Ferry Bouman è un personaggio chiave per il successo della serie Netflix ‘Undercover’. Come siamo riusciti a empatizzare con lui nonostante sia un criminale?
L’articolo contiene spoiler su Undercover 3
na grande serie ha bisogno di grandi personaggi. Quando il pubblico si è approcciato alla prima stagione di Undercover, lo ha fatto probabilmente con una discreta diffidenza, trattandosi all’epoca di uno show assai poco spinto da Netflix e per di più di una produzione belga-olandese, un asse che fino a quel momento non ci aveva regalato serial particolarmente degni di nota. Tuttavia l’attenzione verso questo crime-drama intenso ha catalizzato da subito l’attenzione di molti spettatori, senza dubbio grazie a un’ottima scrittura ma, dobbiamo dirlo, per i meriti di alcuni personaggi sopra le righe.
Tra questi, neanche a dirlo, il nostro Ferry Bouman, interpretato da Frank Lammers.
Netflix l’ha capito, e infatti dopo aver acquistato i diritti della serie TV ha anche ordinato un film (distribuito a maggio 2021), prequel/spin-off sulla vita del bislacco gangster, villain della prima stagione.
Un’operazione per certi versi rischiosa, che avrebbe potuto rovinare una storia potenzialmente coinvolgente e intrigante, motivo per cui la regia fu affidata a mani sapienti che già conoscevano a menadito il prodotto, quelle della belga Cecilia Verheyden, che aveva diretto alcuni episodi dello show.
La seconda stagione aveva riposto un po’ nell’ombra il nostro Fer, soppiattato da nuovi villain, ben più spietati di lui, quali i fratelli Laurent e JP Berger (Wim Willaert e Sebastien Dewaele), ma in vista della nuova e probabilmente definitiva season 3, gli autori e Mamma Netflix hanno ben pensato di rinfrescare un po’ il personaggio di Fer, approfondendo la sua psicologia, facendoci conoscere le sue origini.
Ferry Bouman esce dagli schemi del tipico villain, si pone come un cattivo anomalo, rivelando a tratti una profonda umanità e che, quantomeno all’inizio, mantiene valori indissolubili come la parola data o il concetto di onore, oltre ad avere una spiccata sensibilità.
Il linguaggio del suo corpo, il suo andamento ciondolante e dinoccolato, il suo look stravagante e improbabile, tra camicie hawaiane e giacche col pellicciotto, le goffe espressioni del suo volto sono quanto di più distante ci sia dal prototipo del gangster, e forse è per tutto questo che il pubblico riesce a empatizzare spesso con lui e verso cui lo stesso Bob/Peter/Steve – ovvero il personaggio Tom Waes – ha avuto segni di cedimento.
Nel film Ferry, come detto, avevamo conosciuto i dettagli della sua scalata al potere, avendo persino modo di scoprirne altri riguardanti la sua infanzia, naturalmente difficile, per via del terribile rapporto con un padre violento e l’involuzione di quello con la sorella maggiore Claudia. Quello che è stato prequel a tutti gli effetti, ci aveva fatto immergere in alcune dinamiche sociali e familiari di Ferry, dai dialoghi col cognato John (Raymond Thiry) alla conoscenza quasi fortuita di colei che diverrà l’amore della sua vita, Danielle (Elise Schaap), che peraltro torna nella terza stagione di Undercover.
Sì, perché nella season 3 Ferry Bouman è di nuovo protagonista, di nuovo al fianco di Peter Bogard, di nuovo al centro della scena, seppur con modalità particolari. L’ex gangster finirà infatti a collaborare con la polizia in un’operazione sotto copertura, in cui avrà occasione di mostrarci ancor di più il suo lato umano. Ritroveremo molto di quel Fer che avevamo apprezzato nel film, in quella versione giovane con quegli improbabili capelli mesciati, la capacità di fare squadra e persino salvare la pelle a Peter, al bisogno.
È un personaggio ambivalente ma non per questo così imprevedibile. Quella che è ormai la propensione alla criminalità, ciò che ritiene di saper fare meglio, può emergere in qualsiasi momento: collabora con la polizia e copre le spalle a Peter, ma al contempo pensa a guadagnare da questa situazione e a come fregarli. Può persino pugnalare alle spalle Peter se deve, ma soltanto perché si sente tradito dall’uomo a cui aveva dato tutto, persino la sua amicizia, come ribadisce lo stesso Fer in un finale acceso che li pone uno contro l’altro.
Non sembra un criminale, ma nei fatti lo è, e sa comportarsi come tale quando è necessario, non lesinando certo botte e colpi di pistola.
Di certo non è perfetto, ma non vuole esserlo. Non è un buono, e questo è assodato, ma non è neppure un cattivo. Non è un eroe, non è un antieroe, a volte può agire come l’uno o come l’altro.
L’amore incondizionato per Danielle è probabilmente il traino delle sua azioni, nel bene e nel male ma è anche ciò che l’ha aiutato a far emergere la sua umanità e ciò che lo rende più simile all’uomo comune.
Empatizzare col cattivo e il criminale di uno show televisivo è sempre sbagliato, ma quando si tratta di Fer, di colui che di fronte al suo più acerrimo nemico non riesce a premere il grilletto poiché sa vedere dietro l’odio e dietro quelli che ritiene terribili torti subiti, osservando nient’altro che un padre di famiglia, un essere umano che deve tornare a casa da sua moglie e da suo figlio, allora forse possiamo chiudere davvero un occhio e sentirci tutti un po’ vicini a Ferry Bouman.