In quel di Etna Comics 2017, noi di Stay Nerd abbiamo avuto il piacere e l’onore di intervistare Emiliano Mammucari, disegnatore e co-creatore della serie Orfani, insieme a Roberto Recchioni, oltre che sceneggiatore della quinta stagione, Orfani Terra. Ecco com’è andata la nostra chiacchierata…
Per quanto riguarda il lavoro svolto su Orfani volevamo chiedere a te che hai curato la parte grafica e il design: quali sono stati i riferimenti e le ispirazioni per questa serie?
Beh, i riferimenti sono tanti perché ogni stagione di Orfani ha una tipologia diversa di approccio. Diciamo che all’inizio, visto che avevamo l’idea di abbassare il target, di trovare un pubblico più giovane, un pubblico nuovo, abbiamo imparato a parlare la lingua di un interlocutore differente. Ci siamo quindi avvicinati ai videogiochi. Roberto [Recchioni, NdR] è un habitué dei videogiochi, io ho comprato una Playstation e qualche gioco per capire come funzionavano. È una grande idea, questa di avvicinarsi a nuove forme di linguaggio, ad esempio quella del telefilm. La scrittura, la grammatica del videogioco è diversa, ed è bello che il fumetto interloquisca con questo tipo di media.
Orfani era anche qualcosa di nuovo in Bonelli, non solo nei confronti del pubblico. Avete trovato delle resistenze, difficoltà, oppure apertura?
No, no, ci hanno sempre appoggiato. La casa editrice è stata sempre entusiasta di questo lavoro. Magari all’inizio sembravano scelte aggressive le nostre, però ci hanno sempre appoggiato.
Orfani è un prodotto che, nonostante la propria serialità, ha diverse stagioni che cambiano ogni volta radicalmente. Di solito una serie rassicura, mantiene degli elementi fissi per cui il lettore affezionato ritrova nella stagione successiva, seppur con delle novità, gli stessi punti di riferimento. Invece Orfani fa tutto il contrario: mantiene il macro-genere ma cambia tutto il resto. Questa non è una scelta commercialmente sconveniente?
È una scelta. Non è detto che tu debba attaccarti ai protagonisti, puoi entrare in una storia seguendo il flusso dei personaggi, oppure utilizzi la tua storia come un contenitore di scenari. Infatti in gergo si dice una “trama orizzontale”, che puoi spezzettare, frammentare e usare in tanti modi. Noi abbiamo scelto questa modalità, anche perché ci piaceva l’idea di sondare tutte le tipologie di fantascienza. Un percorso di ricerca, direi: c’è una storia che volevamo raccontare e per quella storia abbiamo creato il giocattolo apposito.
Arriviamo quindi a Orfani Terra, che ti ha visto personalmente e profondamente coinvolto.
In realtà Orfani Terra doveva essere uno speciale estivo, perché avevamo messo in cantiere l’idea di farne uno e visto che avevamo raccontato una Umanità che se ne va via dal pianeta, mi piaceva raccontare di chi rimaneva indietro, chi restava in un mondo destinato all’estinzione. Mi sembrava un terreno narrativo meraviglioso. Il plot è piaciuto così tanto che mi hanno chiesto di farci una serie, una da tre numeri, e piano piano ho costruito questa cosa da cui è uscito fuori Orfani Terra, di cui sono estremamente orgoglioso. È stata la mia prima volta con una scrittura così complessa e infatti mi sono circondato dei miei collaboratori di sempre, Mauro Uzzeo e Giovanni Masi, sceneggiatori con cui lavoro da tanti anni, e mio fratello Matteo, anche lui sceneggiatore, più un team di bravissimi disegnatori e coloristi, e abbiamo tirato fuori una serie che è piaciuta così tanto che uscirà uno speciale estivo su Terra ogni anno.
Come vi siete trovati dal punto di vista editoriale, con questo esperimento delle stagioni da tre numeri?
Cambiano un po’ di cose dal punto di vista tecnico: con una serie da dodici numeri tu hai un canovaccio, un plot, cominci a sviluppare questo plot ma non è detto che poi tu segua quella direzione, devi andare un po’ a braccio. Mentre con una stagione più corta puoi pianificare tutto, tutto è più studiato, è tutto un altro modo di raccontare una storia.
Ora siamo all’ultima stagione di Orfani, Sam. Tu che ci sei dentro dall’inizio della serie, come la vedi, guardandoti indietro? Cos’è cambiato? È andata come avevate programmato?
È andata esattamente come non avevamo pianificato. (ride) Noi avevamo un progetto di una prima stagione e poi eventualmente una seconda, ma nessuno poteva immaginare che avremmo fatto Orfani, poi una stagione con un personaggio fisso, Ringo, e poi un’altra stagione corale. Siamo molto caotici, con la C maiuscola.
Possiamo aspettarci un finale col botto?
Sempre. Non c’è stata una volta in cui non abbiamo fatto un finale col botto! Orfani Sam porterà alla naturale conclusione dei personaggi e delle avventure che si dipanano sin dalla prima stagione. Poi faremo il già menzionato speciale estivo su Orfani Terra e uno speciale su Ringo, chiamato Gli Anni Perduti.
Con i nuovi media si hanno tante possibilità in più di esprimersi, c’è immediatezza nella fruizione, nuovi canali, ma tutto ciò potrebbe rappresentare un’arma a doppio taglio, facendo tralasciare quelle regole della tradizione che sono state insegnate dalla necessità. Visto che sei stato anche insegnante, secondo te cosa della tradizione le nuove generazioni non devono dimenticare?
Questa è una bellissima domanda perché di solito mi fanno la domanda opposta, cioè come sarà il fumetto del domani. Penso che adesso il fumetto abbia una serie di potenzialità che prima non aveva, di contro c’è una disabitudine a pazientare, a costruire. I tempi sembrano sempre stretti e invece non è così, perché ci sono cose che prevedono una tempistica di sviluppo, di costruzione. Per costruire un disegnatore con delle basi solide ci vogliono anni. Quindi magari c’è un talento di ventuno anni che ha bisogno di quei tre, quattro, cinque anni per completarsi. È come quando Luke, ne L’Impero Colpisce Ancora, vuole scappare prima di completare il suo addestramento, Completare la propria istruzione è fondamentale, avere la capacità di pianificare anche sul lungo termine. Poi ci sono delle insidie nuove che prima non c’erano, ad esempio non è detto che se tu sei un fenomeno dei social tu abbia dei lettori, tu puoi avere dei followers. Non si è fatto quello che in America chiamano “grounding”, cioè la capacità di arrivare al pubblico, quindi uno può avere milioni di like ma magari non vende neanche una copia. È un fenomeno nuovo che si sta codificando.
La questione investe anche l’ambito editoriale, visto quanti editori corrono al fenomeno del web.
Hanno corso e hanno preso questo abbaglio, hanno visto che non è tutto oro quello che luccica e che non si può pianificare un percorso editoriale con un fenomeno sul web che funzioni automaticamente su un altro tipo di editoria. A volte funzionano, vedi Zerocalcare, a volte per niente.
E Mammucari sul web? Com’è il tuo rapporto con questi nuovi canali di espressione?
Mammucari sul web non fa tante polemiche perché mi annoia da morire. (ride) Sono molto old style. Uso Facebook, uso Instagram. So che alcuni miei colleghi hanno un media manager o cose del genere, ma a me farebbe un po’ sorridere.
Beh, data la mole di informazioni e materiale che fluiscono sul web, con tempistiche rigidissime, il media manager potrebbe essere una delle figure emergenti di questo ambiente.
Sì, ma c’è anche un fenomeno di riflusso. Se prendi i grandi nomi americani, non stanno sempre su Instagram, al massimo stanno su Twitter, perché lo amano per motivi inspiegabili. Ma io un Robert Kirkman che posta ogni due per tre non ce lo vedo proprio. Non stanno sempre lì a postare quello che fanno, quella presenza massiccia la stanno perdendo.
Così, con la prospettiva di riflussi, siamo arrivati anche alla risposta della “domanda solita”, su come sarà il fumetto di domani. Potrebbe non essere tutto rose e fiori, insomma, nonostante il panorama che vediamo adesso.
Guarda, io ho scritto un libro nel 2013 che fotografava l’editoria in quel momento e l’editoria digitale sembrava il futuro, invece la carta sta alzando i suoi numeri e il digitale non smuove quantità interessanti, almeno per il momento. Anche Umberto Eco lo diceva, la carta è ancora il mezzo di comunicazione che è resistito di più nel tempo, dura da quando è nata. Anche perché, poi, io voglio l’oggetto, se voglio comprare un libro che mi piace, voglio un oggetto fisico. Credo che conti molto anche il rapporto con una storia: se hai un legame con una storia in particolare, preferisci vederla lì, mantenere un rapporto fisico. Se sei un fan del Cavaliere Oscuro, non ti prendi il digitale, magari te lo prendi delle singole uscite. In America, non so poi come si evolverà la questione, ma piano piano si sta abbandonando lo spillato da venti pagine in favore del Cartonato, oppure prima si fanno uscire gli episodi in digitale e poi, ogni cinque o sei, si pubblica il Paperback. Ci saranno anche altre possibilità, ma chi l’ha detto che si debba fare uscire gli albi in ebook una volta al mese, piuttosto che farli uscire tutti insieme? Oppure, perché io devo fare uscire l’edizione economica prima e quella Deluxe dopo, chi l’ha detto?
Progetti di Emiliano Mammucari per il futuro?
Attualmente sto disegnando un graphic novel di Tiziano Sclavi, che è la “sceneggiatura ritrovata”, una storia che lui scrisse nel 1993 ma che poi andò persa ed è dattiloscritta. L’hanno ritrovata, mi hanno chiesto se volessi lavorarci e non potevo lasciarmela scappare. Poi sto lavorando ad una nuova serie come sceneggiatore, se mi sopporteranno vorrei essere sempre più un autore completo.
Perfetto. Grazie mille per questa intervista a nome di tutta Stay Nerd!
Grazie a voi!