Eterni, le divinità Marvel del supremo Jack Kirby
Eterni, come gli insegnamenti Marvel di Jack Kirby.
Eterni, come i racconti che ha illustrato nella sua lunga carriera.
Eterni, come i personaggi che “The King of the Comics” ha creato nella sua vita, una vita che potrebbe tranquillamente diventare un fumetto, il più importante di sempre.
Ed Eterni sono anche i ringraziamenti che dovremmo fare a questo straordinario maestro.
In fondo, in un modo o nell’altro, siamo tutti passati per le sue mani. In un modo o nell’altro, siamo tutti figli di Jack Kirby.
Questo perché le sue mani, le mani che hanno forgiato i pilastri dei comics americani, hanno influenzato un intero immaginario, esattamente come il suo stile, il suo metodo e la sua filosofia. Un immaginario che, nato sulle pagine della Timely Comics e della sua erede Marvel, sono passate attraverso la DC una e due volte per entrare poi nelle nostre menti. E lo hanno fatto per restarci.
Spesso, i critici, gli amanti della cultura o semplicemente i possessori di un cervello degno di questo nome riflettono sulla capacità invasiva delle idee, di come queste partorite dal genio di artisti, scrittori, poeti e registi riescano poi ad impattare sulla realtà.
Alla fine, i nomi che consciamente o inconsciamente hanno influenzato il nostro modo di pensare sono pochi e saperli inquadrare risulta davvero difficile. Omero, Virgilio, Dante, Michelangelo, Leonardo, Dickens, John Ford, Stanley Kubrick… E chissà quanti altri. E non scandalizzatevi se tra questi vedete comparire anche Jack Kirby, all’anagrafe Jacob Kurtzberg. Anche perché, ad essere onesti, lui è tutte queste cose insieme, artista, scrittore, poeta e regista per quanto riguarda il fumetto.
Ed ora ecco arrivare una pellicola dedicata gli Eterni, i protagonisti di una leggendaria serie Marvel capace di mischiare più kirbyanamente di altre fantascienza, epica e cosmogonia, da molti ritenuti la vetta della sua personale visione. Niente di cui stupirsi, in effetti prima o poi Kirby doveva fare il suo ingresso nell’Universo Cinematografico dalla porta principale, visto che senza di lui non esisterebbe.
Kirby e i suoi eterni eredi
L’entrata in scena degli Eterni in Marvel è cosa sicura e arcinota, definitivamente confermata dagli annunci di Kevin Faige sulla Fase 4 rilasciati al San Diego Comic-Con 2019. Il film è previsto per il 6 novembre 2020 e subito sono cominciati a fioccare diversi rumor sul cast, come quelli che vorrebbero Angelina Jolie insieme addirittura all’enfant prodige Millie Bobbie Brown di Stranger Things.
In realtà, quest’ultima ipotesi è stata smentita con forza in un progetto che può contare (oltre alla Jolie) su attori di primo piano come Richard Madden, Lauren Ridloff, Salma Hayek, Lia McHugh, Bryan Tyree Henry e Kumail Nanjiani. Alla guida di tutto, dietro una macchina da presa mai così pesante, ci sarà Chloe Zhao, al suo esordio nel MCU.
Pesante, senza dubbio, perché il compito che spetterà a Zhao sarà nientemeno quello di tradurre le matite di Jack Kirby in forma di cinema. Impresa che, francamente, farebbe tremare i polsi a chiunque.
Ma la scelta di dare il via a questa nuova vita dell’Universo Marvel cinematografico con gli Eterni ci pare perfettamente logica e quasi necessaria. Gli Eterni sono una diretta espressione del Re e presentarli ora al grande pubblico, mentre gli Studios di Kevin Feige si preparano a ripartire dopo il gran finale di Endgame, ci sembra oltretutto doveroso.
Anche se teoricamente dal punto di vista strettamente temporale verrà prima il film prequel dedicato alla Vedova Nera (maggio 2020), la vera ripartenza del MCU inizierà da qui, dagli Eternals, da quelle che sono le sue basi fumettistiche.
Quale migliore modo, infatti, di dare il via a questa nuova frase di uno dei franchise più longevi e di successo se non celebrando una delle sue pietre miliari, l’uomo che insieme a Stan Lee e a Steve Ditko ne è stato il maggiore demiurgo? Nessuno. Anche perché, senza Kirby non solo non avremmo l’MCU ma è probabile che anche l’intero mondo del fumetto sarebbe diverso. Interi decenni di storie e di racconti avrebbero preso un’altra piega.
Senza di lui, senza Jack Kirby, è praticamente impossibile immaginarsi cosa sarebbe effettivamente la Nona Arte, non solo quella d’oltreoceano. Questo perché le influenze del Re sono svariate e stratificate in centinaia, forse migliaia, di artisti. Il suo tratto ha direttamente ispirato un numero incalcolabile di fumettisti in ogni angolo del globo ed è rimasto marchiato nella fantasia di milioni di bambini. Bambini che poi, crescendo, non si sono mai allontanati dai fumetti (o dalle letture in generale) e che sono cresciuti portandosi dentro i suoi segni eterni, sempre inimitabili, diversi e allo stesso tempo perfettamente riconoscibili.
Ormai, abbiamo perso il conto di tutti i professionisti che agli inizi e alla fine dei loro percorsi hanno sentito il dovere di ringraziare Jack Kirby. Ormai, abbiamo perso il conto di tutti quelli che si sentono figli della sua eredità. Una caratteristica, questa, che accomuna tantissimi autori, anche quelli apparentemente diversi da lui.
Uno, per dire, è il nostro Leo Ortolani, che non ha mai nascosto di essere un allievo del Re e che gli ha dedicato uno dei numeri più importanti della storia di Ratman, intitolato appunto “Il Re e io!”. Un albo geniale, come i tanti di Leo, che ci parla in maniera struggente, ironica e anche affettuosa del suo rapporto col Maestro.
Quando può, Ortolani lo cita, anche laddove sembrerebbe che non c’entri nulla o quando meno te lo aspetti. Oppure, quando ha perfettamente senso menzionarlo. Un esempio recente e calzante è in una delle scene conclusive di C’è spazio per tutti, uno dei suoi ultimi volumi ambientati, non a caso, oltre quell’atmosfera terrestre che ha fatto da sfondo a tutte le grandi storie di Kirby.
Potremmo passare anni ad elencare tutti i suoi “studenti” e chissà quanti ne mancherebbero all’appello, perché molti non sono consapevoli di essere stati direttamente plasmati da Kirby, dalla Marvel e dai suoi eterni insegnamenti.
Questo perché la sua arte è sempre stata invasiva, onnicomprensiva, eterna: abbracciava il disegno, lo storytelling, la recitazione e l’epicità dei character. Abbiamo avuto diverse occasioni di celebrare Stan Lee e i suoi Supereroi con superproblemi, ma senza dubbio se il Sorridente non avesse avuto accanto un simile genio saremmo qui a raccontarvi una storia diversa. Se il “metodo Marvel” ha fatto scuola del mondo, è merito senza dubbio anche di Kirby.
Il leggendario “metodo Marvel” (lo spieghiamo per i novizi), in cui durante la fase di lavorazione lo sceneggiatore abbozzava a grandi linee la storia lasciando spazio di manovra al disegnatore che si ritrovava di colpo una libertà incredibile per esprimere tutto il suo talento. Agiva, dunque, oltre che sulle matite anche sull’impostazione delle tavole e su intere sequenze della trama, finché poi lo scrittore non rifiniva aggiungendo i dialoghi e le didascalie. Per fare questo, l’artista doveva avere delle doti che andassero oltre la semplice illustrazione, doveva vivere e respirare il fumetto, essere capace di vederlo come una narrazione formata da testo e disegno.
L’esempio classico di questo metodo è l’indimenticabile storia “The last chapter” uscita su Spider-Man 33, plasmata da Ditko ed entrata nella memoria di milioni di lettori come una delle migliori avventure del Ragno.
Ed è noto come questo metodo abbia portato lentamente a delle incomprensioni tra Lee e Kirby, perché chi aveva l’ultima parola tendeva anche ad appropriarsi di meriti che non gli competevano. Da qui, in sostanza, nascono le polemiche che avrete sentito in giro sulla vera paternità di molti personaggi Marvel.
Il “metodo”, all’inizio degli anni ’70, spinse il Re a lasciare la Marvel per approdare alla Distinta Concorrenza, salvo poi fare ritorno all’ovile nel 1976. E si ripresentò portando in dote l’idea per gli Eterni.
Ritorno alla Marvel dal Quarto Mondo
Kirby, dicevamo, torna alla Marvel nel 1976 dopo un breve periodo alla DC. In realtà, era il suo secondo “esilio” perché aveva già abbandonato la Casa delle Idee, allora Timely Comics, nel 1950 agli inizi di quella che sembrava un’inarrestabile crisi dei supereroi. Si trattava di un declino preoccupante, dovuto sia a fattori fisiologici ma soprattutto esterni al fumetto. Uno su tutti, l’uscita del libro Seduction of the Innocent di Fredric Wertham, che aveva dato vita ad una vera crociata anti-fumetto colpendo duramente l’intero settore e il Re in particolare.
Infatti, dopo aver contributo ad alimentare il mito degli uomini in calzamaglia negli anni ’40 creando Capitan America in coppia con Joe Simon, se ne era allontanato nel decennio successivo lavorando principalmente a storie di genere romance, polizieschi e western. I vigilanti sarebbero poi tornati prepotentemente in auge nel 1961 grazie all’uscita del primo numero dei Fantastici Quattro, con Kirby sempre nell’occhio del ciclone.
Ma quando torna alla Marvel nel 1976 tutto (o quasi) è cambiato.
Alla guida del colosso editoriale c’è infatti Roy Thomas, Stan Lee si è fatto da parte per occuparsi di incarichi dirigenziali e l’Universo Marvel è nei cuori “eterni” di milioni di lettori.
Anche Kirby è cambiato. Il periodo alla DC ha accentuato il suo interesse per la scrittura. L’estro creativo del Re è diventato ancora più invasivo, più totale e dal disegno ha finito per abbracciare la difficile arte della sceneggiatura. Kirby è ormai un autore completo dall’incredibile spessore, una sorta di Will Eisner prestato però a narrazioni leggermente più mainstream. In particolare, sembra deciso ad allargare quello che è sempre stato il suo campo prediletto di riferimento: la fantascienza di matrice cosmica e filosofica.
Esattamente come Eisner (anzi, in anticipo su Eisner), Kirby all’epoca stava valutando la possibilità di realizzare format di fumetti capaci di trovare un mercato diverso rispetto a quello classico delle edicole e dei drugstore. Ipotizzò di mettere in cantiere delle serie pensate per avere un finale e non per continuare all’infinito, da raccogliere poi in un volume che potesse raggiungere le librerie.
Certo, a dirla oggi in piena esplosione delle graphic novel e delle testate Image Comics pare una banalità, ma ai tempi il Re è avanti a tutti.
L’iniziale carta bianca datagli dalla DC lo spinge a creare la leggendaria saga di Quarto Mondo, pubblicata attraverso tre serie principali dalla durata già stabilita: The Forever People, Mister Miracle e New Gods.
La particolarità è che Kirby, cosa assolutamente innovativa per l’epoca, oltre che scriverli e disegnarli era anche il redattore di questi progetti. Forse proprio per questo (o a prescindere da questo, chissà) Quarto Mondo viene fermato a pochi passi dalla conclusione e diversi personaggi vengono poi introdotti nell’universo DC ufficiale. Alcuni in seguito, tanto per cambiare quando si tratta del Re, sarebbero diventate delle autentiche icone, come Darkseid.
Ma non è l’unica delle idee a germogliare e a mettere radici: Quarto Mondo è uno straordinario insieme di fantascienza, mito, riferimenti biblici e dramma, unito alla visione di un artista straordinario. Kirby, nonostante l’esito poco felice, rimane affascinato da questo mix e sente di volerlo esplorare ancora.
Gli Eterni, un mito targato Marvel
Questo desiderio viene raccolto al ritorno in Marvel e si trasforma negli Eterni. Sono figure diverse da quelle viste in Quarto Mondo, tuttavia lo spunto di fondo resta, solo che Kirby ha modo di orchestrare intorno a loro un’ambientazione capace di sposarsi egregiamente con l’Universo Marvel. E lo fa traendo spunto dal suo intero immaginario, dall’inizio al presente.
Ad esempio, il primo numero di The Eternals del luglio 1976 inizia sulla falsariga di quella che sembra proprio una strange tale degli anni ’50, con un tocco di sana fantascienza weird che mischia misteri e archeologia.
Ike Harris, un giovane dal passato misterioso, viene accompagnato dall’archeologo Daniel Damian e da sua figlia Margo nelle Ande alla ricerca di una fantomatica “Tomba degli Dei dello Spazio” in cui, secondo la leggenda, sarebbe conservato un oggetto in grado di richiamare quegli stessi Dei sulla Terra. Quando trovano la misteriosa cripta, si compiono degli eventi al limite del soprannaturale e Ike mette giù la maschera, rivelando la sua vera identità.
In realtà altri non è che Ikaris, un Eterno, che da secoli viaggia per i continenti alla ricerca dello strumento che gli consentirebbe di riportare i Celestiali sulla Terra. I Celestiali sono una razza di misteriosi super esseri, secondo alcuni fatti di pura energia cosmica, che visitano i pianeti nell’universo per compiere esperimenti genetici sugli abitanti. Sono alti seicento metri, indossano delle misteriose armature e arrivano sui mondi ad ondate, conosciute come “schiere” e lo fanno in maniera ciclica. L’ultima, per dire, è stata vista di recente negli Avengers di Jason Aaron mentre nei film sono stati intravisti nei Guardiani della Galassia.
Ikaris racconta di quando i Celestiali crearono dalle scimmie primitive tre razze diverse: gli Umani, gli Eterni, una razza immortale dotata di particolari poteri, e i Devianti, creature orribili che cercano segretamente di conquistare il mondo.
Da qui in poi comincia quella che forse è la saga più kirbyana mai vista e apprendiamo che gli Eterni nella Marvel sono da sempre in lotta per favorire il ritorno dei Celestiali sulla Terra, cosa che i Devianti cercano di ostacolare in ogni modo.
Gli Dei secondo Jack Kirby
E facciamo anche la conoscenza con gli altri Eterni della Marvel: Ajak, Makkari, Sersi, Thena e Zuras, tutti possessori di capacità assolutamente uniche dalla nascita. Un po’ come i mutanti, con cui hanno in comunque anche un fittizio nome scientifico che identifica la loro specie: Homo Immortalis. Del resto, questa sigla non è lì solo per mostrare una parvenza di plausibilità ma indica anche la totale commistione tra scienza e mito.
Questi eroi, infatti, sono immortali e nel corso dei millenni hanno vagato per il mondo facendosi scambiare involontariamente per divinità. Infatti, i loro nomi, come Ajak, Thena, Zuras e Ikaris, sono passati di bocca in bocca diventando Aiace, Atena, Zeus e Icaro. Inoltre, at last but not least, la loro città si chiama Olimpia. I riferimenti sono evidenti e costantemente rimarcati e si apprende che questi personaggi, questi Eterni, nei secoli hanno dato vita a storie, leggende e miti.
Esattamente come quelle di Jack Kirby, passate a loro volta di bocca in bocca diventando indimenticabili.
E, in fondo, “il mito in forma di fumetto” è forse la frase migliore per descrivere il lavoro del Re.
Cos’è Capitan America, se non un moderno Ercole nato dalla scienza? Si potrebbe continuare a lungo e analizzare tutte le icone di Kirby per poi rendersi conto che altro non sono che figure mitiche rielaborate attraverso il suo disegno.
Una “celestiale” visione del fumetto come mezzo per far incontrare tra loro realtà apparentemente inconciliabili, espressione di un’arte stratificata e trasversale.
Non a caso gli Eterni, nonostante la loro serie sia durata poco, hanno avuto un impatto imprescindibile all’interno dell’Universo Marvel. Grazie alla loro particolare natura, erano perfetti per raccontare storie nel passato remoto, con una certa predilezione per l’antica Grecia. Inoltre, erano i comprimari ideali per qualsiasi saga di carattere cosmico e immaginifico. Non per nulla, sono stati ripresi in una spettacolare run di Neil Gaiman e John Romita Jr., dal Thor di Roy Thomas e da poco, come abbiamo detto, da Jason Aaron per i suoi Avengers.
Rieccolo, Jack Kirby che ispira direttamente altri autori e altri miti.
Non ci resta che sperare che il film del 2020 sia capace di fare altrettanto e che il MCU riesca a ripartire dalle sue eterne fondamenta.