In quel di Etna Comics 2017, noi di Stay Nerd abbiamo avuto il piacere e l’onore di intervistare David Messina, una delle nostre star del fumetto che si sono conquistate un posto di grandissimo rilievo tra i publisher americani. David ha lavorato con Marvel, IDW e DC, anche di recente, quando è entrato a far parte del team creativo di Wonder Woman, di prossima uscita. Scopriamo com’è andata la nostra chiacchierata, nel resoconto dell’intervista!
Partiamo subito con una domanda un po’ “scorretta”. Tu hai lavorato sia per Marvel che per DC, come anche per altre realtà americane. Che differenze hai riscontrato, come artista?
Non la trovo affatto una domanda scorretta, è anzi molto intelligente e piccata. Le differenze stanno fondamentalmente nel modo in cui le case editrici si pongono. La Marvel ha un atteggiamento che si potrebbe definire più easy, più morbido, per cui, anche se ci sono consegne strette e per questo bisogna lavorare con delle tempistiche difficili, viene lasciata molta più libertà al disegnatore di poter lavorare sulla testata senza dover controllare ogni step. La DC, che invece è una casa editrice più formale, più “vecchio stile” rispetto alla Marvel, ha comunque con un altro tipo di approccio: richiedono spesso di fare un controllo prima del layout, poi delle matite, poi delle chine, che non è in realtà da parte loro una mancanza di fiducia o una mania di controllo, è proprio la necessità di discutere insieme dei vari step. Infatti, da questo punto di vista, ho apprezzato molto in DC la partecipazione delle scelte che si facevano insieme. Quando mi capita lo racconto: prima di lavorare su Catwoman, ho fatto una run con Genevieve Valentine, e con il nostro editor della Batman Family. Io, lui, Mark Doyle e Genevieve Valentine abbiamo passato due settimane scambiandoci mail e parlando su skype, proprio cercando di decidere quale dovesse essere l’approccio estetico alla serie, e questa è una cosa che come autore ho apprezzato moltissimo, perché non era semplicemente: “Ok, realizza l’albo, bisogna consegnare”, ma era anche “Come vogliamo realizzare questo albo? Che visione abbiamo? Qual è il punto in cui si incrociano i nostri diversi punti di vista e sensibilità?”. E questa è forse la differenza più grossa che si possa riscontrare tra Marvel e DC.
Quindi non è una forma di controllo da parte di DC Comics, ma una compartecipazione.
Esatto, è proprio una compartecipazione. C’è la volontà di cercare di far emergere un punto di vista diverso dall’autore, all’interno di quella che è la sua testata. Io parlo nello specifico di quella che è stata la mia esperienza nella Batman Family, ma anche adesso, su Wonder Woman.
Pensi che questo si rifletta sulle pubblicazioni? Marvel presenta molte più testate particolari ma di vita breve, scontrandosi con problemi di vendite, mentre DC appare più riflessiva, forse osa di meno, ma persiste di più sulle scelte che fa.
Si potrebbe dire che Marvel ha un approccio “caotico”, e il caos è estremamente creativo, quindi osa con un coraggio maggiore rispetto a DC anche riguardo a tematiche forti, da quelle LGBT a razziali. In DC si è sicuramente più riflessivi quindi ci si lancia di meno, però ovviamente questo permette di procedere con una certa calma riguardo a certe direzioni. Perciò credo che entrambi i sistemi si equiparino ed è sano che ci sia questa differenza, che io apprezzo molto. Mi piace che una casa editrice utilizzi un metodo e una un altro, l’importante è che poi alla fine si cerchi di mettere sul mercato cose fatte bene, con intelligenza. Per quanto mi riguarda vanno bene entrambi: sia il caos creativo che l’ordine controllato.
Come dicevi prima, ed è giusto ribadirlo, sei il nuovo disegnatore di Wonder Woman: ci vuoi raccontare qualcosa di questa avventura? Come sta procedendo?
Siamo veramente all’inizio, con Rebecca siamo ancora nella fase in cui io, lei e Shea Fontana dobbiamo ancora discutere di quello che è il nostro approccio sul personaggio. Rebecca ha lavorato anche nella Batman Family, è stata la mia editor su Catwoman prendendo il posto di Mark Doyle, per cui conosco il suo approccio. Stiamo ancora cercando di capire come vogliamo gestire il personaggio, quelle che sono le esigenze della scrittrice, le esigenze della DC, rappresentate da Rebecca, e poi quella che è la mia sensibilità come autore. Quindi in questo momento siamo ancora in una fase molto transitoria e interrogativa riguardo al personaggio.
A proposito di questo, esistono delle esigenze o comunque delle istanze che vengono dal mondo cinematografico? Il cinema entra nel mondo dei fumetti o ne rimane completamente separato?
In DC non saprei dire perché Catwoman non era legato a film e con Wonder Woman è ancora da vedere. In Marvel ha avuto influenza perché quando ho lavorato su Wolverine mi fu data appositamente una storia dove Logan non indossa mai il costume, fondamentalmente una spy story sullo stile di Bourne Identity, e mi è stato chiesto di tenermi su una vaga somiglianza a Hugh Jackman. Mi hanno detto: “Non vogliamo fotorealismo o quel tipo di approccio ma vogliamo te perché sai gestire quel tipo di fisicità e somiglianza senza diventare stucchevole”. Quindi in quel caso c’è stata un’ingerenza del cinema.
Secondo te è positivo o negativo? Il fumetto ha sempre una sua dignità però il grande film ha quella visibilità mondiale così influente che il fumetto, come dici tu, non gli va contro.
Fondamentalmente la problematica più grossa sta nel tipo di target di pubblico che si vuole raggiungere. Il pubblico cinematografico è un più vasto, per cui si cerca sempre di fare un prodotto che vada incontro al bambino di 10-11 anni fino all’adulto di 20-30. E per un film si può ancora cercare di ottenere questo equilibrio, mantenendolo per un paio d’ore, ma quando si tratta di una serie a fumetti che va avanti per decine di numeri, fare in modo che possa essere letto tanto dal padre quanto dal figlio lo svuota. Questo caso potrebbe essere un problema. Dal punto di vista visivo invece credo che sia una nuova linfa vitale e un approccio diverso da quella che potrebbe esser l’estetica stessa dei personaggi, per cui personalmente non lo vedo affatto in maniera negativa, anzi, lo vedo come uno stimolo a curare diversamente il design. Poi, io sposo molto l’opinione di Grant Morrison e Frank Quitely per cui fondamentalmente il cinema è il fratello povero del fumetto.
Hai disegnato Catwoman e adesso disegnerai Wonder Woman. Che differenze ci sono? A parte quelle prettamente grafiche…
Al momento ancora non so che tipo di Diana racconterò. Posso dire che la Selina che ho raccontato era una donna che trovavo estremamente affascinante. Io non mi stancherò mai di ripetere quanto sia stato contento di lavorare Genevieve Valentine, che trovo un’autrice straordinaria. Questa Selina che era una donna in un mondo di uomini, un mondo di mafiosi, era un personaggio dalla straordinaria forza e seduzione.
Quindi ci sono anche degli elementi in comune.
Assolutamente. E sono proprio curioso di vedere quale sarà l’approccio di Shea con un personaggio più solare. Wonder Woman è fondamentalmente un personaggio iconico, nel quale ci si può riconoscere o al quale si può aspirare. Selina è invece un personaggio profondamente immerso in un vissuto torbido, malato e forse per questo, dal mio punto di vista, avendo un debole per le femme fatale e questo tipo di personaggio un po’ borderline è un personaggio che ho amato molto rappresentare.
Te lo dobbiamo chiedere per forza. Hai visto il film di Wonder Woman? Ti è piaciuto?
Sì l’ho visto e ho trovato splendida Gal Gadot. Mi è piaciuta moltissimo, così come l’estetica del personaggio. Ho apprezzato molto la sequenza di azione iniziale con le amazzoni, però l’appassionato di mitologia greca che è in me ha gridato per tutta la prima metà del film. E da appassionato di ricerca iconografica ho gridato per tutta la seconda metà del film, durante la Prima Guerra Mondiale. Quindi alcune cose mi sono un po’ sfuggite in mezzo a tutte queste urla.
Abbiamo parlato del rapporto tra cinema e fumetti, però tu hai lavorato a tanti fumetti legati a brand di serie televisive come Star Trek, che poi è diventato anche serie cinematografica, Buffy, Angel e adesso anche True Blood. Nel rapporto tra fumetto e serie TV valgono le stesse regole che ci sono tra fumetto e cinema? La serie TV è “il cugino povero del fumetto”?
Personalmente, sì. Perché, rispetto ai film, c’è anche un problema di budget più basso e il senso di libertà che ti dà trasferire questi personaggi su carta senza i limiti del budget televisivo e della produzione settimanale di un episodio ti dà una libertà incredibile. Credo che, forse, l’unica grande differenza sia stata su Star Trek, quando ho lavorato su Countdown perché, per volontà di J.J. Abrams, il progetto di rilancio del franchise si sviluppava su tre fronti: il videogioco, il fumetto con IDW realizzato da me e il film stesso. C’era uno scambio continuo al punto tale che ci siamo anche influenzati a livello estetico per il design dei personaggi, e in quel caso è stato un lavoro di concerto, tant’è vero che c’era un livello di segretezza parossistico, io avevo anche dei programmi auto-installati nel computer che mi permettevano l’accesso ai loro file. Altrimenti, di solito, parli ad un pubblico che viene fondamentalmente da serie televisive, quindi spesso digiuno di fumetti. Io credo che fare un buon prodotto a fumetti basato su prodotti televisivi o cinematografici sia una grande responsabilità perché porta nuovo pubblico e nuova linfa al medium cartaceo. Non di rado, quando ho lavorato a Star Trek o ad Angel, ricevevo mail da gente che mi raccontava che il mio fumetto era stato il loro primo fumetto in assoluto e poi avevano cominciato a leggerne.
Perfetto, grazie mille ancora per quest’intervista da parte di Stay Nerd!
Grazie a voi!