella cinica eppure fragilissima della sua autrice e protagonista Phoebe Waller-Bridge. Un comunicare con lo spettatore che nella serie passa letteralmente per lo sguardo e le battute in macchina del personaggio principale, donna che abbatte la quarta parete mentre fa fuori altri due o tre elementi social-culturali della visione femminile stereotipata e patriarcale di ieri, stravolgendo la serialità e l’essere donne dentro e fuori la costruzione di un prodotto audiovisivo nella contemporaneità.
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È perciò immaginabile che tutto un filone di operazioni narrative sul piccolo e grande schermo tenti di estirpare dalla serie dell’autrice britannica la sua linfa, per poterla piantare nei propri lavori e cercare di farne germogliare il risultato migliore. Ma il riferimento primo è sempre dietro l’angolo e coloro che hanno toccato l’eccellenza si pongono a confronto per mostrare come una copia non può funzionare mai nella stessa maniera del suo originale.
È ciò che capita a Eravamo canzoni, pellicola spagnola targata Netflix che vede tornare la scrittrice Elísabet Benavent ad offrire una delle sue storie alla piattaforma digitale. È infatti lei l’autrice dei romanzi su cui si basa la serie Valeria, sesso e amicizia in formato a puntate che ricalca gli stilemi della più famosa Sex and the City, ma con ben meno charme.
Non basta ammiccare allo spettatore
È il libro Canzoni e ricordi quello che viene preso stavolta a modello per la realizzazione di una rom-com che tanto ricorda il suo predecessore seriale Valeria, ma che per l’appunto cerca di aggiungere brio in più per rendere la sua protagonista Maca (María Valverde) consapevole e indipendente, interrompendo spesso le conversazioni per ammiccare alla camera o fare una smorfia eloquente allo spettatore.
Una Fleabag latineggiante che, in verità, ha ben meno fuoco e calore rispetto a quella Phoebe Waller-Bridge da cui trae per rendere empatico e coinvolgente il suo personaggio. Sicuramente non una protagonista per cui non voler simpatizzare, ma priva di quel fascino che accompagna colei a cui cerca di rifarsi, non potendo neanche sfiorare l’obiettivo.
È pur vero che l’escamotage del parlare direttamente al pubblico senza ulteriori filtri può derivare semplicemente dalla natura letteraria che accompagna Maca e il suo Eravamo canzoni, ma è proprio il materiale cartaceo su cui si basa il film a presentare un ulteriore impedimento alla completa riuscita della pellicola, come quella Valeria troppo desiderosa di farsi unica e intraprendente, ma in verità piena di cliché. Affabili, ingenui e pieni anche di una certa dose di speranza. Ma pur sempre degli (in)evitabili cliché.
La struttura di Eravamo canzoni va così presentandoci la nostra protagonista, che a propria volta scardina ogni segreto della sua vita sentimentale precedente e ci catapultata nel trauma mai superato della rottura con Leo (Álex González). Giovane con cui Maca aveva costruito dei progetti prima che decidesse di prendere un aereo e sparire, lasciando distrutta l’emotività e l’esistenza della ragazza che maturerà con pochissime prospettive nel poter riprovare ancora amore. Eppure il cuore le ritorna a battere, solo che lo fa sempre per la stessa persona. Quel Leo rincontrato ora da adulto che la troverà in un periodo di grande trambusto della sua vita, in cui Maca sarà destinata a compiere delle scelte che dovrà però saper prendere basandosi solamente sui propri desideri.
Eravamo canzoni… Ma bisognava essere anche qualcosa in più
Un ritorno, quello dell’ex fidanzato Leo, che va occupando un’enorme porzione del racconto di Eravamo canzoni, che va così rubando spazio all’esplorazione dell’animo e della crescita che dovrà affrontare la protagonista, appiattendone il tutto. I suoi scopi lavorativi, i tentativi di essere una brava amica, l’elaborazione di un abbandono che Maca non ha mai superato e che potrebbe finalmente risolvere affrontandolo di petto. Ma il film ha ben altri piani per la sua protagonista, quasi annullando le conflittualità che dovrebbero trainare l’evoluzione della storia all’interno dell’opera e, così, la crescita del personaggio.
Un’aria da déjà-vu dovuta a tanti racconti simili, da cui sembrava poter prendere inizialmente distanza vista la sua auto-analisi e la diversità nelle dinamiche relazionali, ma appena quest’ultime devono intraprendere nuovamente la strada dell’amore perdono la propria bussola andandosi prontamente a banalizzare. E così si finisce con il vero amore da dover scoprire e perseguire, quello che dobbiamo solamente a noi stessi. Che non sempre è possibile vivere il proprio sogno, perché in fondo quello che stiamo guardando “non è un film romantico”. Forzature per non dover conformarsi ai canoni delle pellicole sentimentali e, invece, finire per caderci esattamente dentro.
Eravamo canzoni ha delle potenzialità inespresse e un’estetica alla moda che non viene però adeguatamente valorizzata. Un film che vorrebbe darci la versione dei personaggi femminili con la loro determinazione – anche emotiva – oggi, ma che scade nella prevedibilità delle proprie svolte, nel suo essere poco accattivante e nel mostrarci un finale che vuole far sembrare alla protagonista di aver conquistato un certo coraggio, quello che in verità la pellicola non ha mai avuto.