Facciamo subito una domanda a bruciapelo molto banale: com’è lavorare con tuo fratello? La domanda è rivolta ad entrambi ovviamente.
Giulio: In realtà è molto comodo, perché non abbiamo competizione tra di noi e non cerchiamo di sopraffarci l’uno con l’altro con le proprie idee. Se non siamo d’accordo ne parliamo, magari c’è un attimo di scontro verbale però alla fine si arriva sempre ad una soluzione molto pacifica, quindi è molto comodo anche perché siamo a casa e ci ritroviamo sempre, pronti per parlare di un argomento.
Marco: Lavorare con Giulio significa non poter imbrogliare, devi dare sempre il massimo di te stesso. Penso che lo stesso valga per Giulio perché abbiamo la minima tollerabilità per il lavoro l’uno dell’altro, diciamo siamo molto critici, quindi significa spingere quanto più possiamo la qualità del nostro lavoro e cercare di sorprenderci l’uno l’altro, il che è una bella sfida, perché più o meno abbiamo una certa simbiosi. Vivendo insieme da molto tempo, cercare di sorprenderci può essere un po’ difficile, però è questo il bello, lo stimolo del lavorare insieme.
Giulio, come disegnatore hai uno stile grafico immediatamente riconoscibile e sei, secondo me, molto comunicativo. C’è stato un percorso artistico, un’evoluzione che hai seguito o è lo stile con il quale, tra virgolette, sei nato?
G: In realtà io sono nato senza uno stile, nel senso che ho fatto gli studi superiori di geometra, quindi sono uscito dalle superiori che sapevo fare i calcoli strutturali e il calcolo delle travi o come vanno armate e quanto peso devono reggere. Poi faccio la scuola del fumetto dove mi insegnano a rendere tridimensionali le forme che poi uno deve rappresentare, però da questo ad arrivare allo stile è passato tantissimo tempo in realtà per me, circa quattro anni dall’inizio degli studi. Il motivo è che non riuscivo a trovare un modo per essere me stesso e mi rendevo conto che la simmetria, l’armonia, la morbidezza non facevano parte del mio DNA. D’altronde si sa, per quanto uno provi a sforzarsi e migliorare, quando una cosa non è tua, può soltanto venire mediocre e, anche dopo tanto tempo di studio, non verrà mai perfetta. Quindi ho pensato che ci sono tantissimi disegnatori nel mondo e che potevo provare a lasciarmi andare, ad essere libero nel comunicare: questo è successo soprattutto grazie ad una serie di autori che ho scoperto man mano che studiavo fumetto come appunto Sienkiewicz, Dave Mckean, Kent Williams, Ashley Wood; tutti questi autori hanno una gestione dei colori e delle linee immediata e non sempre legata ad un canone policlettico.
Paperi è un prodotto veramente incredibile che, sappiamo, è nato fondamentalmente da una spinta del web, ma a sua volta da dove viene l’idea per quella tipologia di illustrazioni che hanno fatto nascere poi il progetto Paperi?
G: L’idea di Paperi nasce sostanzialmente come una sorta di sfogo dopo il Treviso Comic Book Festival a cui sono stato ospite la scorsa edizione. Non era un periodo molto sereno della mia vita e ad un certo punto ho deciso di sfogare tutto quello che avevo dentro con un’illustrazione che raffigurava un papero, Paperoga, sotto alla doccia in una situazione abbastanza deprimente, in cui lui parlava di una maschera che indossava, di una società che lo opprimeva. Nasce tutto quindi come un mio sfogo personale, con il quale volevo vedere, in primo luogo, come sarebbero venuti raffigurati i paperi con il mio stile e poi sentivo che questo “filone” poteva essere in grado di permettermi di sfogare un’emozione personale. C’è stata poi una risposta dal web assolutamente atipica perché, per quelli che erano i miei contatti al tempo e magari i miei seguaci che ci potevano essere tramite Facebook, c’è stata una risposta anomala e altissima. A quel punto quindi si è pensato di fare qualcosa insieme, qualcosa che riguardasse i paperi. Solo che io avevo già scritto Paranoie e non mi sentivo in grado di scrivere nuovamente un’altra storia breve o lunga che fosse, quindi ho capito di aver bisogno di qualcuno che sapesse esattamente quello che volessi fare ma che lo potesse realizzare soltanto meglio e, per questo motivo, ho pensato a Marco.
Avete fatto Paperugo ed è uscito Paperpaolo, ora state cominciando a pensare ai topi?
M: Diciamo che nel terzo vedremo anche abbastanza i topi: topi, ratti e anche altri animali che più o meno riconosceremo, quindi non sarà soltanto un episodio realizzato su un papero, come abbiamo visto in Paperugo e Paperpaolo ma sarà proprio una chiusura che collegherà Paperugo e Paperpaolo, ci farà capire qual è lo sfondo, cosa è successo prima, cos’è che non sappiamo e vedremo altri personaggi simpatici.
Annunceremo tutto dopo Etna Comics in realtà.
Si tratta quindi di una cosa imminente quindi?
M: Il 7 giugno pubblico la copertina, quindi arriva in anteprima
C’è stata per caso una risposta, una nota, da parte di Disney?
G: Sì, c’è stata e in realtà è stata abbastanza positiva: è giunta tramite Giorgio Salati che è una persona assolutamente squisita che ogni tanto capita di incontrare alle fiere, poi parlandone è emerso che Davide Catenacci ha acquistato Paperugo che appunto lavora per Disney; anche Tito Faraci si è dimostrato abbastanza contento e ha fatto i complimenti a Marco per il suo modo di scrivere. Quindi c’è stata effettivamente una nota abbastanza positiva anche perché la nostra intenzione non è mai stata quella di deridere in qualche modo il mondo Disney.
Spesso si parla del ruolo che il fumetto deve avere all’interno della società, no? Si parla e si cerca di capire qual è la dimensione del fumetto, che cosa deve fare un fumetto, il fumetto come linguaggio e così via. Questa è un’occasione per me unica e straordinaria perché ho due fratelli che si occupano di fumetto e uno si occupa di scrivere e l’altro fondamentalmente di disegnare. Secondo voi, i Rincione che ne pensano del fumetto oggi? Cioè, quale deve essere il ruolo del fumetto e poi ovviamente quale deve essere il ruolo dell’autore dietro al fumetto, all’interno della società?
G: Io la cosa che un po’ detesto è, a volte, la settorializzazione del fumetto. Io odio che chi legge i fumetti è più restio a leggere altro materiale o che viva in un mondo più chiuso perché ha paura del confronto con altri lettori, magari di libri, oppure amatori del cinema. Io vorrei che il fumetto fosse soltanto un ulteriore mezzo, un mezzo come tanti altri per raccontare qualcosa, quindi cerco di vivere il fumetto, almeno quando lo faccio io, in questa maniera, senza bloccarmi troppo sul mondo del fumetto. Prendo ispirazione da qualunque cosa, come se stessi scrivendo e raccontando con qualunque altro tipo di mezzo.
M: Sì, più o meno ripeto quello che ha detto Giulio. Sarebbe bello un giorno assistere ad una rottura definitiva della barriera che separa i romanzi e i fumetti e parlare semplicemente di libri, di espressioni che in modo differente e in modo sempre più creativo riescono a raccontarci delle storie, a farci provare delle emozioni e soprattutto a regalarci un’esperienza nuova, senza che sia necessario che ci insegnino qualcosa.
Da che cosa traggono ispirazione i Rincione? Ve lo chiedo visto che abbiamo parlato anche un poco di altri media e visto che avete veramente uno stile – ve lo dico in senso positivo – straniante, sono curioso di sapere che cosa leggete, che cosa guardate, quale poi di queste cose vi hanno ispirato.
G: Per quello che riguarda la lettura io cerco sempre di alimentarmi di cose che sono molto nelle mie corde, leggendo e magari osservando e studiando i lavori di Mc Kenning in coppia con Gaiman, per esempio, perché per me e in realtà per il lavoro che loro fanno in simbiosi è un riferimento molto alto. Di contro cerco anche di leggere le cose che non penserei mai che possano servirmi in qualche modo, tipo il Dr. Pira: io lo trovo fantastico, è uno dei miei fumetti preferiti. Però, quello che poi utilizzo realmente quando lavoro sulle mie cose è ciò che mi dà la gente, soprattutto tramite i social. Osservo un po’ questi meccanismi che molto spesso ci sono e riesco a trarne in qualche modo delle conclusioni, magari tutte mie che però mi portano a degli sbocchi narrativi e anche a delle soluzioni grafiche diverse. Non so come succeda effettivamente però guardo la gente e mi piace, è la mia prima fonte di ispirazione.
Mi sembra che tu Giulio abbia fatto anche un’illustrazione per LaBadessa, giusto?
G: Sì, quello perché io adoro il lavoro di Mattia e quindi quando l’ho visto ho pensato che fosse un genio, amo il suo modo di disegnare, amo il suo modo di scrivere. Solitamente io non faccio tributi ma questa era una cosa sentita, non un modo di attirare l’attenzione.
Per quanto riguarda la scrittura, a parte i fumetti, devo dire che sono cresciuto a pane e Stephen King e Dylan Dog e Diabolik soltanto in estate.
Aspetta, perché soltanto in estate?
G: Non si sa. Il mese di luglio/agosto era il mese dedicato ai Diabolik, leggevo centinaia di Diabolik che mia madre collezionava.
Recentemente, poi, diciamo che ho avuto due batoste a livello di scrittura, grazie all’incontro con Kafka e i suoi testi che ho avuto la fortuna di leggere in lingua originale. E’ stato qualcosa di veramente sorprendente. Però a livello di scrittura e di stile la mia bibbia ultimamente è diventata l’Ulisse di Joyce che rompe tutte le regole, tutti i criteri di scrittura possibili e immaginabili. A volte si leggono cose assolutamente senza senso e quindi per me è un po’ il punto di non ritorno sulla scrittura.
Visto che voi siete due degli autori che sono, passatemelo, nati dal web e che poi sono approdati nell’editoria, vorrei un vostro commento interno sull’esplosione delle web star fumettistiche, cioè del fenomeno del fumetto che dal social esplode e riesce ad arrivare all’editoria, perché ci sono pareri contrastanti su questa questione, specie insomma tra la vecchia guardia fumettistica. Vorrei sapere voi che cosa ne pensate a riguardo.
G: Per me è semplicemente il naturale decorso delle cose, cioè una volta Carl Barks doveva frequentare la scuola di fumetto per via epistolare e riceveva le lezioni così; adesso c’è il social network e il punto è chi si inventa una carriera senza avere né passione né nulla, lo fa magari perché sa che è più semplice arrivare o perché poi magari è una persona molto carismatica, oppure ci sono persone che hanno proprio una passione, come potrei essere anch’io, che magari ho studiato. Il web oggi è il primo strumento per arrivare e in realtà sono molti più artisti quelli che arrivano rispetto al passato. Secondo me adesso il problema non è più arrivare ma durare. Quindi non ci si dovrebbe preoccupare di quanti artisti esplodono ma di quanti riescono a mantenere accesa la loro fiamma.
M: Finisco di commentare quest’ultima affermazione di Giulio aggiungendo che spesso il web è come accendere un fiammifero, c’è una grande fiammata, perché effettivamente si crea un successo enorme che dura un tot di mesi e poi, dopo un certo periodo di tempo, si smette di parlare di quel personaggio, di quell’autore stesso. Questo è un peccato e secondo me bisogna essere attenti, dal punto di vista editoriale, a pubblicare subito una cosa che è esplosa, perché magari non dura. In questo senso io ripeto sempre banalmente, chi va piano va sano e va lontano; costruire passo dopo passo, mattoncino dopo mattoncino, una carriera sicuramente ti permette di arrivare un po’ più lontano.
G: Ci sono anche molti artisti che sono in grado di rinnovarsi, di riproporsi con il loro stesso sapore però sempre in chiavi diverse, in nuove salse, quindi quelli sono da ammirare.
M: Dipende da loro, appunto dagli artisti.