Quando il fandom e l’affezione agli idoli è uno strumento interno ai prodotti supereroistici contemporanei
Ha aperto da pochi giorni l’Avengers Campus a Disneyland Paris, un’attrazione nuova di zecca che mira a coinvolgere i visitatori del parco divertimenti più famoso del mondo nelle avventure dei supereroi di casa Marvel. Non è un grande museo o esibizione a cielo aperto, bensì una sorta di attività perennemente interattiva, dove i nuovi paladini dell’intrattenimento contemporaneo girano per le strade reclutando gli ospiti in questa o quell’altra missione da svolgere tutti assieme.
In linea, insomma, con una filosofia di riduzione delle distanze, che vuole al centro lo spettatore, il fan, che lo stesso Marvel Cinematic Universe sta sviluppando sempre di più anche all’interno della sua narrazione cinematografica e seriale. In linea anche con un concetto semplice, magari in apparenza da pensiero spicciolo, ma tuttavia fondamentale nel periodo di incertezza generazionale che stiamo attraversando: il bambino dell’oggi può essere l’eroe del domani.
E allora basta guardare proprio la maniera con la quale in casa Marvel Studios questa traiettoria di ragionamento sta andando a farsi impalcatura per il cambio di passo in atto in un MCU dalla Fase 4 magmatica e ancora non ben definita. Occorre guardare all’utilizzo che della (s)mitizzazione si sta facendo nello specifico nelle serie TV, prodotti che stanno introducendo e sviluppando personaggi tutt’altro che marginali nell’economia della narrazione supereroistica che sarà. Perché se da una parte al cinema sono arrivati gli Eterni, Shang-Chi e American Chavez, un tipo interessante di costruzione dal basso si sta portando avanti con serie come Hawkeye e Ms. Marvel.
Abbiamo visto di recente in Thor: Love and Thunder come nell’universo diegetico in cui si muovono questi personaggi il tutto evolva in maniera quasi speculare rispetto a noi che lo guardiamo dal di fuori. Gli Avengers e le loro avventure sono una realtà concreta, fattuale, e i luoghi dove si sono ritrovati e hanno combattuto le loro battaglie sono oggi mete di pellegrinaggio e turismo. Lo è quindi la Nuova Asgard governata dalla Valchiria di Tessa Thompson, che per tirare avanti deve accogliere i curiosi fan da tutto il mondo pronti a sganciare fior di quattrini pur di ammirare da vicino i frammenti del Mjolnir. Ma lo sono anche le zone della New York dove si è consumata la nota battaglia contro le forze d’invasione guidate da Loki in Avengers, fortissimo atto mitopoietico anche per chi l’evento l’ha vissuto dal dentro gli angoli dello schermo.
Come Kate Bishop (Hailee Steinfeld) salvata da piccola proprio da quell’Hawkeye (Jeremy Renner) che finirà per affiancare nell’omonima serie e di cui, verosimilmente, finirà pure per prendere il posto nel lungo avvenire del MCU. Una nuova eroina al lato dell’eroe dal quale ha sempre tratto ispirazione, fenomeno d’estrema affezione diffuso anche tra i coetanei che come lei vedono accadere eventi fuori dal normale con così tanta frequenza da aver sviluppato una nuova concezione di normalità, che si porta dietro fisiologici fenomeni di aggregazione e discussione dell’attualità.
Ne è chiaro esempio l’Avengercon, la fiera dedicata ai fan degli Avengers comparsa nei primi episodi di Ms. Marvel alla quale Kamala Khan (Iman Vellani) partecipa facendo il cosplay (!) di Captain Marvel, che rende ancora più manifesto l’atteggiamento riflessivo e consapevole del nuovo meccanismo di creazione di quegli eroi del domani a cui accennavamo sopra. Lavorare all’implementazione del mito all’interno del mito, il non negare il proprio statuto ma anzi renderlo fucina degli idoli che saranno è una maniera acuta di lavorare stando di fianco alle sensazioni ed emozioni dei fan già cresciuti con quella che è forse la più grande narrazione (per estensione e profondità, non necessariamente qualità) dell’oggi. Ed è anche una maniera di farsi permeare, e permeare, da nuove generazioni liquide che pensano e comunicano in una maniera completamente differente, dove il flusso senza interruzione di continuità è un modo concreto di stare al mondo.
Chi lavora in modo diametralmente opposto con il suo elemento di consapevolezza è invece un altro racconto a sfondo supereroistico come The Boys. Un fenomeno sviluppatosi da un certo punto di vista (perlomeno in TV) proprio in risposta all’apparente candidezza della Marvel, che si rivela interessato a indagare tramite la satira le derive e le storture che si celano dietro il gigantismo di questi nuovi idoli.
Anche qui i Sups generano mito e fandom, attraverso una macchina di sfruttamento economico costruita ad hoc attorno al ritorno d’immagine che questi sono in grado di generare. Comparsate in programmi TV, indici di gradimento, film che portano il loro nome e relazioni sentimentali stabilite a tavolino sono l’altra faccia della medaglia che The Boys cerca di portare sfacciatamente in superficie. Non è una vera e propria critica e potrebbe esserlo fino a un certo punto prima di scadere nel cortocircuito (dopotutto dietro c’è il colosso di Amazon), ma è interessante osservare come le relazioni di potere e influenze, interne ed esterne, che questi racconti generano siano un tema dell’attualità.
Nel fare l’eco maligna alla Marvel, The Boys non va per il sottile quando tesse i punti di contatto diretti nella triangolatura ai cui vertici ci sono immagine mediatica, strategia aziendale e sete di potere. Qui quella riduzione delle distanze di cui scrivevamo più sopra esiste, sì, ma letta sotto la chiave dell’eliminazione dei filtri, dell’estrema democratizzazione dell’opinione, della distopia del reale: se quell’idolo forgiato con tutti i crismi del caso (letteralmente, a partire dalla manipolazione genetica del Composto V) dovesse chiederti di seguirlo in una guerra civile, fin dove saresti disposto a spingerti? Chiaramente non sono un caso i numerosi riferimenti che la serie fa all’esperienza della recente presidenza trumpiana, con annesso spauracchi sull’inquietante epilogo a Capitol Hill. Persino la questione del passaggio di testimone, dell’eredità padre-figlio è vissuta in maniera disfunzionale, dove il ricambio avviene solamente in seno al trauma, allo shock che travolge il nuovo opinion leader.
Si tratta, quindi, di faccende complesse applicate a oggetti complessi, com’è inevitabile che siano le forze che trainano mari e monti con un abbraccio che tiene assieme affezione-chiacchiera-indicizzazione. Soprattutto sono oggetti culturali, che in quanto tali tracciano il solco per la visione del mondo che verrà e che è necessario, ed interessante, continuare ad osservare e indagare con la massima attenzione.